Impopolari di tutto il Paese unitevi: il viaggio satirico di Luca Bottura
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Impopolari di tutto il Paese unitevi: il viaggio satirico di Luca Bottura

A 182 anni dalla nascita di Karl Marx una descrizione feroce e dissacrante l'Italia tragicomica di questi anni bui, la disamina della nostra classe dirigente, dei partiti populisti e non populisti e dei loro leader

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Claudio Visani Modifica articolo

12 Giugno 2021 - 09.48


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Se siete come il personaggio della vignetta di Altan che si chiede “che cosa ho fatto per dover nascere di sinistra?”. Se siete un simpatizzante del Pd che cercava “un senso a questa storia” ma ha scoperto che quella storia “un senso non ce l’ha”. Se vi chiedete come sia stato possibile che Renzi sia diventato segretario di quello che dovrebbe essere il maggior partito della sinistra, Giggino Di Maio ministro degli Esteri, Salvini ministro degli Interni. Se seguite la politica e non riuscite a capacitarvi che i Cinquestelle siano potuti diventare il primo partito italiano, che la Lega Nord prenda i voti del Sud e che “i populisti che odiano il popolo” si apprestino a prendere il potere col voto del popolo. Se rientrate in una di queste categorie non vi dovete perdere il saggio satirico di Luca Bottura “Manifesto del Partito Impopolare” (Einaudi). E se siete grillini, nell’incipit del libro c’è anche un tutorial per la comprensione della lettura. 

A 182 anni dalla nascita di Karl Marx, Bottura descrive in modo feroce e dissacrante l’Italia tragicomica di questi anni bui, fa la disamina della nostra classe dirigente, dei partiti populisti e non populisti e dei loro leader, in un Paese dominato dalle mafie e dall’evasione fiscale che però se la prende con gli immigrati, i più deboli, le minoranze, i diversi. Con i populisti impegnati nella “loro goffa arrampicata verso il potere”, le destre che seminano odio per lucrare consenso, i progressisti che continuano a inseguire un centro che si sposta sempre più a destra, il Pd che dopo vent’anni ancora non sa rispondere all’implorazione che Nanni Moretti rivolse a D’Alema: “Dì una cosa di sinistra”. 

“Ma non sarà che il consenso è sopravvalutato? Forse – azzarda l’autore – per perdere con stile o vincere per fortuna basterebbe dire o fare qualcosa di impopolare”. Così lancia il suo appello: “Impopolari di tutto il mondo unitevi!”. Costruisce il Manifesto impopolare con gli articoli della Costituzione “più bella del mondo”. Elabora il programma di governo del Partito impopolare partendo dalla lotta alle mafie e agli evasori. Scrive l’inno impopolare: “Su fratelli, su compagne/su, venite in fitta schiera/la questione qui è severa/non è tempo per Netflix”. Mette nel pantheon impopolare Romano Prodi e Tina Anselmi, Giorgio Ambrosoli e Guido Rossa, Adriano Olivetti e Tommaso Padoa Schioppa (“le tasse sono una cosa meravigliosa”), Laura Boldrini e Antonio Megalizzi, ma anche Raymond Carver, Ada Merini e Rocco Tanica. E si prepara alla decisiva battaglia che nel 2025 opporrà i populisti e le destre agli impopolari.

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Un libro che fa ridere, incazzare e riflettere. Una lettura catartica per chi ha la sfiga di essere nato di sinistra. Bottura non fa sconti a nessuno, a destra come a sinistra. Meloni? “Con la disintegrazione personale e politica del fondatore di Alleanza Nazionale (Gianfranco Fini) – scrive – è sparita la prospettiva di una destra che sapeva di dover elaborare il proprio disonore”. E ora Giorgia “ha saldato il proprio elettorato alla destra più estrema raccogliendo i peggio compagni di strada, dai poliziotti che amano i picchiatori agli ‘ndranghetisti, ai nostalgici del fascismo”. Salvini? “E’ uno di quelli che al liceo ti chiedevano una paglia in prestito e si fottevano l’accendino. Uno che andava al Leoncavallo per la figa. Approccia la politica con l’etica di un sampietrino. Non crede una parola di quel che dice. Non è un politico, è un teatrante. Un Carmelo Male situazionista”. Renzi? “Il più populista dei politici italiani che si pone come argine al populismo. Dopo la mano di poker andata male (referendum) ha annegato con gli idranti del rancore il sole in tasca che gli aveva infilato Berlusconi quando lo invitò a Arcore proponendogli l’investitura”. Italia Viva? “Il centro del centro sinistra con esposizione nel centrodestra. Ciò che colpisce del partitino personalistico messo in piedi per ricattare governi dopo aver chiesto al popolo di eliminare i partitini nazionalistici che ricattano i governi, è il credito trasversale, sonante, che chi le ha perse tutte, ma proprio tutte, continua a ricevere”. Renzi e Salvini? “Non è che si assomigliano: sono proprio la stessa persona. Stessi natali in Mediaset. Stessa concezione della notorietà come fine, stessa incapacità di cogliere il limite. Stesse parole senza neanche concordarle: aiutiamoli a casa loro. Si apprezzano perché si specchiano. La schiavitù del video, il sogno di condurre Sanremo, l’astio attivo e vendicativo per ogni giornalista non asservito, la spregiudicatezza”. Calenda? “Se gli togliessero twitter e cominciasse a fare yoga per tenere a freno i nervi, sarebbe il leader perfetto di una destra moderata e presentabile”. Berlusconi e Forza Italia invece sono il vecchio. Polverosi e sorpassati.  “Così vecchi che quando Draghi ha applicato il Cencelli al nuovo governo ha dovuto cercare le Pagine Gialle del 2006: Carfagna, Gelmini, Brunetta. Purtroppo in quel vecchiume siamo rimasti prigionieri noi”. I Cinquestelle? “Conte vende se stesso come la sesta stella materializzatasi dal nulla. Una supernova con scappellamento a sinistra. Un tizio che teneva i migranti in mare per interposto Salvini. Ma gli dispiaceva tantissimo, pare”. “Di Maio invece ha regalato gambe e cuore al vero sogno italiano: se studi, ti impegni, lavori sui tuoi limiti per superarli, cerchi di farcela per i tuoi meriti, meglio che prendi un aereo per Copenaghen. In caso contrario buttati in politica”. Se ce l’ha fatta lui ce la può fare chiunque. Il dramma è che “non c’è un Cinquestelle più preparato di quelli che voleva rovesciare”. 

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E il Pd? “Il Pds senza la s di sinistra. Il partito mai arrivato per cancellazione treno. Un budino dolcificato con l’aspartame” che ha come riferimento “il bradipo” e come collocazione “dove dà meno fastidio”. Zingaretti è “un tipo dabbene ma che ha il carisma di un fermacarte”. Letta “l’agnello sacrificale”. Se fosse un cantante “il Pd sarebbe Ligabue: un’entità che si materializza solo per i megaconcerti poi scompare a preparare il nuovo album, uguale a tutti gli altri degli ultimi vent’anni”. Ma Bottura se la prende anche col popolo della sinistra “che ha accettato di tutto senza mai dire ma che cazzo state facendo?”. Ha accettato “che si trasformassero le feste dell’Unità in un brand e l’Unità in un arnese di cui disfarsi. Ha accolto le teorie di Blair. Non ha battuto ciglio quando Renzi ha pigiato il tasto dell’autodistruzione. Ha accettato di governare con i Cinquestelle che lo irridevano”. Leu è “un Panda con il poster di Berlinguer. Se votassi con minore disperazione, che di solito entro in cabina, chiudo gli occhi, urlo banzai, e vado, forse voterei loro – scrive – per pietà soprattutto verso me stesso. Alle regionali li ho votati, C’era Elly Schlein che è tanto brava. In un mondo normale sarebbe la Kamala Harris bianca. Ha pure un nome straniero, però ha litigato con Civati. Ma perché litigate sempre? Fate pace, dai. Fate il ticket. Andate alle primarie del Pd e urlate avete rotto il cazzo. A quel punto è fatta, 92 minuti di applausi e scalata conclusa”. 

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Si salvano solo Mattarella e Prodi. Al presidente dedica una preghiera: “Sergio nostro che stai sul Colle, ti prego, se puoi resta”. “E’ una specie di vaccino – dice – che non ci tratta come bambini e ha il coraggio della verità. E’ stato per sette anni un presidente equilibrato, credibile, inappuntabile, il più fedele ai valori della Repubblica e della Costituzione. Il primo che avrà il coraggio di fare propri quegli anticorpi, di andare contro la narrazione cinica dominante, avrà probabilmente cominciato a ricreare un centro culturale prima che politico”. Di Prodi dice che “rispetto ai democratici sembra una specie di guerriero sandinista. Il migliore”, che gli italiani, come i russi con Gorbacev, non si meritano. 

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