di Antonio Salvati
Un libro necessario, l’ultimo del politologo e consulente strategico globale Parag Khanna, Il movimento del mondo. Le forze che ci stanno sradicando e plasmeranno il destino dell’umanità (Fazi Ed. 2021 pp. 350, € 20), contenente domande cruciali circa il nostro futuro globale.
Non solo cruciali, anche inquietanti: dove vivrai nel 2030? Dove si stabiliranno i tuoi figli nel 2040? Come sarà la mappa dell’umanità nel 2050? L’aprile del 2020 – spiega Khanna – sarà ricordato per sempre come il mese in cui il mondo si fermò. Mai prima nella storia umana la popolazione globale aveva compiuto simultaneamente lo stesso gesto: «è quello che è accaduto con il Grande Lockdown. Quasi tutti gli uffici e i negozi chiusi. Strade e parchi completamente vuoti. Automobili, treni e aeroplani fermi al loro posto. E animali di ogni specie, capre e cervi, volpi e cinghiali, anatre e canguri, e persino i pinguini, a scorrazzare liberi in città normalmente caotiche, da Edimburgo a Parigi, da Città del Capo a Canberra».
Il 2019 era stato un anno record per il turismo, con gli arrivi internazionali che avevano toccato il miliardo e mezzo di viaggiatori, il dato più alto di sempre. Più di 275 milioni di persone erano state registrate come migranti internazionali – dai lavoratori indiani dell’edilizia e dalle colf filippine a Dubai agli executive americani e agli insegnanti di inglese da un capo all’altro dell’Asia –, la cifra più alta mai registrata. Poi tutto si è fermato. Eppure – avverte Khanna – inevitabilmente tutte le forze che costringono le persone a sradicarsi stanno accelerando: carenza di manodopera, sconvolgimenti politici, crisi economiche, evoluzioni tecnologiche e cambiamenti climatici. Dalla Cina all’Africa al Messico, il mondo intero tornerà presto in movimento. Sono numerose le forze che costringono le persone a sradicarsi: carenza di manodopera, sconvolgimenti politici, crisi economiche, evoluzioni tecnologiche e cambiamenti climatici. Una quota stupefacente delle vite personali e professionali di tutti dipende dalla mobilità: e cioè – spiega efficacemente Khanna – «dal movimento di persone, merci, denaro e dati all’interno e all’esterno di ciascun Paese. La società funziona normalmente solo se ci possiamo muovere. Quando smetti di pedalare, la bicicletta cade rapidamente. Quella bicicletta è la nostra civiltà. Per questo, torneremo a muoverci».
La storia è colma di “shock sismici globali” – pandemie e pesti, guerre e genocidi, carestie ed eruzioni vulcaniche. Dopo una grande catastrofe, «il nostro istinto di sopravvivenza ci obbliga a migrare» per trovare condizioni di vita migliori. Con la pandemia l’umanità ha realizzato il più grande esperimento che abbia mai compiuto su sé stessa: adesso, però, «la pandemia sta rifluendo, i confini si riaprono e la gente riprende a muoversi. Da dove partirà, e per dove? E ancora: qual è il modo migliore, per tutti noi, di risolvere un complesso quadro di interrelazioni che comprende convulsioni politiche e crisi economiche, sconvolgimenti tecnologici e cambiamento climatico, squilibri demografici e paranoia da pandemia? La risposta a queste domande può essere sintetizzata in una sola parola: migrare». La mappa dell’umanità è tutt’altro che stabilita. Non lo è adesso e non lo sarà mai, riferisce Khanna. Tuttavia, il politologo indiano naturalizzato statunitense, con il suo libro ci invita a ragionare sugli scenari dei mutamenti radicali che si giocheranno nel nostro futuro geografico – compreso il nostro posto nella prossima mappa dell’umanità. Per Khanna, «tenere uno sguardo olistico sui fattori politici, economici, tecnologici, sociali e ambientali in gioco, (…) pronosticare come essi si intersecheranno», ci aiuterà a «costruire scenari che guardino al modo in cui la geografia può adattarsi a questa perpetua complessità», individuando quali luoghi avranno successo e quali falliranno nei decenni che abbiamo davanti. Innumerevoli sono le scosse se le svolte a non: «oggi i lockdown, domani le migrazioni di massa; oggi il populismo, domani i governi a controllo numerico; oggi le identità nazionali, domani la solidarietà globale – oppure il contrario, in qualche luogo, o ancora, qui e là, un alternarsi delle due dinamiche. Fino al 2050 probabilmente non saremo in grado di prevedere quale sia la meta – o le mete – migliore». Impossibile in poche righe dar conto di tutti gli scenari – decisamente accattivanti – tracciati da Khanna.
Il futuro delle migrazioni umane punta verso un deciso aumento; nei prossimi decenni potremmo assistere – pronostica l’autore – al movimento di miliardi di persone che passano dal Sud al Nord, dalle coste all’entroterra, dalle pianure ai rilievi, dalle zone costose a quelle più abbordabili, da società che crollano a società più stabili. In tale quadro, particolare preoccupazione viene riservata ai giovani. I giovani sono la generazione fisicamente e digitalmente più in movimento di tutta la storia umana e si stanno preparando a essere la fetta maggiore della popolazione mondiale di domani: la Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2014) e la Generazione Alfa (nati a partire dal 2015) nel 2050 avranno dai 30 ai 60 anni; gli anziani di oggi saranno morti e pochi bambini saranno nati. Per quasi un secolo ogni generazione è stata più numerosa della precedente, oggi invece le crisi ambientale ed economica e il Covid19 potrebbero far scendere leggermente i numeri della Generazione Alfa rispetto alla Generazione Z. Pertanto, dato degno di nota: andiamo incontro ad un calo della popolazione mondiale.
L’Europa si sta distinguendo per l’affermazione dei nazionalismi e per la sconsideratezza delle loro politiche migratorie. È paradossale che i paesi con maggiori carenze di forza lavoro siano anche quelli con politiche migratorie più rigide. Gli immigrati producono, affittano case, mettono al mondo figli e pagano le tasse. Tra rimesse e lavoro contribuiscono al 10% del PIL globale. L’altro paradosso – sottolinea Khanna – è che proprio la culla dello Stato-Nazione, l’Europa, dove si sono affermate varie forme di nazionalismo e populismo, è anche la regione in cui la Nazione è in fase di più rapida evaporazione in virtù del declino demografico, dell’immigrazione, dei matrimoni misti e dell’evoluzione giuridica dei diritti di cittadinanza (Italia a parte). Ne consegue che i populisti – per l’autore – avranno vita breve, perché stanno rivelando tutta la loro incompetenza a governare il presente e il futuro prossimo. Inoltre, i giovani condividono fra loro molto di più di quanto non abbiano in comune con le vecchie generazioni dei loro rispettivi paesi. Le competenze oggi più necessarie sono quelle trasferibili, quindi legate alla connettività, sostenibilità e mobilità. I giovani senza figli non hanno bisogno di “tornare a casa” per allevarli in un dato modo, né hanno bisogno che i genitori li aiutino. In ogni caso, i nonni di oggi non si aspettano che figli e nipoti tornino per prendersi cura di loro e preferiscono ricorrere all’assistenza professionale piuttosto che diventare babysitter a tempo pieno. Soprattutto, «il punto sta forse nel fatto che il mondo attuale è pieno di luoghi in cui i giovani possono ritrovare insieme il loro ambiente sociale anziché mettersi sotto l’ala protettrice di una pretesa cultura d’origine». Le giovani generazioni si trovano ad avere a che fare con sfide economiche analoghe anche se provengono da paesi con standard di vita parecchio differenti tra loro. Considerazioni dense che ci aiutano a comprendere l’esodo di tantissimi giovani di casa nostra.
Paradossalmente, visti i bassi tassi di fertilità degli europei, quasi tutti i paesi in cima alle classifiche mondiali della cura dell’infanzia (basate su variabili che vanno dall’emancipazione femminile alla nutrizione dei bambini) sono situati in Europa. Con una tale quantità di alloggi vuoti e di infrastrutture di qualità, del resto, sarebbe un peccato che le future generazioni non godessero dei vantaggi che l’Europa ha saputo costruire. In effetti, «il solo modo per i paesi europei di conservare il loro generoso welfare – anche per loro stessi – sta nell’importare nuovi contribuenti in grado di rimpolpare il bacino delle tasse con cui è stato costruito tutto questo». In tal senso, l’Italia del Sud non potrà sopravvivere come regione popolata se non convincerà nuovi residenti a stabilirsi dall’estero nelle sue province. Sottovalutiamo quanto le persone siano pronte a lasciare il proprio paese, forse a causa della tendenza inconscia a credere che ciascuno stia bene a casa propria quanto noi. È vero che, storicamente, la gente si è sempre aggregata nei luoghi d’origine della propria nazione, e i tanti che si sono avventurati all’estero sono regolarmente tornati in patria per prendersi cura dei genitori o per mettere su una nuova famiglia.
Ma soprattutto sottovalutiamo i fenomeni migratori che scaturiscono dai cambiamenti climatici, già oggi assai consistenti. Più dei tre quarti della popolazione mondiale vivono nell’emisfero nord, dei quali poco più di 500 milioni in Nordamerica e poco più di 5 miliardi in Eurasia. Nel Nord si trovano anche tutti gli Stati potenti del mondo, vale a dire quegli Stati che possiedono estensione, risorse e la capacità di sfruttarle – nonché di richiamare altri abitanti. I continenti eurasiatico e nordamericano sono pertanto i due centri di gravità della demografia e della geopolitica, sia storicamente che nel prossimo futuro. Attorno al 27° parallelo si raggruppano più esseri umani che a ogni altra latitudine. Più in generale, negli ultimi seimila anni ci siamo abituati alla latitudine 24-45 gradi nord come la più fertile e la più ospitale per l’insediamento. Il cambiamento climatico ci sta allontanando da questa fascia climatica ottimale. Ci troveremmo meglio – si chiede Khanna – più a nord, a latitudini che oggi contano temperatura e densità più basse? Alcune analisi evidenziano che le popolazioni, esattamente come la folla, scorrono da un punto ristretto a un’area più vasta. Oggi siamo densamente concentrati alle latitudini dell’Equatore e dei Tropici; in futuro probabilmente ci disperderemo nelle sconfinate distese del Nord. Circa cinquecento anni fa la Piccola Era Glaciale incoraggiò le esplorazioni degli spagnoli, dei portoghesi, degli olandesi e degli inglesi, facendo dell’Europa marittima la cabina di pilotaggio del potere globale. Oggi però tutti questi ex imperi globali sono in declino economico. Nel frattempo – spiega Khanna – «la Germania, la Scandinavia e la Russia, che proprio di quella Piccola Era Glaciale avevano sofferto di più, si stanno riscaldando e riscaldandosi assorbono nuova popolazione. Gli Stati più estesi del Nordamerica e dell’Eurasia, e cioè il Canada e la Russia, letteralmente a cavalcioni di sconfinate distese geografiche solcate da grandi fiumi e soggette allo scioglimento del permafrost, sono nella posizione ideale per vendere massicce quantità di acqua dolce ai loro assetati vicini del Sud: gli Stati Uniti e la Cina. Ma anche un’altra cosa accomuna il Canada e la Russia, e cioè il fatto di dominare una regione che mai prima d’ora ha potuto giocare un ruolo così centrale nella geopolitica e nella demografia del pianeta: l’Artico».