Raf Vallone, cent’anni di solitudine
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Raf Vallone, cent’anni di solitudine

Nell’anniversario della nascita, il grande attore viene ricordato alla Casa del Cinema. È stato anche calciatore e partigiano

Raf Vallone, cent’anni di solitudine
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15 Febbraio 2016 - 23.29


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di Francesco Troncarelli

Conosceva tutti nel jet set e fra i nomi che contano nello spettacolo e nell’arte, da Sinatra a Picasso, da Ives Montand a Salvator Dalì, le dive che ammaliavano il mondo come Marlene Dietrich e Brigitte Bardot impazzivano per lui, ma ai salotti mondani e alle cronache rosa, lui preferiva di gran lunga la riflessione, il mare di Sperlonga e della sua Calabria, la solitudine coi propri pensieri e le amate letture.

Era un solitario dallo sguardo magnetico Raf Vallone di cui si celebra il centenario della nascita in questi giorni, un anniversario importante da ricordare perché Vallone è stato un grande attore, un vero e proprio gigante della recitazione istintiva che ha indirizzato la sua carriera al rigore senza cedimenti di sorta da subito, dopo essere stato calciatore, partigiano e giornalista.

Un artista di notevole spessore e cultura, che riusciva a tratteggiare interpretazioni memorabili nel teatro e nel cinema pur senza aver fatto scuole particolari, con quel volto che bucava lo schermo impreziosito da rughe d’espressione e l’incarnato bronzeo e quella voce che accarezzava i testi che interpretava.

Nativo di Tropea, si trasferì da bambino coi genitori a Torino dove frequentò il Liceo classico Cavour e si laureò in Lettere e in Giurisprudenza con docenti come l’economista e futuro presidente della Repubblica Luigi Einaudi e Leone Ginzburg. Fu il famoso letterato a istillargli l’amore per la poesia e il teatro e a fargli recitare i primi versi.

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Amante dello sport, alternava gli studi al calcio e così entrò a far parte dei mitici “Balon Boys” i giovani del Torino, arrivando a giocare in serie A come mezzala (4 reti) e vincendo addirittura la Coppa Italia con la maglia granata nel 1935. Poi attacca gli scarpini al chiodo per scrivere, dopo essere stato partigiano con gli azionisti di “Giustizia e Libertà”. Come giornalista iniziò sulla Terza pagina dell’Unità di Davide Lajolo che aveva conosciuto sulle montagne, ma non s’iscrisse mai al PCI per le sue posizioni di critica allo stalinismo. Appassionato di cinema, è stato anche critico per La Stampa.
E il cinema arriva con “Riso amaro” nel ‘49, Giuseppe De Santis lo sceglie fra i protagonisti insieme a Gassman e la Mangano, un ruolo importante e da esordiente che convince tutti, lo stesso regista così lo chiama nel 1950 in “Non c’è pace tra gli ulivi” a cui segue “Il cammino della speranza” di Pietro Germi. Con questi tre film entrati nella storia del cinema, Vallone riesce ad imporsi come uno fra gli attori più importanti del neorealismo, grazie alla sua recitazione asciutta e senza fronzoli. Sarà l’interprete ideale sullo schermo di personaggi portatori di valori positivi, eroi coraggiosi, uomini onesti e con un profondo senso della giustizia.

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Ma non solo. Aiutato dalla sua versatilità e dalla sua fisicità prestante, padrone della lingua inglese e francese, il bello e bravo Raf arricchirà la sua carriera di un centinaio di pellicole dei più svariati generi, tra cui “Anna” e “La spiaggia” di Lattuada, “Roma ore 11” di De Santis, “Camicie rosse”di Goffredo Alessandrini dove interpreta Garibaldi, “Gli eroi della Domenica” di Camerini, “Siluri umani” di Lizzani, “Il segno di Venere” con Sordi, De Sica, la Loren e Franca Valeri di Dino Risi e all’estero “Teresa Raquin”con Simone Signoret per la regia di Marcel Carné, “Il Cardinale” di Otto Preminger”, “El Cid” di Mann, “The Grek Tycoon” di Thompson e “Il Padrino-Parte III” di Coppola.

Raf Vallone, Carol Lawrence e Arthur Miller[/size=1]

La sua fortuna teatrale fu legata indissolubilmente al dramma di Arthur Miller “A view from the bridge” ovvero “Uno sguardo dal ponte”, dove è stato un credibilissimo e applaudito Eddie Carbone, l’emigrato italiano portuale a New York che vive a Brooklyn al centro della storia. Il celebre testo che gli dette una fama internazionale, fu portato in scena a Parigi nel 1958 (580 repliche al Théâtre Antoine) e in Italia nel 1967 ed ebbe anche una trasposizione cinematografica per la regia di Sidney Lumet nel ‘62 con attori del calibro di Jean Sorel, Maureen Stapleton, Carol Lawrence e Raymond Pellegrin e valse a Raf Vallone il David di Donatello come miglior attore protagonista.

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Uno sguardo dal ponte, scena finale.[/size=1]

A teatro ha lavorato anche in rappresentazioni e produzioni importanti come “Il costruttore Solness”, di Henrik Ibsen, 1975, “Nostalgia” di Franz Jung, 1984, “Luci di Bohème” di Ramón del Valle-Inclán, 1985 e “Il prezzo” di Arthur Miller.
Uomo di grande fascino, Vallone è stato sposato per cinquant’anni con l’attrice Elena Varzi conosciuta sul set de “Il cammino della speranza” e da cui ha avuto la figlia Eleonora e i gemelli Saverio e Arabella, nonostante gli impegni artistici è stato sempre presente nella sua famiglia e per questo molto amato dai figli.

Raf Vallone con il figlio Saverio nel “Tommaso Moro” di Shakespeare[/size=1]

E proprio i figli in collaborazione con la Casa del Cinema di Roma, organizzano una serata dedicata a lui nella ricorrenza della sua nascita (17 febbraio) per ricordare la sua figura artistica. Al centro della manifestazione la proiezione del citato film di Lumet “Uno sguardo dal ponte” e la presentazione, in anteprima assoluta, del frammento inedito di una recente intervista con Peter Brook, che diresse Vallone nella storica versione teatrale del dramma di Miller. Un’occasione imperdibile per rivivere la sua arte e la sua grandezza.

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