Quando la vera lotta alla mafia passa attraverso le cooperative e i beni confiscati
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Quando la vera lotta alla mafia passa attraverso le cooperative e i beni confiscati

Riflessioni sul libro di Carlo Barbieri, Le mani in pasta. Le mafie restituiscono il maltolto. Dove il lavoro va di passo con l'impegno sociale e la difesa del proprio territorio

La Cooperativa Terre di Puglia – Libera Terra
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17 Agosto 2021 - 22.38


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di Antonio Salvati

Alcuni anni fa lessi un libro dal titolo decisamente emblematico, Lo stato non ha vinto (edito dalla Laterza), relativo alle vicende del famigerato clan dei casalesi. L’autore, Antonello Ardituro, PM della Direzione Distrettuale Antimafia, che per anni aveva indagato sugli affari illeciti del clan, avrebbe potuto comprensibilmente esaltare le imprese della magistratura locale che sgretolò la rete di comando della più potente famiglia di camorra, smascherando la trama complessa del suo sistema, i delitti, i protagonisti. I casalesi avevano perso. Ma lo Stato non aveva vinto. Perché è stato troppe volte complice, troppe volte connivente, altre volte distratto. I boss sono in carcere, ma il groviglio delle relazioni, dei rapporti, delle trame indicibili, è ancora lì, forte. Per sconfiggere la camorra che va oltre i casalesi e continua a fare affari, non basta arrestare boss e affiliati. Fino a quando lo Stato non offrirà possibilità di sviluppo e lavoro per le nuove generazioni, fino a quando non risanerà il territorio, fino a quando non riuscirà ad espellere dalle istituzioni il germe della corruzione e del clientelismo, fino ad allora lo Stato non avrà vinto.

Ho pensato al libro di Ardituro mentre leggevo l’interessantissimo libro di Carlo Barbieri, Le mani in pasta. Le mafie restituiscono il maltolto, (Jaca Book 2021 pp. 200, € 16). Sappiamo perfettamente quanto importante sia l’azione di contrasto della magistratura e delle forze dell’ordine contro le organizzazioni mafiose. Tuttavia, altrettanto importante è l’azione delle forze economiche, delle imprese, delle associazioni e degli ordini professionali che non si vogliono piegare alle ingiustizie e a un mercato distorto. Il volume di Carlo Barbieri racconta quanto è avvenuto dopo la promulgazione delle leggi (temutissime dai boss di Cosa Nostra, della Camorra, della ’ndrangheta e delle cosche criminali internazionali) che prevedono – così recita la legge n. 109 del 1996 – «il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati alle mafie, per impedire il loro recupero da parte delle organizzazioni criminali, per restituirli alla collettività rendendo concreto, effettivo ed evidente il ripristino della legalità e della dignità», nella loro più ampia applicazione. Un dato sui tanti offerti dal volume: a fronte dei soli 34 beni confiscati alle mafie e assegnati per riutilizzo dal 1982 al 1996, nel periodo 1996-2003 tali beni sono stati più di 2000. Tutto inizia dalla legge del 13 settembre 1982, n. 646, detta anche Rognoni-La Torre. Il testo normativo trae origine da una proposta di legge presentata alla Camera dei deputati il 31 marzo 1980 (primo firmatario Pio La Torre, segretario regionale siciliano del PCI poi assassinato dalla mafia), alla quale si aggiungono le proposte di Virginio Rognoni e alla cui formulazione tecnica collaborano anche i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, all’epoca in servizio presso la Procura della Repubblica di Palermo. La legge prevede l’assegnazione dei patrimoni e delle ricchezze di provenienza illecita a quei soggetti – associazioni, cooperative, Comuni, Province e Regioni – in grado di restituirli alla cittadinanza, tramite servizi, attività di promozione sociale. Il libro di Carlo Barbieri è la storia esaltante di un pezzo di società civile che costituisce la «Cooperativa Placido Rizzotto – Libera Terra» (significativamente intestata a uno dei tanti sindacalisti sterminati dalla mafia, uno sterminio che fa da cornice all’eccidio di Portella delle Ginestre, la prima delle tante misteriose stragi che hanno cadenzato in modo barbaro il percorso dell’Italia repubblicana): una delle tante coraggiosamente costituite su terre confiscate a mafiosi, grazie alle quali si creano nuove, importanti opportunità di lavoro onesto: in un territorio dove l’egemonia mafiosa impedisce ogni regolare sviluppo dell’economia, rapinando il futuro soprattutto dei giovani.

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L’autore spiega che il libro vuole celebrare alcuni anniversari. Non solo i 25 anni dall’approvazione della suddetta legge 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi, ma soprattutto anche il ventesimo anno di attività della Coop Placido Rizzotto – Libera Terra, la Cooperativa della quale l’autore è diventato socio sovventore: «un esempio di imprenditoria sociale sana con un portato valoriale eccezionale, e sulla scia della quale il circuito delle Cooperative Libera Terra si è in questi anni arricchito di nuove ed entusiasmanti esperienze cooperative».

Il libro di Barbieri non è soltanto uno dei tanti bei libri che davvero coprono uno spazio della conoscenza. Esso ci invita a rivolgere l’attenzione al nostro Mezzogiorno con una narrazione inedita, non caratterizzata dall’elencazione di episodi negativi. Esiste un altro sud, potremmo dire. Basta scovarlo, evitando di sopravvalutare gli aspetti negativi della realtà. Siamo consapevoli che la questione meridionale rappresenta il campo obbligato da attraversare per pensare lo sviluppo del nostro paese. L’ultimo tentativo – ci spiegano gli esperti – di chiudere il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord risale all’intervento straordinario degli anni ’50-70 che ebbe il merito di costruire infrastrutture fondamentali per il Sud – strade e autostrade, ferrovie, porti, reti elettriche, dighe e acquedotti, scuole, ospedali – e di accelerarne l’industrializzazione. Il divario in termini di Pil pro-capite calò di 10 punti percentuali nell’arco di venti anni e la crescita del Meridione potenziò il “miracolo economico” italiano. Ma da allora la forbice tra Sud e Centro-Nord non si stringe più e il divario è diventato sempre più inaccettabile. Molti dati relativi al meridione sono inquietanti, soprattutto se confrontati con il resto dell’Italia. Oltre 1 milione di giovani tra i 15 e i 34 anni – un quarto di loro laureati – sono emigrati negli ultimi quindici anni; il 34% di individui è a rischio di povertà relativa, 1 milione 200 mila giovani non studiano e non lavorano, risultati di apprendimento scolastico dimezzati, oltre 100 mila persone che ogni anno vanno a farsi curare negli ospedali del Centro-Nord. Tuttavia, lo sviluppo del Mezzogiorno è interesse di tutta l’Italia: la riduzione dei divari economici e sociali tra i territori è condizione necessaria del comune sviluppo economico e civile; si cresce tutti insieme, non gli uni contro gli altri. Al Sud serve una svolta di responsabilità, si ripete da anni. Rispetto a un passato in cui da parte di istituzioni locali e classi dirigenti è prevalso un uso distorto e clientelare dei finanziamenti disponibili e si è favorita un’illegalità rassegnata. Ma il Mezzogiorno non è solo questo, come si evince dal libro di Barbieri. E, soprattutto, non parte da zero. Il Mezzogiorno è tante cose ed è caratterizzato da giovani, uomini e donne con capacità e competenze che chiedono di poter essere utilizzate nella loro terra; dal risveglio della società civile, che fa comunità, fa cultura, fa impresa con modalità capaci di stare sul mercato facendo dell’etica una risorsa e, infine, dalla vitalità del tessuto produttivo, con le tante imprese nate da imprenditori meridionali che occupano lavoratori meridionali, innovano e competono. 

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Il nostro Sud è fatto anche di storie di giovani che sfidano le mafie sul territorio attraverso il lavoro sui terreni confiscati che ha portato alla produzione di olio, vino, pasta, taralli, legumi, conserve alimentari e altri prodotti biologici realizzati dalle cooperative di giovani e contrassegnati dal marchio di qualità e legalità Libera Terra. Sono le storie che ci piacciono, che rendono il nostro Paese bello anche da vivere. Storie he invitiamo il lettore a conoscere per chiedergli un contributo concreto alla lotta contro le mafie. E’ la filosofia del libro, impreziosito dalla prefazione di Gian Carlo Caselli e dalla nota introduttiva di Nando Dalla Chiesa: tutti possiamo combattere le mafie, «scegliendo prodotti e produttori che agiscono così, che sono puliti, che non cedono alla corruzione o alle intimidazioni, che rispettano l’ambiente, che pagano correttamente i lavoratori e le tasse». La cosa più importante per combattere le mafie e per un mondo più giusto è informare le persone, «far crescere la consapevolezza che anche nelle scelte quotidiane, come quella della spesa, si può aiutare la legalità. È la coscienza civile con le scelte che ne conseguono il più potente antidoto alle mafie». 

Nel libro vengono narrate le «problematiche ambientali» (minacce, intimidazioni, atti di sopraffazione, di sabotaggio o sottrazione di mezzi, incendi dolosi) che spesso rappresentano un ostacolo materiale e psicologico da non sottovalutare. Ma c’è anche il soccorso solidale delle tante persone e associazioni che sinceramente vogliono contrastare la criminalità organizzata. La Cooperativa non è solo essere una particolare forma d’impresa, «ma significa sviluppare un senso di appartenenza a qualcosa che va al di là della forma giuridica di una società». Lavorare nella Cooperazione significa avere la consapevolezza profonda che il risultato finale dell’azione di un gruppo sarà superiore alla somma delle azioni dei singoli che lo compongono. Co-operare -sostiene Barbieri – è uno «dei verbi più belli perché, anche se non impossibile, è però molto difficile che si riferisca a qualcosa di negativo; è l’affermazione del “noi”, l’antitesi del solo “io”».

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Insomma, un libro di speranza e passione civile che non a caso fa proprie le parole di Giovanni Falcone: «la mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni».

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