Christian è un giovane pianista talentuoso e tormentato, trasferitosi a Montréal per studiare in un’università prestigiosa. Lana è una bellissima ragazza della Florida, vittima delle fantasie morbose suscitate dal proprio aspetto, in partenza per Parigi dove parteciperà a un docu-reality per modelle. I loro destini sembrano uniti dal misterioso Blaxon, che entrambi hanno conosciuto in rete. Blaxon sparisce, ma continua a giocare con le paure più recondite dei due ragazzi.
Sono parecchi gli aspetti di “L’orizzonte della scomparsa” (Marsilio), il secondo romanzo di Giuliana Altamura, a colpire fortemente in positivo. In ordine crescente di importanza: l’ambiziosa complessità dei contenuti (una riflessione sulla contemporaneità attraverso il ruolo del web e dell’arte); lo studio (inteso come conoscenza delle fonti ma anche come conquista della necessaria capacità di scrittura) che porta l’autrice all’altezza della sua ambizione, evitando che questa si trasformi in presunzione; infine, la sorprendente dirompenza emotiva di quella che è in fondo una speculazione filosofica, in altre parole il fatto che un romanzo “di testa” arrivi dritto alla pancia e al cuore di chi legge, sicuramente coinvolgendolo e probabilmente anche sconvolgendolo come sa fare l’arte quando è davvero tale.
Per capire come abbia fatto Giuliana Altamura a ottenere un simile risultato, si può forse provare a partire dal titolo del suo romanzo. “L’orizzonte della scomparsa” è una citazione da Jean Baudrillard. Così infatti si chiama un capitolo di “Il delitto perfetto” (1995), il saggio in cui il sociologo francese descriveva il definitivo scollamento fra apparenza e realtà, riferendosi alla televisione ma anticipando ciò che sarebbe accaduto, con molta più forza, anni dopo con l’affermarsi del web. È proprio a Baudrillard, ma anche a René Girard e a Zygmunt Bauman, che Giuliana Altamura si rifà per definire il proprio orizzonte, “quella sottile linea di confine fra il reale e il virtuale su cui tutta la vicenda prende forma”, per dirla con le parole dell’autrice.
Sebbene qui usato in senso metaforico, quello di orizzonte è un concetto fisico, il che ci riporta a una caratteristica del processo creativo seguito dall’autrice, da lei stessa svelata durante la prima presentazione del romanzo, lo scorso 16 febbraio alla Libreria Lirus di Milano: “Le mie storie partono sempre da suggestioni dettate da luoghi”. Non è un caso, allora, che il suo racconto nell’antologia “Quello che hai amato” (Utet 2015, a cura di Violetta Bellocchio) si intitoli “Tutti i luoghi del mio abbandono”. Anche il suo primo romanzo, “Corpi di Gloria” (Marsilio, 2014), era saldamente poggiato su un luogo (un complesso turistico frequentato dai pugliesi bene) e sul suo forte potere evocativo in quanto casa, terra delle radici, prigione dorata.
Forse allora è questo il segreto della forza empatica di “L’orizzonte della scomparsa”: tutto il romanzo – la sua struttura, i suoi personaggi, le sue vicende – nasce da sensazioni reali, prima che da riflessioni teoriche. E il fatto che rispetto al primo romanzo l’orizzonte si sia allargato a luoghi lontani dall’Italia, sparpagliati fra due continenti, va in parallelo con il respiro più ampio e complesso di questa seconda prova, e con la sua internazionalità, intesa come opposto di provincialismo. “I personaggi di ‘Corpi di Gloria’ sono cresciuti, e vanno in giro per il mondo” ha spiegato Giuliana Altamura nella sua recente presentazione. È cresciuta anche lei, aggiungiamo noi, passando dallo status di giovane promessa a quello di giovane realtà, e dimostrandosi pronta a soddisfare a fondo i lettori più acuti ed esigenti. (Angelo Pugliese)