Rula Jebreal "che ama le parole" ci ha fatto un dono: raccontare il suo pezzo di inferno per salvarci tutte
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Rula Jebreal "che ama le parole" ci ha fatto un dono: raccontare il suo pezzo di inferno per salvarci tutte

Il monologo della giornalista palestinese ha commosso l'Ariston nella prima serata del festival.

Rula Jebreal
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Claudia Sarritzu Modifica articolo

5 Febbraio 2020 - 08.33


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“Mia madre si è suicidata, dandosi fuoco, quando avevo 5 anni. E’ stata brutalizzata e stuprata due volte”.
Ditemi! Quanto coraggio ci vuole a raccontare questa storia nel palco più famoso d’Italia? Sanremo lo vedono tutti anche quelli che non lo guardano. Sarà solo per criticare o per fare ironia sugli ospiti, non c’è italiano che non lo segua. 
Per questo è importante che chi conduce questo Festival, chi ci lavora, chi prende parola lo faccia per mandare messaggi positivi. 
Ma il monologo di Rula Jebreal, giornalista internazionale, scrittrice e esperta di Medio Oriente, è coraggio allo stato puro. 
Si sacrifica, sceglie di fare la valletta per una sera. Presenta i cantanti, lei che è consulente del governo Macron, che ha presentato Barack Obama, che lavora per le più importanti testate giornalistiche al mondo. Quanta umiltà e determinazione nel tentare con la sua testimonianza di scalfire dalla testa di un’Italia intera una cultura misogina di cui lei è stata vittima indiscussa. 
Quanto piccole ci siamo sentite. Noi che abbiamo avuto una vita regolare. Abbiamo entrambi i genitori. Abbiamo potuto studiare nelle nostre case accoglienti. Noi che non abbiamo macigni sul cuore.
La scrittrice ha scelto di raccontare il suo doloroso passato e la perdita della madre che si è suicidata. “Sono cresciuta in un orfanotrofio, insieme a centinaia di bambine: la sera ci raccontavamo le nostre storie tristi, che toglievano il sonno. Erano le storie delle nostre mamme: stuprate, uccise”, ha detto dal palco dell’Ariston. “Mia madre ha perso il suo ultimo treno quando io avevo 5 anni: si è suicidata, dandosi fuoco”, ha spiegato ancora, aggiungendo: “Il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, era stato il luogo della sua tortura. Brutalizzata e stuprata due volte”.

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Il monologo ha preso il via con le domande più frequenti rivolte alle donne vittime di violenza nelle aule di tribunale: “Aveva la biancheria intima quella sera?”, “Trova sexy gli uomini con i jeans?”, per citarne alcune. L’obiettivo: denunciare “una verità amara, crudele: noi donne non siamo mai innocenti, perché abbiamo denunciato troppo tardi o troppo presto, p perché siamo troppo belle o troppo brutte, insomma ce la siamo voluta”, ha spiegato Jebreal. Poi spazio ai numeri: “Negli ultimi tre anni 3 milioni 150mila donne sono state vittime di violenze sessuali sul posto di lavoro, negli ultimi due anni 88 donne al giorno hanno subito abusi e violenze, una ogni 15 minuti, ogni tre giorni viene uccisa una donna, sei donne sono state ammazzate solo la scorsa settimana. E nell’80 per cento dei casi il carnefice non ha bisogno di bussare, ha le chiavi di casa”.
E poi l’appello più importante. Rivolto agli uomini: indignatevi con noi. 

Infine, l’invito alle donne. “È necessario parlare, il senso in fondo è nelle parole giuste e nelle domande giuste”. E agli uomini: “Lasciateci essere quello che siamo e quello che vogliamo essere. siate nostri complici, nostri compagni, indignatevi con noi”.

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