di Elena La Verde
Dentro o fuori. Non c’è esito diverso, quando si affronta un test d’ingresso per un corso di laurea a numero chiuso. Se viene superato, si è dentro. Se non viene superato, si è fuori; e a quel punto, si cercano alternative, si ripiega su altri percorsi, si trovano altre soluzioni, nell’attesa di tentare di nuovo il test l’anno successivo. In questi giorni, non si è fatto altro che parlarne. A fronte delle ultime dichiarazioni della ministra Sessa su una ristrutturazione delle modalità di accesso per la facoltà di Medicina, la discussione si è ulteriormente inasprita e i toni sono accessi e infiammati.
In questo modo, la storia si ripete. Numero chiuso, sì o no? Un concorso a livello nazionale, sì o no? Domande di cultura generale, sì o no? Parametri d’accesso da cambiare, sì o no? Sono queste e altre le questioni che interessano il dibattito intorno alle modalità di accesso a determinati corsi di laurea che prevedono un numero programmato, come Medicina, Odontoiatria o le Professioni Sanitarie. Sono proprio gli studenti di Medicina, i principali interessati ai cambiamenti in atto, ad avere opinioni divergenti e fortemente contrastanti tra loro. Per questo motivo, abbiamo deciso di sondare il terreno e abbiamo direttamente chiesto loro cosa ne pensassero, raccogliendo i loro pensieri e dando voce alle loro esperienze. Da Nord a Sud, da diversi atenei, ecco cosa ci raccontano i futuri camici bianchi – per via dell’argomento caldo e assai spinoso, abbiamo scelto di usare dei nomi di fantasia per garantire l’anonimato degli intervistati.
Jessica studia a Milano: “Sono al sesto anno di medicina e sono entrata al primo colpo nella mia prima scelta, a Milano. Onestamente, sono un po’ prevenuta su certe polemiche. Un conto è dire che bisogna rivedere le modalità e i parametri di accesso, che sono sicuramente da migliorare, dando ad esempio più spazio a domande di biologia e chimica, e meno a quelle di cultura generale. Dall’altra parte, un conto è dire che il numero chiuso deve essere abolito”. Sembra quasi gridarlo: “No. Il numero chiuso è oggettivamente giusto. C’è un programma su cui prepararsi e c’è un concorso nazionale da superare. Alla fine, basta studiare. E’ questione di meritocrazia”.
Di diverso parere, è Francesco, che è all’ultimo anno come Jessica e studia a Siena. “Io sono entrato al primo tentativo e sono stato molto fortunato, anzi fortunatissimo, perché ho evitato di perdere tempo iscrivendomi a Biotecnologie, che sarebbe stato il mio piano B. Personalmente sono da sempre contrario al numero chiuso. Non prendiamoci in giro. Il test non è solo questione di studio, ma anche, e soprattutto, di attitudine e di tanto c…chilo di fortuna! Durante il giorno del test, possono capitare mille imprevisti, dai quesiti che sembrano irrisolvibili e che sono molto più difficili rispetto a quelli su cui ci si è preparati, al poco tempo che si ha a disposizione per compilare il foglio delle risposte e per la fretta si può sbagliare. Mettiamoci poi che ci si può far prendere anche dallo stress durante la prova, perché si è indecisi se rispondere ad una domanda o meno…se non rispondi, non perdi punti, mentre se rispondi in modo scorretto, perdi punti nella graduatoria (si riferisce al fatto che nel test, se data una risposta inesatta, viene tolto mezzo punto, mentre se la domanda viene lasciata in bianco, viene conteggiata come nulla, né giusta, né sbagliata .ndr). Poi, quando ci si fa prendere dal panico, è finita”. Sospira. “Praticamente, è un terno al lotto, tutto sul filo del rasoio, e il tuo destino viene deciso in base a delle crocette”. E aggiunge: “Voglio precisare anche un’altra cosa. Quando parliamo di studio per il test, parliamo ovviamente non di uno studio critico, posto a testare le reali conoscenze, ma di uno studio strategico, su come risolvere più velocemente alcune domande e su come gestire bene il tempo. Io, ad esempio, per affrontare il test, non solo ho seguito un corso di preparazione, ma ho comprato numerosi testi e volumi che contenevano i quiz e le simulazioni del concorso. Iniziai a studiare già dall’inizio del quinto anno di liceo e fu davvero stressante riuscire a conciliare tutti gli impegni, compresa la maturità, di cui ho un pessimo ricordo, in quanto ero scocciato e stanco”.
Sullo stesso filone di Raffaele, è anche Eleonora, che si è laureata a Roma e ha da poco iniziato la specialistica: “Quando toglieranno il numero chiuso per accedere sia alla facoltà di Medicina, sia alle specialistiche, andrò a bere e brinderò come se non ci fosse un domani. Secondo me, andrebbe proprio abolito in generale, ma questo è sicuramente un altro discorso”, commenta scherzosamente. “Comunque, per quanto mi riguarda, è un sistema che non mi è mai piaciuto, perché ti impone di essere sempre orientato al risultato, senza tener conto di altro. E’ un tipo di percorso fortemente competitivo, in cui l’obiettivo primario è superare gli altri ed essere migliore di loro. E’ una continua gara con gli altri, e mai con sé stessi. Parlo per me e non metto in dubbio che per gli altri possa essere diverso, ma io mi sono sempre sentita sotto pressione e ho vissuto i miei anni di studio con l’insopportabile peso del senso di fallimento. Che dire…può essere che per fare medicina ci vuole anche una certa dose di carattere”.
Raffaele, al secondo anno di specialistica a Catanzaro, ha una visione diversa. Per lui, il numero chiuso deve rimanere. “Non lo dico con cattiveria, ma secondo me una selezione dura e rigida serve. Quelli che si dimostrano più bravi di altri, saranno un domani sicuramente dei medici preparati e competenti. Mi sembra giusto che solo i migliori vadano avanti, perché esercizio della professione medica è una cosa seria e non può essere presa alla leggera. Su questo non si deve proprio discutere”.
E chi ha provato il test più volte, invece, cosa ne pensa? Qualcuno si aspetterebbe che sia contrario al numero programmato? Invece no.
Questo è il caso di Ciro, che studia Medicina a Napoli ed è al secondo anno. Ha affrontato il test due volte: la prima volta, dopo la maturità, è andata male; la seconda volta, dopo una laurea magistrale in biologia, è andata bene. “Io sono sempre stato contrario al numero chiuso, perché è un po’ ingiusto; voglio dire, tendi a giocarti il sogno di una vita in un test, ma…”, si ferma. E poi prosegue: “Una volta che ci sei dentro, ti accorgi che è proprio necessario, perché è il solo ed unico modo per garantire a tutti sia una giusta preparazione con i mezzi che ci sono a disposizione, sia un’adeguata distribuzione dei tirocini, che nel triennio clinico diventano fondamentali per la formazione di un medico”, ci dice. Lo lasciamo parlare e gli domandiamo cosa lo abbia spinto a provare il test dopo tanti anni: “Fin da piccolo, ho sempre voluto diventare un medico e non nego che ci rimasi molto male, quando a 19 anni, vidi che non ero entrato per pochissimi decimi di punto. Ho poi ripiegato su biologia con l’intenzione di rifare il test l’anno successivo, ma per una serie di tanti motivi, dalla mancanza di tempo alle pressioni costanti dei miei genitori, ho abbandonato l’idea”. Fino ad oggi. “Nonostante i cinque anni di studio alle spalle, non mi sono sentito realizzato e pronto per cercare lavoro. Sentivo che mi mancasse qualcosa, e quindi niente. Sono tornato sui libri, in un percorso molto lungo e tutto in salita, anche se gran parte degli esami sono più o meno convalidati e sono da integrare. Sarò un folle? Forse. Ma è la determinazione che mi ha spinto a non arrendermi alle prime difficoltà e ad andare avanti. Non me ne pento”.
E’ una testimonianza che dimostra che non sempre una forte volontà e un duro lavoro siano sinonimo di successo. Perché, in realtà è anche questione di momenti, che non devono essere né troppo acerbi, né troppo maturi, ma giusti. Una questione di tempi non uguali per tutti. Per cui, a ognuno, non resta che trovare il proprio tempo: quello giusto.