Il loro corpo è strumento di resistenza. Sovversive, amanti di anarchici, più semplicemente criminali secondo il regime fascista. Puttane che rivendicano la libertà dei loro corpi. Multate, ammonite, recluse, confinate, internate, soggette a oblio. Non partigiane, né eroine come si potrebbe pensare. Sono le storie di Agnese, Emilia, Palmira, Filomena, Maria, Celestina, Giuseppa. 27 prostitute di tutta Italia schedate dal regime dal 1927 al 1942, che tornano a far vibrare le loro vite grazie ad una ricerca storica nel libro “Puttane antifasciste nelle carte di polizia” dello storico Matteo Dalena.
Le loro sono vite da dimenticare perchè scomode. Ma anche e soprattutto perché fascinose, piccole, ambigue, difficili da afferrare. Figure sbiadite, donne di sangue dimoranti nei bassi di città decadenti dove l’esercizio della prostituzione è anticamera del crimine ma anche contenitore di piccole, quotidiane, resistenze al fascismo.
Urlano e si dimenano contro il sistema, contro quelle guardie che le fermano e le incarcerano perchè meretrici. Come difendersi se non vomitando la loro sovversione sul più caro simbolo di quelle istituzioni che le rifiutano: il duce.
Come Maria che quando viene “fermata per misure di moralità, esclama: «Se ammazzano Mussolini non mi arresterete più». Denunciata per offese al capo del governo, il 7 marzo viene condannata con sentenza del tribunale di Bologna a 7 mesi e 10 giorni di reclusione”.
Così venivano trattate le ultime tra le ultime. Non c’era posto per loro nel medagliere sociale de Duce, non erano neanche accostabili alle madri gloriose delle virtù fasciste. Loro erano “ebeti”, “antifasciste”, “prostitute nate”. Immorali, ma secondo chi?
“La prostituzione è una delle grandi regioni sfruttate della storia” ammette l’autore Matteo Dalena. “Sottrarre queste donne all’oblio della memoria significa ridar loro dignità di individui, i cui nomi sono balzati alla ribalta unicamente per il loro incontro-scontro con il potere: come prostitute e come antifasciste. Punite duramente per aver espresso la propria contrarietà al regime. Carcerate, internate e confinate per una frase o un gesto”.
La storia di Maria Degli Esposti “prostituta antifascista senza fissa dimora”. “Uno scatto frontale, l’altro di profilo. Le braccia conserte e il broncio scolpito in volto. Ore di attesa prima della schedatura in questura a Bologna nella notte del 3 marzo del 1928. «Espressione fisionomica: da ebete», così Maria Degli Esposti «prostituta antifascista senza fissa dimora», entra nel grande schedario dei sovversivi. Porta in viso i segni dell’ idiozia, probabilmente glielo dicono in faccia mentre compilano la sua scheda: «alta 1 metro e 62, corporatura robusta, capelli colore castano scuro, colorito pallido, forma del viso ovale, occhi castani, naso schiacciato».
Mancante di pudore, dedita agli alcoolici, violenta: Maria sembra possedere alcuni dei principali requisiti lombrosiani della “prostituta nata”. Maria, donna-ebete è un’abitué del crimine. Tra i precedenti, i funzionari sottolineano una condanna a 1 anno e 6 mesi di reclusione inflittagli dalla corte d’appello di Bologna nel febbraio del 1923 per furto aggravato. Tre anni dopo, con sentenza del pretore di Bologna, viene condannata a 6 giorni di arresto e a un anno di vigilanza speciale da parte della pubblica sicurezza per contravvenzione al monito. Nonostante non abbia altri precedenti «in linea politica», il 28 gennaio del 1929 il prefetto di Bologna comunica che «la soprascritta prostituta e pregiudicata è stata destinata alla Colonia di Gavoi (Nuoro), per dove ne è stata disposta la traduzione». Tre anni di confino. Non si hanno notizie di Maria fino al 17 marzo del 1937 quando la prefettura di Bologna invia al Casellario una «informativa avente ad oggetto Degli Esposti Maria», non più soltanto donna-ebete ma «già confinata comune, antifascista, demente». Maria si trova a Cagliari, ricoverata nell’ospedale psichiatrico provinciale perché affetta da «demenza paranoide con prognosi sfavorevole». Il suo fascicolo si chiude con una nota del prefetto di Bologna che per lei ha il sapore di sentenza definitiva: «Non se ne prevede la prossima dimissione».
Scheda libro.
Titolo: “Puttane antifasciste nelle carte di polizia”, in libreria dal 24 giugno
editore: il filorosso (Cosenza, 2017)
con i contributi di Maria Pina Iannuzzi, Giovanna Vingelli, Alessandra Carelli
autore: Matteo Dalena
giornalista pubblicista e storico. Collabora con la Rutgers University (Università del New Jersey) in ricerche di storia sociale e familiare. Membro della “Commissione di studi storici e Vice Presidente ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) per la Provincia di Cosenza sezione “Paolo Cappello”, collabora con l’Archivio delle memorie migranti di Roma. Nel 2015 ha pubblicato “Ricovero Umberto I. La prigione degli inutili” insieme ad Alessandra Carelli.