L’abbattimento della colonna napoleonica, il capolavoro di Courbet
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L’abbattimento della colonna napoleonica, il capolavoro di Courbet

Gustave Coubert è noto a tutti per i suoi dipinti realisti, ma pochi conoscono il suo più grande capolavoro, l'abbattimento della colonna di Place Vendome.

La colonna abbattuta
La colonna abbattuta
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Antonio Brizioli Modifica articolo

1 Maggio 2016 - 17.42


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#GliArtisti&IlLoroPostoNelMondo

 

Abbiamo visto nel primo episodio di questa rubrica, come la Rivoluzione Francese abbia rappresentato il primo momento della storia in cui una fetta molto ampia di artisti si è assunta delle responsabilità sociali, uscendo dal ruolo che storicamente li limitava a esecutori di committenze aristocratiche o religiose. Questo processo si approfondisce negli anni successivi e trova dei momenti significativi in prossimità di tutte le fasi di riassetto sociale che interessano la Francia nel secolo che segue la Rivoluzione.

In prossimità del 1848, quando la Francia è travolta da quella che passa alla storia come la Rivoluzione di Febbraio, sono numerosi gli artisti che si mettono in prima linea. Fra di essi spicca il nome del poeta Charles Baudelaire, che le testimonianze ricordano girare per le strade di Parigi imbracciando un fucile e che con l’amico Jules Champefleury

pubblicava il foglio agitatorio “Le salut Public”. Proprio questo

 

SalutPublic

 

pamphlet ospitò il primo episodio di coinvolgimento politico di un artista che di seguito dominerà le scene parigine fino agli eventi tragicamente gloriosi della Comune del 1871, ovvero Gustave Courbet. Quest’ultimo realizza per “Le Salut Public” una copertina nella quale riprende i motivi de La Libertà che guida il popolo di Delacroix nel disegno un po’ irrigidito di un giovane col fucile levato fra le barricate, che nell’altra mano tiene una bandiera recante lo slogan “Voix de Dieu, voix du Peuple”. Si tratta di un episodio che apre una fase intensissima di coinvolgimento di Courbet nella vita politica parigina, se infatti è vero che nessuna cronaca parla di una sua partecipazione diretta ai fatti rivoluzionari del ‘48, sarà lo stesso artista a dichiarare nel 1868 in una lettera all’amico Jules Castagnary: «Senza la Rivoluzione di febbraio forse non si sarebbe mai vista la mia pittura».

Nel periodo che separa gli eventi del ’48 dalla Comune, molti artisti perdono l’entusiasmo della partecipazione politica e assumono orientamenti diversi. Luigi Napoleone vince le elezioni del ’48 diventando Presidente della Seconda Repubblica Francese, ma è presto chiaro come egli ambisca alla restaurazione del potere imperiale. Il proposito diventa realtà il 3 dicembre 1852, quando viene dichiarato il Secondo Impero Francese.

In questa fase molti artisti vengono impiegati nella legittimazione e celebrazione del potere imperiale. In questo senso è da intendersi la commissione dell’Apoteosi di Napoleone I, affidata a Dominique Ingres per il soffitto dell’Hôtel de Ville, luogo in cui viene dichiarato il Secondo Impero, e pure il riassetto urbanistico della città di Parigi, concepito dal Barone Haussmann e portato avanti fra il 1852 e il 1869. La città assume, mediante questo processo, la conformazione in grandi boulevard che tutt’oggi la caratterizza e ciò la rende più ariosa e sana dal punto di vista igienico; nello stesso tempo si tratta della prima grande opera di gentrificazione della storia, dal momento che allontana con una precisa strategia politica il popolo dal centro della città, con il duplice intento di scoraggiare il verificarsi di nuove insurrezioni e di liberare la magniloquente città imperiale dalla visione della povertà. In questo contesto a Parigi vengono installati diversi monumenti imperiali, fra cui una statua di Napoleone I realizzata da Augustin Dumont e posta alla sommità della preesistente Colonna di Place Vendôme, una rivisitazione filonapoleonica della Colonna Traiana che a breve diventerà protagonista della nostra storia.

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Accanto ad un consistente gruppo di artisti, ingegneri ed intellettuali che agiscono nell’orbita imperiale, ne emergono alcuni che rivendicano, fra numerose difficoltà, la propria indipendenza e che riescono ad affermarsi senza scendere a compromessi con l’ingombrante sistema artistico di epoca imperiale, incentrato sull’appuntamento esclusivo del Salon. In questo gruppo vanno annoverati senz’altro Honoré Daumier, Édouard Manet e in particolare lo stesso Courbet.

Courbet elabora in questi anni i più grandi capolavori della sua pittura realista e si segnala nel contempo per la fermezza con cui rifiuta di essere integrato negli ambienti della cultura ufficiale. Egli è molto in vista e gode di un’ammirazione trasversale; ogni suo rifiuto è un attacco scoperto al sistema dell’arte. All’Esposizione Internazionale del 1867 Courbet, al pari di Manet, partecipa con un padiglione indipendente ed autofinanziato, dove espone a spese proprie 115 dipinti fra cui un ritratto di Proudhon e la sua famiglia. Al 1870 risale l’ultimo tentativo di allineare l’artista alla cultura ufficiale, con l’offerta della Legione d’Onore, la più alta onorificenza francese. Courbet non si limita ad un rifiuto defilato, ma coglie l’occasione per attaccare il potere imperiale e delegittimarne ogni intervento in campo artistico. La lettera di declino inviata al Ministro Richard è un’orgogliosa dichiarazione d’indipendenza personale:

Io desidero segnalarmi tra i miei contemporanei per il mio talento soltanto e non sarei capace di frequentare chicchessia con un distintivo addosso. Desidero anche chiudere la vita non appartenendo che a me stesso. Se andaste alla fiera di Ornans, osservereste come le più belle pecore della fiera siano segnate con un tratto rosso sul dorso. La gente ingenua e bene intenzionata che ignora le leggi dell’agricoltura e delle arti, s’immagina nel suo candore pastorale che questo sia un omaggio reso alla loro bellezza, mentre è il macellaio che le ha comprate per ucciderle.

Il 19 luglio 1870 Napoleone III dichiara guerra alla Prussia e innesca una catena di violenza che metterà sotto sopra Parigi, prima unita nel resistere all’assedio prussiano e poi divisa dalla guerra civile. Tutta la comunità artistica è coinvolta in un momento fondamentale per la storia e per la coscienza della Francia: Renoir ha la fortuna di essere arruolato senza dover mai combattere; Frédéric Bazille si arruola volontario nel reggimento degli Zuavi e muore in battaglia; Manet e Degas si arruolano volontariamente nella Guardia Nazionale; Monet e Pissarro si rifugiano a Londra.

Gustave Courbet, defilato sostenitore dei moti del ’48, in questa fase raggiunge un livello di partecipazione totale agli eventi. Nel settembre del 1870 lo scontro si trova ormai alle porte di Parigi e fra le varie urgenze vi è quella di proteggere l’immenso patrimonio artistico della città. Con tale proposito viene istituita il 6 settembre la Commissione per l’Arte, che accoglie fra i suoi membri anche Daumier e che, per prendere le distanze dal potere imperiale, sceglie come presidente proprio Gustave Courbet. L’attività di Courbet in tal senso è instancabile e si deve in gran parte a lui la salvezza di tutte le principali collezioni artistiche parigine, compresa quella del Louvre, imballata e messa al riparo in vari luoghi ritenuti sicuri.

In questo momento si colloca la famosa “Lettera agli artisti tedeschi”, conclusa da Courbet con “un’idea” che gli risulterà fatale:

Lasciateci i vostri cannoni Krupp, li fonderemo insieme ai nostri; l’ultimo cannone, con la bocca in alto, ornato del berretto frigio, posto su un piedistallo con alla base tre palle di cannone, questo monumento colossale, che erigeremo insieme in piazza Vendôme, sarà la nostra colonna, di voi e di noi, la colonna dei popoli, la colonna della Germania e della Francia federate per sempre.

Ed è solo il primo di una serie di interventi nei quali Courbet manifesta il suo disprezzo nei riguardi della Colonna di Place Vendôme, monumento al potere imperiale la cui distruzione avrebbe significato l’inizio per Parigi di una nuova era. “È un monumento privo di ogni valore artistico, creato in modo da perpetuare l’idea della guerra e della conquista che erano parte della dinastia imperiale, ma che devono essere avversate da una nazione repubblicana”, ribadisce a tal proposito Courbet in una lettera al Governo di Difesa Nazionale del 14 settembre 1870.

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Nel 1871 la guerra di difesa dall’assedio prussiano diventa guerra civile e il 18 marzo viene proclamata la Comune, che dà a Parigi un governo contrario a quello della Francia. Courbet diventa membro del governo con le elezioni del 16 aprile. In questa fase la maggior parte dei suoi interventi pubblici è incentrata su proposte di riassetto del sistema artistico francese, rispetto alle quali egli dimostra una modernità di pensiero sbalorditiva. Il 18 marzo egli scrive:

I precedenti regimi che hanno governato la Francia, hanno quasi distrutto l’arte proteggendola e privandola di spontaneità. L’approccio feudale, sostenuto da un governo dispotico e discrezionale, non ha prodotto nulla che non fosse arte aristocratica e teocratica, l’esatto opposto della tendenza moderna, dei nostri bisogni, della nostra filosofia e della rivelazione dell’uomo che manifesta la sua individualità e la sua indipendenza fisica e morale. Oggi che la democrazia deve dirigere tutto, sarebbe illogico per l’arte, che governa il mondo, rimanere indietro rispetto alla Rivoluzione che sta avendo luogo in Francia in questo momento.

E alle riflessioni teoriche si affiancano proposte pratiche: abolizione dell’Accademia delle Belle Arti, abolizione della Scuola Francese a Roma, abolizione di ogni onorificenza. Il 13 aprile Courbet fonda la Commissione Federale degli Artisti, dopo aver parlato alla Facoltà di Medicina di fronte a 400 colleghi riguardo la necessità di organizzare musei ed esibizioni in modo indipendente, di affrontare riforme del sistema educativo, di creare nuove pubblicazioni d’arte.

La Comune è uno di quei momenti storici in cui tutte le regole che stringono e controllano la società sembrano per un attimo sospese, come si evince dalla lettera di Courbet ai genitori del 1870:

Parigi è un vero paradiso; niente polizia, niente sciocchezze, nessuna esazione di sorta, niente litigi. Parigi va avanti da sola, come su delle rotelle. Bisognerebbe poter rimanere sempre così. In una parola, si sta d’incanto: tutti i poteri dello Stato si sono costituiti in Federazione e non hanno dipendenze. Nei momenti di riposo, combattiamo i saligots [sudicioni] di Versailles. Ci andiamo a turno. Essi potrebbero combattere per dieci ore come fanno, senza poter entrare da noi, e quando poi li lasceremo entrare, sarà la loro tomba.

 

Vignetta satirica di Courbet che abbatte la Colonna di Place Vendome, 1871

 

Ed è in questo clima in cui il popolo si sente sovrano e nulla sembra impossibile che il 12

aprile un decreto ufficiale della Comune apre la via all’abbattimento della Colonna di Place Vendôme, dando seguito all’idea avanzata da Courbet, che pure non è presente alla riunione che delibera la decisione, dato che ne diverrà membro solo sei giorni dopo. Il 16 maggio la Colonna viene sradicata alla presenza di una folla festante di comunardi fra cui Courbet, che non prende parte alle operazioni di demolizione. Egli non ha votato l’abbattimento né vi ha partecipato, ma è evidente la sua responsabilità morale, che pagherà a caro prezzo quando si farà chiaro che il suo ottimismo non era privo di una certa ingenuità politica e che l’esperienza della Comune si sarebbe sgretolata nel giro di pochi giorni.

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In maggio i monarchici riprendono infatti il controllo della città a suon di fucilazioni. Il 28 del mese cade l’ultima barricata e Parigi, esausta e semi-distrutta, dice addio all’esperienza comunarda. Courbet viene processato dal Tribunale Militare di Versailles per le responsabilità nell’abbattimento della Colonna, si difende senza fare un passo indietro dalle sue posizioni ed anzi sottolineando in tutte le occasioni il suo ruolo fondamentale nella salvaguardia del patrimonio artistico parigino. Il 20 maggio scrive sulle colonne del “London Times”:

Non solo non ho distrutto alcuna opera all’interno del Louvre, ma, al contrario, è sotto la mia tutela che tutto ciò che è stato disperso dai vari ministeri in diversi edifici è stato conservato e ha potuto riprendere il proprio posto nei musei. In questo modo il Musée du Luxembourg ha avuto salva la sua collezione. Sono stato io a preservare e gestire tutte le opere rimosse dalla casa di M. Thiers.

Nonostante ciò, viene arrestato e condannato a sei mesi di carcere, oltre che al pagamento di 250.000 franchi, cifra esorbitante che ovviamente non si può permettere. Lo stesso tribunale stabilisce la riedificazione della Colonna di Place Vendôme, che risorgerà nella forma odiata da Courbet, il quale, uscito dal carcere, il 27 settembre del 1873 si rifugia a La Tour de Peilz, in Svizzera, dove morirà nel 1877.

Purtroppo dobbiamo riscontrare che, se da un lato anche molti bambini hanno familiarità con dipinti come I funerali a OrnansGli spaccapietre o L’origine del mondo, nessuno conosce effettivamente la storia di Courbet, costretto a processi e detenzioni, scampato alla pena di morte soltanto per la sua fama artistica, ma nonostante questo brutalmente esiliato senza poter rivedere la madrepatria fino al giorno della morte. E non si tratta soltanto di richiamare attenzione verso la vicenda umana di quello che è unanimemente riconosciuto come uno dei pittori più importanti della storia; perché Courbet è proprio uno dei primi artisti in cui arte e vita si fondono perdendo di vista i confini. Courbet non sembra percepire alcuna barriera fra le attività di pittore, di intellettuale, di politico, di rivoluzionario, di protettore di opere d’arte, di politico e di iconoclasta dei simboli imperiali.

Nel prologo della già citata “Lettera aperta all’armata tedesca e agli artisti tedeschi”, il 29 ottobre 1870, Courbet lesse pubblicamente a l’Athénée le seguenti parole:

In questo tempo d’assedio, ognuno diventa matto; i tedeschi ne sono la causa; per quanto mi riguarda, da pittore che ero, eccomi letterato. I letterati sono ingegneri, i musicisti artiglieri, tutti i commercianti sono generali, i generali sono legislatori, i giudici sono soldati e così pure i medici; e la nobiltà, che era ammalata, è diventata medico a sua volta. D’altra parte vediamo delle amazzoni con il fucile in mano, dei curati che diventano repubblicani; insomma ognuno si concede un poco di quanto non è capace di fare: siamo in libertà.

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