di Orsola Severini
Valentina Mira, giovane giornalista romana, esordisce con X, edito da Fandango Libri, un romanzo autobiografico che racconta la banalità dello stupro e delle molestie sessuali sul lavoro.
La forma è quella del romanzo epistolare, la protagonista decide infatti di scrivere una serie di lettere al fratello cui è legatissima, descritto quasi come suo alter ego nei ricordi d’infanzia, ma che si allontana bruscamente da lei quando la ragazza trova il coraggio di raccontargli di avere subito uno stupro. L’aggressore è uno dei suoi migliori amici e lui decide di non crederle, o comunque di non sostenerla. Al trauma dello stupro, segue quindi l’isolamento emotivo causato sia dalla reazione del fratello che dalle difficoltà di comunicare con la famiglia, la scelta sofferta di non denunciare, la grande solitudine e la fragilità emotiva nella quale si trova questa ragazza di soli diciotto anni.
Segue il racconto degli anni dell’università e delle prime esperienze lavorative, per mantenersi Valentina fa un po’ di tutto, dall’operatrice di call center alla rider, restituendoci così un’immagine spietata del mondo del precariato che caratterizza la vita professionale della sua generazione.
Quando finalmente ottiene il tanto agognato posto come giornalista in una nuova redazione apparentemente aperta e progressista, subisce le molestie sessuali, ma è proprio da questo episodio che nasce l’esigenza di scrivere X, come ci racconta l’autrice:
Il suo libro parla di uno stupro che lei definisce “normale”, che cosa intende?
“Nei film e nei libri che parlano di stupro, questo viene sempre rappresentato in una maniera che corrisponde poco alla realtà, mia ma anche della maggior parte delle persone che lo hanno subito. Questa raffigurazione mette in scena tentati omicidi, donne con un coltello puntato alla gola, ricatti con video, percosse e via dicendo. Invece nella realtà non è quasi mai così, la vittima si immobilizza, come è successo a me, ma questo non significa che non si tratti di stupro. Io avevo chiaramente detto “no”.
E questo rende l’elaborazione del trauma molto più complessa. Ho pensato che fosse importante fare qualche passo in più nella narrazione dello stupro raccontandolo come avviene nella stragrande maggioranza dei casi.”
C’è stato un episodio che l’ha spinta a scrivere questo romanzo?
“Sì, dopo le molestie subite ho sentito l’esigenza di liberarmi, infatti X è nato come uno sfogo, ho buttato tutto nero su bianco e poi, con il tempo, gli ho dato una forma. È stata un’esigenza terapeutica e catartica, l’ho fatto prima di tutto per me stessa.
In quel caso specifico non mancava il consenso, ma era viziato. È un no che è diventato un sì, un abuso di potere, un ricatto sessuale. Questo succede in tutti gli ambiti professionali e il mondo del giornalismo non ne è escluso, anzi.”
Cosa significa il titolo del suo libro?
“X significa diverse cose: raccontare un tabù ma anche rilevare la presenza di un’incognita, non voler dare soluzione a un’equazione. Sicuramente non è una cosa che posso risolvere da sola e non credo che nessuno di noi possa risolverlo da solo. Credo che ci debba essere un dibattito collettivo per affrontare e approfondire l’argomento insieme, a livello sociale. “
Qual è stata la reazione delle lettrici e dei lettori?
“Mi colpisce molto che da quando il libro è stato pubblicato, il 22 aprile, vengo spesso contattata da ragazze, ma anche donne più grandi, che mi dicono di essersi riconosciute nelle mie parole e che mi ringraziano di averlo scritto. Come se il mio racconto avesse confermato che quello che è successo loro sia veramente uno stupro, anche se non è descritto nelle modalità di estrema violenza a cui siamo abituati. Questo mi ha fatto capire che non sono l’unica a cui è mancato il racconto schietto di come avviene lo stupro in fin troppo casi. Il “no” è sufficiente a definire uno stupro.”
Quindi esiste ancora il dubbio nelle donne che hanno vissuto la sua esperienza che non si tratti veramente di stupro?
“Esiste sicuramente un fenomeno strano, che forse potrei definire di dissociazione nelle vittime di stupro. Faccio un esempio: dopo l’uscita del libro sono stata contattata da una mia conoscente, mi ha raccontato che anni fa aveva passato la serata con un ragazzo, avevano entrambi bevuto un po’ troppo e quindi lei decide di fermarsi a dormire da lui, addormentandosi subito. Nel cuore della notte si sveglia perché lui la sta penetrando. La cosa incredibile è che oggi, quando racconta questo episodio, da una parte riconosce di essere stata stuprata ma dall’altra si sente in colpa per quanto accaduto perché non avrebbe dovuto fermarsi a dormire da lui. Le vittime di stupro si sentono comunque in parte responsabili di quanto accade. È un processo sempre molto difficile.”
Ritiene che anche questi uomini possano, per ignoranza e causa della cultura in cui viviamo, arrivare a credere che non si tratti di stupro?
“Certamente giustificano le loro azioni con la narrazione dominante per cui “lei ha detto solo di no”. Come se il fatto di non aver minacciato di morte la vittima, di non averla picchiata, escludesse che si tratti di stupro. Il problema centrale, quindi, è quello di non dare valore al “no”, come se si trattasse solo di una schermaglia, vale ancora il terribile detto “le donne dicono di no, ma intendono sì”. Però esiste una specie di dissociazione anche in alcuni di loro che non riesco a capire. Per esempio, nel caso che ho citato prima della mia conoscente, questo ragazzo le ha poi chiesto scusa, quindi in qualche modo si è reso conto di aver fatto qualcosa di sbagliato.”
Lo stupratore del suo racconto è un esponente dell’estrema destra, invece l’uomo che l’ha molestata sul lavoro è di sinistra. Quanto conta l’appartenenza a un determinato schieramento politico?
“Io non ho deciso di scrivere questo libro per sostenere una determinata tesi. Mi sono però resa conto che ho vissuto delle cose che restituiscono un’immagine del patriarcato in diversi aspetti della vita: dalla famiglia, alla scuola, al lavoro. Quindi è sicuramente un fenomeno trasversale a tutta la società. Detto questo, è evidente che le ideologie che professano l’odio nei confronti delle donne e di alcune minoranze favoriscono tutte le violenze, compreso lo stupro, creando un humus più favorevole alle violenze sessuali. “
La protagonista decide di non denunciare…
“Sì, ma non voglio assolutamente che il mio libro venga interpretato come un incoraggiamento a non denunciare. D’altro canto, ero però stanca di questa retorica del “donne denunciate a tutti i costi”, ignorando il motivo per cui molte non denunciano, oppure, che quando denunciano scatenano una macchina del fango dalla quale si torna difficilmente indietro. Non sono nessuno per dettare la linea, ognuna fa quello che può per andare avanti, però mi sembra doveroso riflettere sul perché molte donne non denunciano. Il tasso degli stupri non denunciati è circa del 90% e non solo in Italia, anche in molti altri Paesi.”
Un fenomeno, quelle delle mancate denunce, spesso anche dettato dalla colpevolizzazione delle vittime. Basti pensare alla recente dichiarazione della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha stabilito che la sentenza in Corte d’Appello con cui nel 2015 vennero assolti i sei imputati coinvolti in quello che era stato definito dai giornali “stupro della Fortezza da Basso” (Firenze) fu influenzata da stereotipi sessisti. Secondo la Corte europea, questi stereotipi non avrebbero permesso di tutelare in maniera adeguata i diritti e gli interessi della giovane donna che aveva denunciato di aver subito lo stupro, nel 2008. La Corte ha dunque condannato l’Italia, accordando alla ricorrente un risarcimento per danni morali pari a 12 mila euro.