Se è vero che a “crepare di maggio ci vuole tanto troppo coraggio”, come cantò Il poeta cantautore Fabrizio De André nella celebre “Guerra di Piero” è pur vero che ci vuole un po’ di sfiga ad andarsene in pieno agosto, come è accaduto a Claudio Lolli, altro poeta-cantautore, certo meno celebre di Fabrizio, ma non per questo meno poeta.
Già…morire in agosto e soprattutto nella settimana di un Ferragosto segnato appena tre giorni prima da una tragedia come il crollo del ponte di Genova e poche ore dopo la morte della grandissima Aretha Franklin. Ecco, questo ho pensato quando il 18 agosto ho visto non molte persone in quella sala messa a disposizione dal Comune di Bologna per l’ultimo saluto a Claudio Lolli, il poeta cantautore simbolo della gioventù politicizzata degli anni 70. A distanza di giorni vado a rivedere le pagine Internet con tutti i “coccodrilli” che gli hanno dedicato ed è triste vedere che anche i migliori critici musicali erano in vacanza in quei giorni. I “coccodrilli” sono, nel gergo giornalistico, quei pezzi che si approntano velocemente per ricordare la scomparsa di un personaggio noto, ormai solitamente si fanno “copia e incolla” da Wikipedia o dai siti specializzati in biografie, ma talvolta si leggono articoli davvero struggenti e le lacrime non sono quelle da coccodrillo, ma lacrime vere.
A parte la sfiga, agosto mi fa tornare in mente le parole di una canzone contenuta nel disco che portò la notorietà a Claudio Lolli nel 1976, disco in cui il cantautore bolognese apriva i suoi splendidi testi alla melodia bellissima di “ho visto anche degli zingari felici, corrersi dietro, far l’amore e rotolarsi per terra, ho visto anche degli zingari felici in Piazza Maggiore ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra”. Ma torniamo ad “Agosto”, il brano in cui Lolli ricorda la strage del treno Italicus(4 agosto 1974): “Agosto, si muore di caldo e di sudore. Si muore ancora di guerra non certo d’amore, si muore di bombe, di muore di stragi più o meno di stato, si muore, si crolla, si esplode, si piange, si urla. Un treno è saltato.” E come non collegare il crollo del ponte di Genova del 14 agosto 2018 al treno esploso nell’Appennino tosco-emiliano 44 anni prima? E poi ancora in “Piazza, bella piazza” il racconto dei funerali di dieci delle dodici vittime della strage “Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza…E fu il giorno dello stupore e fu il giorno dell’impotenza, si sentiva battere il cuore, di Leone avrei fatto senza, si sentiva qualcuno urlare “solo fischi per quei maiali, siamo stanchi di ritrovarci solamente a dei funerali”. E qui ancora come non pensare ai fischi che Genova ha riservato a certi politici ai funerali delle vittime del ponte?
Ora vorrei che Claudio Lolli non passi dalle nostre vite come quella lepre pazza che girava per quella “piazza, bella piazza”, bella perché “Ci passò tutta una città, calda e tesa come un’anguilla, si sentiva battere il cuore, ci mancò solo una scintilla; capivamo di essere tanti, capivamo di essere forti, il problema era solamente come farlo capire ai morti.”
E vorrei rivolgermi ai ragazzi di oggi, ma anche al giovane assessore alla cultura del Comune di Bologna, che non sa come ricordarlo semplicemente perché , come ha scritto sulla sua pagina Facebook, non lo ha mai conosciuto e, forse, non ha mai ascoltato una sua canzone. Vorrei provare a raccontare chi è stato il poeta cantautore Claudio Lolli, come ha vissuto la sua vita, anche perché temo che molti di questi giovani possano essere ingannati dal mito di un cantautore triste e sfigato. No, non parlate di tristezza, perché la cifra di Lolli era quella della pura malinconia, almeno nelle canzoni dei suoi primi dischi degli anni settanta, ma non confondete la malinconia con la tristezza.
Perchè Claudio va ricordato anche per quel che ha fatto dal 1980, anno in cui cambiò completamente registro musicale con “Extranei” (ascoltate ad esempio la splendida “Non aprire mai”) e ancor di più col successivo “Antipatici antipodi” del 1983 che portò addirittura Claudio a cantare sul palco del teatro Petruzzelli di Bari nella rassegna “Azzurro ’83” e peraltro a vincere la gara con la sua casa discografica, la EMI, insieme con Nada, Alice, Garbo, Peter Tosh, Richie Havens e Battiato, presentando la sua “Notte americana”: “…e mentre mancano alcune ore all’obbligo della mattina, la pioggia mi regala delle gocce, meravigliosa brillantina. Forse siamo tutti nati per correre, penso, mentre faccio una gran fatica a staccare dall’asfalto di cioccolata la mia suola di gomma metropolitana, in questa notte americana..”.
E in quello stesso disco dalla coloratissima copertina curata da Andrea Pazienza, c’erano due autentiche perle dedicate al mondo dell’automobilismo, “Villeneuve” e “Formula Uno” (scritta dal poeta Roberto Roversi, già autore di testi per Lucio Dalla nei primi anni settanta), tanto per ricordare che lui, Claudio, non poteva restare legato al clichè del cantautore politico: “…Tutte le pecore ormai sono disperse, di là dal ponte l’aria è piena di terra mentre tra la polvere alta e il mare passano rapidi i piloti, uno per uno, da Borzacchini a Villeneuve…”. Peccato che in pochi si accorsero di questo belissimo disco, come pure del successivo del 1988 che portava semplicemente il suo nome e conteneva appena sette canzoni, ma una più bella dell’altra, che non sapresti davvero quale scegliere. Sul retro della copertina c’è un bellissimo testo di Stefano Benni, in cui racconta di quella volta che Claudio, a metà degli anni settanta, fu l’unico a rispondere immediatamente all’appello di una radio bolognese piena di debiti e a cantare per salvare la libertà di quella radio. Ecco, se siete arrivati a leggere fin qui e avete in mente solo il Claudio Lolli della “Vecchia piccola borghesia” o degli zingari felici e della “piazza bella piazza ci passò una lepre pazza”, allora cliccate su youtube e ascoltate “Via col vento”, la lettera scritta ai ragazzi a cui insegnava al liceo in quegli anni ottanta, gli anni di Reagan, Gorbaciov e soprattutto della Thatcher: “…e per finire il sogno di questa mattina, c’era un vecchio in piedi sopra una panchina,un po’ ubriaco che predicava di niente e ripeteva la stessa frase ad un pubblico inesistente: “cari ragazzi dell’ottanta noi santi volgari ed ignoranti eroi, rompere i vetri in caso di soffocamento… e via col vento…”.
Perché Claudio Lolli ha continuato a fare il professore e a vivere di insegnamento da allora in poi, non rinunciando a incidere le sue canzoni-poesie, come la splendida “Keaton” che aveva scritto con l’amico Francesco Guccini, che l’aveva già incisa nel 1987. O anche quell’altra splendida canzone sportiva, “Le rose di Pantani”, la poesia di Gianni D’Elia dedicata al tragico epilogo del ciclista-pirata. E poi non si è mai fermato nel suo “viaggio in Italia”, con l’inseparabile chitarrista Paolo Capodacqua, regalandoci tanti concerti e tutta la sua ironia nel riproporre i vecchi cavalli di battaglia. E provo pure a sfatare lo stereotipo del cantautore di sinistra e mangiapreti, rivelando che l’ho visto esibirsi ben tre volte nelle chiese, l’ultima fu proprio nelle campagne intorno a Monopoli, invitato dal suo grande fan, Antonino Di Stefano, che ancora oggi ricorda il tempo in cui Claudio soggiornò lì, lui che è passato alla storia come il cantore degli zingari felici, a cantare nella chiesetta di San Marco in contrada Zingarello! Ciao Claudio! E se al protagonista della tua celebre “Aspettando Godot” facesti dire “ho incominciato a vivere forte, proprio andando incontro alla morte”, credo che invece tu abbia vissuto sempre con forza e coerenza la tua vita e che per sempre sarai nella tua “piazza, bella piazza”!