Un Oscar per El Chapo
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Un Oscar per El Chapo

El Chapo voleva un film: non un filmetto qualsiasi, ma un kolossal hollywoodiano: se qualcuno lo avesse scritto sarebbe da Oscar, invece lo ha pensato il re dei narcos.

Piero Cinelli
Piero Cinelli
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15 Gennaio 2016 - 09.48


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di Piero Cinelli

Se qualcuno lo avesse scritto meriterebbe un Oscar, ed invece chi lo ha ideato pensando di governarlo a suo piacimento si è guadagnato l’ergastolo. Un film dove uno degli uomini più potenti e più malvagi della terra a caccia di una redenzione taroccata viene fatto arrestare dall’attore che presumibilmente avrebbe dovuto interpretarlo. Un film nel film di straordinaria potenza, che ribalta la trama che era stata prevista, con personaggi celebri nel ruolo di se stessi, con il profumo di coca e di miliardi nelle montagne di Sinaloa, e con un finale col botto, che coglie tutti di sorpresa.

Una storia perfetta che unisce trasgressione e legalità, ed in modo trasversale tutti i tipi di pubblico: gli amanti dei bandidos e quelli dei carabineros, un leggendario trafficante di droga adorato come un generale Kurtz dai suoi conterranei, la regina delle soap messicane, sua amica e forse amante, protagonista della popolarissima serie La Reina del Pacífico, dove interpreta il ruolo, appunto, della donna del Capo di un cartello di droga e che adesso vede il proprio destino bruciato come quello della fiction, la corrotta polizia messicana in cerca di rifarsi una verginità, un Presidente fresco di elezioni che può mettere una croce su uno dei molti buchi neri del suo paese e, ciliegina sulla torta, un attore hollywoodiano Premio Oscar. Ma cosa ci fa un attore impegnato come Sean Penn nel rifugio nascosto tra le montagne dell’uomo più ricercato dalle polizie del continente americano? Lo spirito d’avventura non basta, Penn si è lasciato tentare di mettersi in gioco in prima persona in un progetto dai contorni ambigui ma dal potenziale mediaticamente esplosivo, rilanciando il proprio fascino tenebroso e antagonista.

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La storia, a detta del procuratore generale messicano Arely Gomez, è andata così. Joaquin Guzman, detto El Chapo, voleva farsi un film. Non un filmetto qualsiasi, girato magari dalla moglie, dall’amante o dal figlio, ma un autentico film hollywoodiano. Forse per un pò di invidia nei confronti del suo amico-nemico Pablo Escobar, del cui regno lui ha preso le redini, facendolo diventare ancora più grande, ed a cui Netflix ha dedicato una serie (Narcos) di grande successo. A questo scopo ha voluto incontrare, tramite l’amica Katia Del Castillo, l’attore e regista hollywoodiano Sean Penn scelto probabilmente per una certa somiglianza fisica, per il suo indiscutibile talento artistico, per la fama di uomo controverso e piuttosto restio all’autorità ed inoltre per la sua attrazione per il lato selvaggio e oscuro dell’esistenza. Pare che Sean Penn abbia posto come condizione un’intervista ‘esclusiva’ all’uomo più ricercato delle Americhe. E Guzman abbia accettato di buon grado, pensando di rilanciare la sua immagine di Robin Hood dei campi di coca, in attesa di una consacrazione sul grande schermo. L’intervista pubblicata dal periodico Rolling Stone con la firma di Sean Penn è stato un autentico scoop, ma Guzman dall’alto della sua megalomane onnipotenza non ha dato importanza ad un elemento molto semplice, ovvero che la voce di questa eventuale ghiotta intervista non poteva non arrivare alle orecchie del grande fratello. Quello a stelle e strisce, che a quanto sembra, grazie all’ignaro Sean Penn, avrebbe agganciato alcuni fedelissimi di El Chapo, offrendolo in un piatto d’argento ai colleghi messicani. Fine della storia? Chissà? Certe storie vorresti che non finissero mai.

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