Dopo 50 anni dalla sua prima uscita, avvenuta il 1 giugno del 1967, rivede la luce quello che viene considerato il più bel disco dei Beatles, Sgt. Pepper’s lonely hearts club band. Viene ripubblicato il 26 maggio, remixato a partire dai nastri originali a quattro piste ad 1 pollice, incisi su un registratore Studer 4 tracce (all’epoca il top della tecnologia dei multitraccia, ora ce ne sono infinite…) e tenendo come riferimento il primo mix mono, che era il preferito dai Beatles, sotto la geniale produzione di George Martin, scomparso lo scorso anno.
Il club dei cuori solitari del sergente Pepper, più che una raccolta di canzoni è un antesignano dei “concept album” del rock e del pop, quei dischi che avevano un unico plot sviluppato al suo interno. Eseguito da un immaginario gruppo di musicisti d’epoca vittoriana, venne considerato un’opera d’arte assoluta, il primo dei dischi pop per la rivista Rolling Stone tra i 500 più importanti della Storia. Con i suoi 32 milioni di album venduti (comunque un terzo di Thriller di Michael Jackson) rappresentò una svolta musicale del quartetto, anche per la qualità della scrittura delle canzoni e la complessità delle registrazioni, durate 129 giorni, per un totale di 700 ore e un costo di 25.000 sterline, una follia per il tempo. Un’orchestra d’archi diretta da George Martin, sovrapposizioni di ottoni, con corni francesi in primis, effetti sonori sorprendenti, la cura della registrazione e dei missaggi, giustificarono, tutto sommato, il lungo periodo in sala (lo studio Due della EMI di Londra) e i costi esosi.
I brani famosissimi, da With a Little Help from My Friends, Lucy in the Sky with Diamonds (si credeva che le iniziali del titolo mascherassero un inno all’acido lisergico, appunto con la sigla LSD, in realtà era un omaggio che papà John vide in un disegno del piccolo Julian Lennon dedicato ad una sua compagna di scuola), alla nostalgica e magnifica She’s Leaving Home, o all’assoluto capolavoro di A Day in the Life, considerata da molti la più bella canzone dei Beatles, sono in realtà i ricordi struggenti messi in musica e poesia dell’adolescenza dei Fab Four a Liverpool. Da qui il “concept album” che la critica accolse con frasi come: “i Beatles sono riusciti a fare della musica pop qualcosa che si ascolta seriamente, e che si potrebbe trattare come qualsiasi altro tipo di espressione artistica” o ” L’influenza di Sergeant Pepper sulla musica pop è stata enorme, in quanto questo disco avrebbe dato ispirazione a tutta una serie di album di altri musicisti, che ambiscono a proporsi come discorsi definitivi sulla condizione umana. Ci fu comunque qualcuno a cui il disco non piacque, e disse che i Beatles “erano come i vicini di casa, i ragazzi in cui tutti si sarebbero potuti identificare. Adesso, dopo quattro anni, si sono isolati personalmente e musicalmente. Sono diventati meditativi, introversi, esclusivi ed esclusi.”
Va ricordato che due meravigliosi brani non trovarono posto nel disco: Strawberry fields forever e Penny Lane, che però uscirono come singoli nel febbraio del 1967. Questo venne definito testualmente da Georg Martin come “l’errore più grande della sua vita di produttore”. Le due canzoni restaurate sono fortunatamente contenute nella nuova edizione del cinquantenario. Un’ultima annotazione va alla copertina del disco, che è un manifesto assoluto della nascente pop art, dalla grafica originalissima, e contenente tutta una serie di personaggi, importanti miti dell’adolescenza dei Beatles. Si riconoscono intorno ai Nostri Quattro (che sono rappresentati con divise vittoriane coloratissime): Albert Einstein, Marlon Brando, Karl Marx, Edgar Allan Poe, Sonny Liston, Lenny Bruce, Mae West e tantissimi altri, probabilmente il pubblico che i Beatles avrebbero voluto fosse il loro. Furono scartati dalla copertina Adolf Hitler, Gandhi e Gesù, immaginiamo per ragioni di opportunità. Ma tanto bastava perché, come disse una volta proprio Lennon, loro erano “i Beatles, più famosi di Gesù Cristo!”