di Rock Reynolds
Ci sono romanzi noir che non vanno troppo per il sottile e prediligono la suspense all’introspezione psicologica. Ce ne sono altri che si soffermano sulla natura dei personaggi, specchio di un genere umano da scandagliare tra gli abissi del male.
Cuori in trappola (Fazi Editore, traduzione di Giuseppe Marano, pagg 376, euro 18,50) di Jennifer Hillier sembra concepito per stare perfettamente nel mezzo, con la sua fosca vicenda in bilico adrenalinico tra il passo rapido e le pause di riflessione.
Tutto ruota intorno alla scarcerazione di Geo, la protagonista, una ragazza che ha scontato diversi anni in prigione per aver taciuto di fronte allo stupro e all’omicidio della sua migliore amica, Angela, la più sensuale delle cheerleader della scuola, e per aver aiutato l’assassino, ovvero il suo fidanzato Calvin, a occultarne il cadavere, senza avere mai il coraggio di denunciare l’accaduto alla polizia. Ma, come ogni colpa di gioventù mai del tutto espiata, le omissioni di Geo le si ritorceranno contro, tra verità inconfessabili, scoperte imprevedibili e prese di coscienza agghiaccianti.
Raccontato così, Cuori in trappola potrebbe assomigliare a decine di altri thriller, eppure ci sono parecchie cose a renderlo speciale. Come anticipato, il primo elemento sembra essere l’ibridazione di due sottogeneri come il romanzo di suspense e il thriller psicologico e pure la sovrapposizione, attraverso due piani narrativi separati cronologicamente, della ricostruzione del terribile delitto e del racconto della vita in carcere. Cuori in trappola, è giusto dirlo a chiare lettere, non è un romanzo di impianto carcerario, ma Jennifer Hillier ci mostra di che pasta sia fatta anche descrivendo certe dinamiche nelle relazioni tra detenute di estrazione diversissima che devono imparare a convivere e ad arrangiarsi. E l’autrice pare divertirsi a seminare qua e là indizi che, nel finale, rappresenteranno un quadro d’insieme più nitido. Chi è poco propenso alle scene forti farebbe forse bene a riflettere prima di accingersi alla lettura di questo romanzo. Non mancano, infatti, descrizioni dettagliate di situazioni quanto meno raccapriccianti e si avverte quasi un gusto macabro da parte dell’autrice. Personalmente, preferisco il non detto, ma le stesse serie televisive d’oltreoceano, così popolari da noi, mostrano una crescente propensione a violenza e sesso a profusione.
Fortunatamente, in Cuori in trappola, ci pure sono tematiche legate all’attualità e molto care ai noiristi americani contemporanei, nonostante, tecnicamente, Jennifer Hillier americana non sia. L’autrice è, infatti, nata e cresciuta a Toronto, anche se ha lungamente vissuto a Seattle, nella cui area suburbana ha ambientato il suo romanzo. Se USA e Canada sono per molti versi diversissimi, quasi antitetici per cultura e mentalità, molti aspetti della loro quotidianità si assomigliano assai. Agli occhi di qualsiasi lettore europeo non esattamente cresciuto a pane e musica, cinematografia e narrativa a stelle e strisce, le sfumature che li differenziano potrebbero sembrare poca cosa. A stizzirsi per una simile semplificazione sarebbero principalmente i canadesi, poco inclini a farsi schiacciare dall’ingombrante ombra dei potenti vicini. In effetti, la storia raccontata dalla Hillier è profondamente americana, per quanto la sua sensibilità femminile abbia un che di anomalo. Oppure, forse, sapere che è canadese in qualche modo suggestiona il mio giudizio.
Dicevo che le tematiche affrontate sono di stringente attualità. La violenza come strumento di controllo individuale, la superficialità e il perbenismo di certi ambienti scolastici, l’aborto e la fragilità dei rapporti di coppia, l’isolamento di chi non si sente rappresentato dai modelli sociali imperanti. Lo stupro: già, il peggior sopruso ai danni dell’universo femminile, un’arma dalle conseguenze talvolta letali. Quel che è peggio, un’arma in grado di soggiogare la coscienza di chi ne è stata vittima, costringendola alla solitudine della vergogna, operando nei suoi confronti un abbietto ricatto sociale.
Nonostante la società americana non ami fare i conti in pubblico con le sue storture, non mancano certo analisi interessanti di questa piaga a opera di cineasti e narratori.
Mi viene in mente in particolare un saggio non accademico di Jon Krakauer, celebre principalmente per aver scritto Nelle terre estreme (ovvero, Into the wild). Il titolo stesso del saggio, Senza consenso, la dice lunga: in effetti, Krakauer tocca un nervo scoperto della coscienza americana, mettendo a nudo le contraddizioni di un mondo, quello accademico, in cui i valori dello studio, della lealtà, del senso di appartenenza e della solidarietà cozzano contro un muro di sciovinismo sportivo, machismo, ansia da prestazione e omertà davvero poco eclatante. È una piaga endemica. La superficialità con la quale si liquida come ragazzata la propensione di molti giovani alla violenza nei confronti delle coetanee, in questo caso provenienti dal loro stesso ambiente, lascia esterrefatti. L’analisi di Jon Krakauer, interessante, lucida e spietata, non consente margini di discussione: è su quel substrato di ignoranza maschilista e di edonismo a tutto campo, con l’atavica condizione di inferiorità di cui l’universo femminile ha finito per appropriarsi forzatamente, che si innestano l’assenza assoluta di freni morali e la libertà di fare del corpo altrui ciò che si vuole.
Il paradosso nel romanzo di Jennifer Hillier è che l’atmosfera di quel mondo viene analizzata attraverso la vicenda di una violenza ai danni della capitana delle cheerleader, stavolta non da uno sportivo ma da un uomo che risulta alieno a quel mondo. Anche in questo caso, la violenza si consuma al termine di una di quelle feste sfrenate di studenti delle scuole superiori, feste condite da bevute smodate, orientate al raggiungimento rapido della perdita delle inibizioni e del conseguente intorpidimento etilico. Laddove il saggio di Jon Krakauer denuncia la situazione borderline della promiscuità sessuale imperante negli ambienti sportivi universitari, in cui i giocatori della locale squadra di football vengono considerati vere e proprie prede, trofei da inanellare e sfoggiare nel segreto dello spogliatoio femminile, malgrado i loro frequenti comportamenti aberranti, nel caso del libro della Hillier – un romanzo, ma pur sempre fortemente ancorato a un certo tipo di realtà sociale – i protagonisti risultano ancora più giovani e sono le cheerleader a risultare prede sessuali ambite, quando non vere e proprie vittime sacrificali. E dire che l’ambiente delle cheerleader è comunque improntato tradizionalmente a valori etici importanti che finiscono per essere lo specchio di una scintillante facciata di americano puritanesimo. Si tratta, comunque, di uno strumento narrativo vincente: la storia si carica di una tensione erotica che assolve alla sua funzione di corroborante della suspense.
Insomma, di carne al fuoco in Cuori in trappola ce n’è tanta, sempre che non siate particolarmente impressionabili.