La memoria storica ce la immaginiamo di solito come un vegliardo in pantofole davanti al caminetto che borbotta: “Eh, quando Garibaldi mi diceva…”
Invece no. Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi (che una volta si chiamava molto più simpaticamente Discoteca di Stato) a Palazzo Caetani, lunedì 23: presentazione del libro “Giorgio Gaslini, non solo jazz” di Adriano Bassi.
Tre le memorie storiche presenti, ma assai più fresche rispetto all’immagine del garibaldino un po’ arteriosclerotico che annoia i nipoti.
A conclusione di un’intervista filmata in cui, fra le tante perle di saggezza, il Maestro Gaslini raccomanda agli artisti di lavorare in pace, silenzio e contatto con se stessi, e soprattutto in solitudine (una solitudine operosa, aggiunge) si manifesta la memoria storica di due suoi frequenti collaboratori, i ragazzi di allora: Bruno Tommaso ed Enrico Pieranunzi.
Racconti ed episodi di tournée e viaggi insieme, simili a quelli di tanti altri musicisti, ma più perigliosi, perché giravano su una Renault rossa (“uguale a quella che hanno trovato qui fuori” aggiunge Pieranunzi, provocando una sorprendente mancanza di reazione del pubblico a questo fondamentale dettaglio), fermata di continuo da poliziotti col mitra spianato per estenuanti controlli.
E chi ricorda, sa bene il perché.
Il riferimento dell’arguto Pieranunzi, che con la sua aria seriosa ne dice sempre una buona, è alla Renault rossa, identica alla loro, lasciata nel 1978 dalle Brigate Rosse, con dentro il cadavere di Aldo Moro, proprio accanto all’ingresso dell’Istituto dove ci troviamo, a Via Caetani.
E come ciliegina ecco il senatore del jazz, Adriano Mazzoletti, che è uno capace di raccontare un concerto di Gaslini del ’61, non dimenticando nessuno degli strumentisti, l’ordine di esecuzione dei brani, i loro titoli, e perfino quello che si sono detti dietro le quinte dopo il set.
La Memoria Storica fatta persona.
Molte e interessanti le notizie che ci ha servito. Fra cui, massima, che è proprio grazie a Gaslini che in Italia i conservatori di musica hanno finalmente accettato di insegnare, dopo averla disprezzata per anni, la musica del diavolo: il jazz.
Parlava tenendo sulle ginocchia un massiccio manoscritto con il quale ci ha minacciati prima di chiudere. “E’ il terzo volume della mia enciclopedia sul jazz in Italia. Ci sto lavorando, esce fra poco, e vi toccherà leggerlo”.
Non potrà che essere un piacere.
Altezza mezza bellezza.
Dunque, le possibilità sono due.
Se lo fanno apposta a farsi i dispetti da un ufficio all’altro, la cosa è grave.
Ma se invece un ufficio è all’oscuro di quello che fa l’altro ufficio per mancanza di comunicazione, allora la cosa è grave e in più imbarazzante.
Insomma, stiamo parlando di questa ennesima pagliacciata romanesca dopo l’inaugurazione in pompa magna, poco tempo fa, degli splendidi graffiti di Kentridge sui muraglioni del Tevere, fra ponte Sisto e ponte Mazzini.
Passano pochi giorni dall’evento e, accidenti, nessuno sa com’è successo, cominciano a montare bancarelle e impalcature per i bagordi dell’estate romana proprio sulla banchina del fiume dove i pregiati graffiti finiranno col diventare invisibili dietro fumi di salsicce e distorsori di chitarre.
Tanto per documentarci, mentre gli uffici comunali sono occupati a non comunicare tra loro, noi ce ne andiamo al Macro dove sono esposti i bozzetti di Kentridge preparatori alla realizzazione dell’opera definitiva.
E qui è dove il detto popolare del nostro titolo diventa più vero del vero.
Le immense figure alte come i muraglioni, ridotte alla dimensione di normali fogli da disegno perdono tutto il loro potere evocativo, intimidatorio, emozionante. Ci fermiamo davanti a una bacheca in cui scorre il ciclo completo delle immagini. E, come abbiamo detto, saranno travolgenti se alte dieci metri ma ridotte a pochi centimetri ci travolgono solo con la loro perduta magnificenza.
Fermi tutti! La storia del muraglione graffito non è finita. Leggiamo sui giornali degli ultimi giorni che lo scandalo sta crescendo troppo e la faccenda rischia di diventare non solo grave e imbarazzante, ma anche ridicola. Una figuraccia internazionale.
Marcia indietro. Gli stand della porchetta verranno spostati; deciso dal commissario Tronca.
Nel frattempo ci arriva questa notiziola contabile. Patetica e un po’ ridicola: la tariffa per occupare la banchina è di undici centesimi al dì per ogni metro quadro, e pare che fino al 2014 fosse dieci volte più bassa. Ovvero: come riuscire a farsi il massimo del danno con il minimo del guadagno.
Ultimissime! Al momento di andare in stampa (come si diceva una volta) arrivano altre notizie. Pare che i bancarellari non se ne vogliano andare e che abbiano controproposto di abbassare un po’ i tetti degli stand oppure di appendere proprio sulla riva del fiume una striscia di tela con dipinto quello che rimarrebbe coperto: un finto Kentridge in sostituzione di quello vero. La farsa continua.
Ce lo immaginiamo quel povero artista che, da bravo anglosassone, di sicuro non riesce neanche a immaginare la contorta inefficienza di un’amministrazione comunale italiana, peggio ancora romana. “Molto pitoresko – avrà esclamato – ma non mi fregano più”.
Invece, come si sa, questo ce lo diciamo un po’ tutti da sempre; e poi finisce che rimaniamo qui per colpa della irresistibile magia di questa ignobile, seducente città.
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