di Lucia Mora
Sergio Staino, In un’intervista dell’anno scorso, ha dichiarato che il Club Tenco e il Festival di Sanremo non sono più in contrapposizione. È ancora così?
Certo. La contrapposizione è stata necessaria al momento della fondazione del Club Tenco, perché obiettivamente alla canzone d’autore mancava un luogo dove potersi esprimere in maniera più completa. Non che a Sanremo ci fosse una bruttura totale, ci son passate fin dai primi anni anche cose di qualità: tra queste, Fabrizio De André metteva anche Papaveri e papere per esempio, mi fa sempre sorridere. Ma il Club Tenco nasce soprattutto per offrire uno spazio a quei cantautori innovatori di quel periodo che non trovavano spazio, tantomeno a Sanremo. Quindi, se c’era un’opposizione, era un’opposizione culturale: uno guardava più al nazionalpopolare e l’altro tentava invece la strada della canzone colta, come in Francia (con vari autori, da Boris Vian a Georges Brassens). Avevamo anche noi cantautori del genere, ma non erano valorizzati.
C’è chi invece considera un “tradimento” il dialogo del Tenco con il Festival.
Accusare il Tenco com’è successo ultimamente di aver intrapreso troppi rapporti fraterni con Sanremo è una stupidaggine. È giusto invece che esistano questi rapporti, pur continuando ognuno a procedere nel proprio campo. Quando dico che non c’è più contrapposizione, lo dico perché esiste un dialogo costruttivo: a volte capita che alcuni bravissimi cantautori vadano al Festival prima che al Tenco e altre volte cantautori che sono stati a Sanremo vengono al Tenco perché hanno ancora tanto da esprimere e, in quell’ambiente, lo possono fare meglio.
In sostanza si tratta di una divisione dei compiti.
Esatto. Anche se come Tenco siamo ancora un po’ indietro nel riuscire a qualificare da questo punto di vista le caratteristiche del Club. Il mio lavoro come presidente tende a questa valorizzazione, a questo arricchimento, non a rincorrere Sanremo che invece ha un’altra sua strada ben definita e comunque importante a livello internazionale.
Mi pare si noti molto questa divisione, soprattutto nell’ultima edizione del Festival, più votata a hit commerciali che a brani cantautorali.
Sono completamente d’accordo. Dal punto di vista musicale, questo Festival è stato un po’ una débâcle. Però non so se imputare questa bassa qualità delle canzoni in gara – salvo qualche eccezione – a Sanremo in quanto struttura o piuttosto a un’offerta produttiva di canzoni di livello scadente. Mi pare che nella sua mediocrità il Festival intercetti e rifletta l’attuale sistema discografico, come una sorta di specchio della realtà. Se prendi le canzoni presentate all’ultimo Tenco e le confronti con quelle di Sanremo è chiaro che, giocoforza, quelle del Tenco dal punto di vista culturale sono superiori, essendoci una selezione più ferrea sulla qualità dei brani, ma se il Tenco provasse a inseguire una dimensione nazionalpopolare si snaturerebbe. Per quello esiste Sanremo, che va rispettato per la sua capacità di coinvolgere milioni di telespettatori.
Ha apprezzato il lavoro di Amadeus?
L’entusiasmo di Amadeus mi ha commosso. Mi piace che abbia rafforzato la presenza del Tenco infilando qua e là spezzoni culturali e politici, alcuni molto belli e altri più scadenti, ma in generale compiendo una bella operazione, che ha riportato sempre tutto il discorso della canzone a un impegno, a una visione sociale, alla partecipazione. Sono questi gli aspetti che fanno crescere la cultura generale di un Paese, concentrando l’attenzione anche su questioni più colte, più difficili, non immediatamente recepibili; le stesse che noi come Tenco cerchiamo di valorizzare. Non sono d’accordo con chi generalizza su Sanremo e butta a mare l’intera questione. Bisogna muoversi sempre con molta attenzione, soprattutto quando siamo di fronte a fenomeni di massa. Penso che l’umiltà con cui ci si avvicina alla produzione creativa debba valere sia per gli autori che vanno al Tenco, sia per quelli che vanno a Sanremo.
Ha avuto modo di discutere del Festival con qualche cantautore?
No. Non ero presente al Festival e ho visto la kermesse dal televisore come tutti gli italiani, però l’ho seguita abbastanza bene. Momenti di noia c’erano, certo, ma nulla rispetto a certe edizioni del passato. Oggi c’è un impegno maggiore e questo va riconosciuto, anche dal punto di vista finanziario (dovuto chiaramente a tutto il meccanismo che c’è dietro): avessimo noi del Tenco un centesimo dei fondi che hanno a Sanremo…
A proposito del Club: progetti per il futuro?
Ce ne sono diversi. Bisogna farlo crescere, e per farlo crescere servono anche strutture economiche produttive che ci aiutino a uscire dal pur splendido ambiente del volontariato, per avere gambe più solide. Nello specifico, sto lavorando su due ipotesi: una, che è quasi in porto, riguarda l’aspetto giuridico e consiste nel trasformare l’associazione in fondazione, cosa che ci permetterebbe di attingere più a fondo a finanziamenti, a reti di volontari e così via; la seconda è partecipare come fondazione ai bandi europei per la valorizzazione della cultura, un altro aspetto importante. C’è poi una terza cosa su cui sto lavorando adesso e che cerco di portare avanti: vorrei utilizzare di più i media, soprattutto la Rai, con cui vorrei avere un nuovo tipo di rapporto. Finora, quando è andata bene, la Rai ha passato solo dei riassunti del Tenco. È già qualcosa, ma mi piacerebbe (soprattutto coi canali più attenti alla cultura come Rai 5) scendere nei particolari e fare non dico delle lezioni, ma dei programmi che insegnino, che educhino e che approfondiscano le varie figure della canzone d’autore. Un lavoro culturale ad alto livello, anche dal punto di vista della diffusione.