Il racconto dei Filarmonici di Busseto: "Il nostro concerto nel teatro Regio vuoto"
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Il racconto dei Filarmonici di Busseto: "Il nostro concerto nel teatro Regio vuoto"

I cinque sono andati in scena in streaming, proponendo i pezzi forti del loro repertorio, quelli che il pubblico sapeva di ritrovare anno dopo anno. Un concerto pre registrato e al primo impatto surreale.

I Filarmonici di Busseto
I Filarmonici di Busseto
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Marco Buttafuoco Modifica articolo

2 Gennaio 2021 - 18.30


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Parma ha da ventuno anni il suo concerto di Capodanno e non ha voluto rinunciare a questa tradizione nemmeno  nei tempi bui del Covid. E’un evento seguitissimo in città. Sul palco, fin dalla prima edizione, tenuta in un piccolo cinema di teatro di periferia,  salgono i Filarmonici di Busseto. Un quartetto, all’inizio, formato dal clarinettista Corrado Giuffredi, dal fisarmonicista Cesare Chiacchiaretta, dal chitarrista Giampaolo Bandini,  da un contrabbassista (nell’edizione di ieri era Antonio Mercurio, ma nel ruolo si sono avvicendati vari strumentisti nel corso degli anni) cui negli anni si è aggiunto un percussionista (Roger Catino nella performance di ieri sera). Una formazione quasi da ballo popolare i cui concerti sono sempre stati al confine fra intrattenimento e concerto classico vero e proprio. 

Una “band” raffinata e scanzonata, i cui componenti hanno suonato, in varie situazioni,  nei principali teatri del mondo.  Il repertorio di inizio anno prevede, naturalmente, le musiche della famiglia Strauss, pagine popolari di Verdi, Rossini, musica Yiddish, ma anche Gershwin e  Piazzolla. Musiche allegre,  ma con qualche brano malinconico qua e là, come si addice a una festa di passaggio quale quella del cambio di anno. Nel tempo il palcoscenico si era spostato all’Auditorium Paganini ( circa settecento posti) sul quale il gruppo teneva , nel pomeriggio di Capodanno , ben due concerti pomeridiani, occasioni d’incontri nel foyer, di auguri, di sorrisi.

Ieri sera, invece, i cinque sono andati in scena dal Teatro Regio, in streaming, proponendo i pezzi forti del loro repertorio, quelli che il pubblico sapeva di ritrovare anno dopo anno. Un concerto pre registrato e, al primo impatto, un po’ surreale. Alle spalle dei musicisti si vedeva chiaramente il palco Reale e i palchi, quasi il gruppo desse le spalle alla platea vuota. In realtà i musicisti erano  proprio sul parquet della platea, liberato dalle poltroncine. 

Il Regio sembrava quindi un set cinematografico, i palchi vuoti apparivano come uno scenario dipinto. L’altro effetto straniante era dato dalla successione dei pezzi, trasmessi uno dietro l’altro, senza una pausa. Fin troppo facile dire che mancava il calore del pubblico, il silenzio magico che sta fra la fine di un brano e l’applauso. Mancavano le battute scherzose dei musicisti ( spesso in dialetto parmigiano), il brusio del pubblico, l’allegria palpabile dei concerti dal vivo. A ricordare però lo spirito tradizionale del concerto ha pensato Roger Catino, che si è esibito in un divertente assolo alla macchina da scrivere sulla musica di Typewriter, un brano di Leroy Anderson su cui Jerry Lewis costruì uno dei suoi più celebri sketch. Certo dopo aver ascoltato  l’Addio al Passato da Traviata, l’adagio del Concierto de Aranjuez, il Bolero di Ravel e la straziante Oblivion di Astor Piazzolla a prevalere era una certa “saudade”. Anche brani come Blues, da Un americano a Parigi ( nell’arrangiamento di Hengel Gualdi, musicista che Corrado Giuffredi, insigne clarinettista classico, stimava moltissimo) lasciavano quel senso di perdita, di cose che non sono più. Per non parlare delle musiche circensi di Nino Rota. Il gran finale del concerto prevedeva, da sempre,  che il gruppo ( a parte, ovviamente il batterista)  eseguendo Libertango, lasciasse il palcoscenico e scendesse fra il pubblico mentre il clarinetto teneva per minuti e minuti un’unica nota ( con una tecnica di respirazione circolare che Giuffredi dice di aver imparato da un incantatore di serpenti marocchino).  Ieri sera, ovviamente niente di circense, nessun effetto speciale, solo la sottile malinconia del capodanno, filtrata da esecuzioni perfette, come al solito, e appassionate,  e dalla una regia cinematografica coinvolgente (pietro Tagliaferri). Questo sentiva l’ascoltatore, che intanto riceveva, in continuazione,  messaggi da amici che commentavano il concerto.
“ Noi, in realtà- mi ha detto però poi Giampaolo Bandini- ci siamo divertiti moltissimo, come al solito. E’vero che negli anni scorsi eravamo più liberi, che il calore del pubblico ci permetteva qualche piccola licenza, qualche leggerezza. Quest’anno il concerto è stato trasmesso in tredici città, grazie alla piattaforma del Comitato Amur e questo ci ha imposto di non giocare troppo , di essere impeccabili e seri. Grazie alla rete abbiamo  però trasmesso la nostra musica a più persone. Questo ci fa sentire che la musica non si ferma nemmeno davanti alla tragedia dei nostri giorni. Torneremo ancora dal vivo, a fare festa con il pubblico”. 

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