Andrea Lapponi era il “pischello” di Radio Città Futura, la radio che ho diretto nei gloriosi anni 90, quando con un gruppo di lavoratori, di speaker e di conduttori musicali ci prendemmo con forza, tigna e coraggio, il testimone di una delle emittenti più libere d’Italia, antagoniste si direbbe oggi. Andrea arrivò con i suoi dischi, come tanti, con quella voglia di denunciare, raccontare, condividere la sua idea di politica, i suoi suoni soprattutto. E’ musicista Andrea, all’epoca abitava a Testaccio, con una gatta che correva sui cornicioni. Poi Città Futura, come le più “belle cose” di De Andé fu svenduta per una piatto di lenticchie a un gruppo editoriale che l’avrebbe dovuta rilanciare e che invece ne ha decretato la fine. Non esiste più, date via anche le frequenze. Fine di un’epoca. Ho rincontrato Lapponi, il “pischello”, su Facebook. Era a Barcellona ora, con una compagna e due figlie piccoline.
Ne ho ritrovato tutta la rabbia, l’impegno, quando, giorno dopo giorno, durante il referendum per l’indipendenza della Catalogna ha iniziato a raccontarci sui social quello che accadeva nelle piazze, nelle vie più periferiche, nelle case. Lo sgomento, la passione, i supermercati chiusi, gli scioperi, le proteste di un popolo, la difficoltà nel portare le bambine a scuola, le strade chiuse dalla Guardia Civil, i check point mai visti e da attraversare per andare a suonare da un luogo all’altro della Spagna, le manifestazioni, le lacrime, le bandiere. Un popolo, due popoli, quanti siamo? E c’è un sogno di libertà, pacifico, che si può ancora perseguire senza che uomini e donne che non hanno commesso alcun reato finiscano in carcere o in esilio? Tutto questo è un libro, ora, si intitola “Diario dalla Catalogna”, esce per le edizioni PaginaUno, 500 fittissime pagine di un italiano che si è innamorato di una terra, di un’istanza di libertà, che ci ha creduto. Che ha creduto che un intero Continente non potesse consentire la vergogna della Corte Suprema spagnola che ha condannato l’ex presidente della Generalitat a 13 anni di carcere. E poi i mandati di cattura internazionali, la polizia che carica i dimostranti, Carles Puigdemont costretto alla fuga e che infine arriva al Parlamento Europeo con un badge temporaneo.
E’ la storia di una frattura questo libro. Quello che decide un popolo, attraverso democratica consultazione, e quello che pretende il potere. Perché vale la pena di chiedersi quanto conti il potere economico nei peggiori divorzi, tipo Brexit. A chi è consentito, a chi no.
Andrea Lapponi ha raccontato questa crepa non come giornalista – di reportage ne abbiamo letti molti e formidabili – ma come come cittadino, perfino con le ingenuità di una persona comune che vive la propria esistenza semplice e si trova al centro di una contraddizione epocale: la distanza tra un’aspirazione collettiva, votata, definita e la violenza del potere. Il basso, l’alto.
Noi di Globalist ce ne accorgemmo subito che quei racconti di strada, randagi, senza alcuna deformazione professionale, alcuna censura, erano carne viva per raccontare quanto stava accadendo in Catalogna, in Spagna, in Europa. Andrea cominciò a scrivere per noi, ogni giorno, a mandarci foto che non esistevano sulle agenzie, a raccontarci con passo mobile, parole veloci, quella città futura che ieri come oggi ci è stata negata.
E’ un bel libro quello di Andrea Lapponi, è appassionato e appassionante come una vita, riaccende la luce su un tema che abbiamo scordato, sulle crepe che non fanno filtrare il sole. Oggi che i riflettori in Catalogna non esistono più vale la pena ricordare che in questa storia, molto poco distante dall’Italia, c’è chi ha pagato e sta pagando solo per la libertà d’opinione.
Spanish Bombs, avrebbero cantato i Clash.