“Mi ha colpito che qualcuno mi ha detto: quest’anno mi è andata bene che il 25 aprile cade di sabato, perché se no dovevi parlarne a Piazzapulita. Perché il 25 aprile è risaputamente un argomento retorico. Ecco perché ne parlo oggi”. Esordisce così il monologo di Stefano Massini, che stasera racconta la storia di Marcello: “All’inizio del 2000, Marcello andava nelle scuole insieme a quelli che hanno fatto la Resistenza insieme a lui, ma faceva parlare sempre gli altri. Ma poi, quando si è trovato solo, ha raccontato la sua di storia: lui era un figlio di contadini che negli anni ’40 andava all’università. Arrivò la guerra, ma continuava a studiare di notte, dopocena, fino a tarda ora. Ma i vicini di casa non l’avevano digerita questa cosa che un figlio di contadini andasse all’Università e quella luce accesa non li convinceva: chiamarono la polizia. Lo picchiarono perché sospettato di essere contro il regime, non gli credevano che studiava, perché era figlio di contadini. E giù botte. ‘Io a casa ho gli appunti’ diceva Marcello, ma ‘sono pieni di cifre strane: dacci la chiave per decifrare cosa c’è scritto’ gli rispondevano loro. Marcello racconta che alla fine lo lasciarono stare e fu rimandato a casa. E aggiungeva che dal giorno dopo divenne parte della Resistenza, perché ogni pugno, ogni schiaffo, ogni calcio, era una ragione più che buona perché quella porcheria finisse”.
“L’altro giorno, quando ho cercato di contattare Marcello, ho scoperto che è stato ucciso dal Coronavirus. Mi ha fatto ricordare un libro, Fahrenheit 451, dove si dice che ci sono persone che imparano i libri a memoria, affinché la memoria di quelle parole continuino nei loro corpi. Io vorrei dire a Marcello che la sua storia la racconto io, me ne prendo la responsabilità, anche se tu e tanti come te non possono più farlo. E a chi pensa che sia retorico dico: la memoria è la risposta alla domanda del perché siamo qui, e perché siamo così. Pensiamo che la memoria sia come un film d’avventura, che sappiamo come va a finire. Ma chi se ne frega se sappiamo chi sono i buoni e chi sono i cattivi, perché quella è la ragione per cui abbiamo la libertà di dire che questa cosa è retorica. Sono arrabbiato con chi parla di retorica, con chi dice che quei pugni presi da Marcello sono retorici. A questi esperti di retorica, io che la retorica la insegno all’università vorrei rispondere con una frase che possiede, guarda caso, quattro figure retoriche: l’invettiva, il climax, l’apostrofe e l’iperbole: “ che se ne vadano a fanculo”.