di Antonello Sette
Lavia, mi spiega i motivi dell’accanimento terapeutico contro il teatro?
La scelta di chiudere i teatri nasce originariamente dalla paura del contagio – spiega il grande attore teatrale rispondendo all’Agenzia SprayNews – Posso, però, dirle, con cognizione di causa, che i teatri sono luoghi sicuri perché il pubblico è composto da persone avvedute. Ogni spettatore ha un posto e nessun altro. Non cè mai confusione, disordine. Non c’è mai la corsa ai, come dicono a Roma, mejo posti. Non funziona mai così. Il teatro è rigorosamente ordinato. La cerimonia del teatro ha bisogno per venir celebrata nel rigore e il pubblico lo sa. Anche gli attori sanno che per fare teatro ci vuole rigore e rispetto delle regole. Tutti lo sanno, da sempre, a priori. Contagio o non contagio. Ci sono altri luoghi veramente pericolosi che, invece, sono aperti. Lei è di Roma. Mi chiedo perché non guardate le fotografie delle gente che la domenica affolla Porta Portese. Tutti insieme appassionatamente. Appiccicati gli uni agli altri. Oppure la calca sulle scalette di Piazza Trilussa. Quelli sì che sono luoghi pericolosi. Non il teatro.
Di chi è la colpa di questa evidente disparità di trattamento? Semplicismo, cretineria?
Non è semplicismo. C’è il trucco. È un grande affare tenere chiusi i teatri. Si pagano gli stipendi, ma non si fa teatro. Che cosa ci si può aspettare di meglio. Si ricevono i contributi, come se si facesse teatro, si pagano gli stipendi agli impiegati e non si scritturano quei rompicoglioni degli attori.
Mi faccia capire meglio.
Lei crede che in questo momento, mentre noi stiamo parlando, teatri pubblici non stiano pagando gli stipendi a centinaia, centinaia e centinaia di impiegati in tutta Italia. Solo gli attori sono colpiti, se i sipari restano abbassati. I teatri sono chiusi perché è un affare per i teatri pubblici. Quelli che dovrebbero avere più doveri di tutti. Un dovere etico perché il teatro è un fenomeno etico, dell’ethos storico dell’uomo. Bisogna dire le cose come stanno.
Lavia, quale è la cosa che l’ha più fatta arrabbiare in questo lungo anno di forzata inattività?
Non mi indigno, non mi arrabbio, sono rammaricato. Il teatro è un luogo sicuro, mentre non sono sicuri lo shopping nei grandi magazzini e lo struscio del sabato pomeriggio. O la gente assiepata sui Navigli a Milano.
Gli attori, mi ha detto la direttrice dello Stabile di Catania Laura Sicignano, fanno fatica a sopravvivere e molti di loro sono via via costretti a cambiare mestiere…
In genere si mangia un paio di volte al giorno. Ci si può ridurre a un pasto solo. L’attore non è una di quelle professioni che consentono di metterti da parte del denaro. L’attore una volta lavorava sette mesi all’anno. Da tempo si era scesi a meno della metà. Le tournée si erano contratte.
Per quale motivo? Per colpa di chi?
Hanno cambiato le regole. Hanno ridotto quello che una volta si chiamava il borderò, vale a dire il numero di spettacoli che un teatro pubblico deve mettere in scena per accedere alle sovvenzioni. Quando il numero delle recite era più alto, gli attori avevano più possibilità di essere scritturati e tutto, come si diceva in gergo, girava. Ora non gira più niente. La diminutio è frutto della volontaria demenza di chi aveva il potere di farlo. A Mario Draghi, che sicuramente è una persona intelligente e perbene, chiedo di porre rimedio a questo orrore.
Orrore perché?
Perché il teatro è la cosa più importante che l’uomo ha inventato. L’uomo si è accorto di essere l’uomo che era vedendosi rappresentato. Ci vorrebbe la volontà di rimettere a posto le cose. Una volontà che sinora purtroppo non c’è stata. Spero che Draghi sia messo al corrente. Avvertito. Forse è lui l’uomo giusto per rimettere a posto le cose.
Quale consiglio si sente di potergli dare?
In questo Paese è necessario un ministro del Teatro. Il ministro della Cultura è una cosa un po’ fumosa. Cultura… Che vuol dire? Di che cosa stiamo parlando? Il ministro dell’Agricoltura è qualcosa. La cultura…Io vorrei chiedere a lor signori che cosa intendono per cultura.
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