Scrivo queste poche righe dopo l’ennesima comparsata televisiva di un filosofo, che impegna tutto se stesso nell’impresa di discutere seriamente sulle questioni più drammatiche dell’oggi. In questi ultimi due anni ne abbiamo visti di illustri filosofi prendere posizione sulla pandemia, sui vaccini e ora sentiamo le parole della filosofia anche sulla guerra in corso. Prima ci sono state le parole terribili di Agamben che aveva prefigurato l’inizio di una nuova società autoritaria, che avrebbe reso definitivo e permanente lo stato di emergenza, trasformandolo in stato d’eccezione, in difesa della nuda vita, e ci siamo sentiti dei sudditi ignari che con il vaccino stavano anche fornendo il proprio assenso alla istituzione del dominio di un Sistema, che attraverso la dittatura sanitaria avrebbe cancellato ogni libertà e soffocato i diritti.
Accanto ad Agamben si è schierato Cacciari che ha fondato un gruppo di dissenzienti, la Commissione DuPre (che sta per dubbio e precauzione), composta da veri scienziati, di cui si sono perse le tracce, e che avrebbe dovuto fornire una versione non allineata e non conformista della pandemia e della politica vaccinale. Non parliamo di Fusaro, che imperversa sui sociaL con le sue tesi ultra complottiste, che parla di infame tessera verde, paragonandola alla stella di David cucita sugli abiti degli Ebrei durante il nazismo.
Dopo la brutale invasione russa dell’Ucraina è arrivato il turno di Donatella di Cesare che nelle sue ultime apparizioni televisive ha vestito i panni della missionaria pacifista, ed ha spiegato, a chi non lo avesse capito, che la guerra ha ragioni complesse, che non si possono attribuire il torto e la ragione con leggerezza, che il pensiero critico in Italia viene sistematicamente negato e perseguitato, che la resistenza degli ucraini non si può chiamare resistenza, perché si tratta di un confronto militare fra due nazioni, mentre in Italia ci fu una guerra civile. C’è da disperarsi, ci sentiamo sempre più disorientati perché i nuovi maestri del sospetto contemporaneo gettano una luce sinistra sulle nostre convinzioni più sincere: la Verità è che la Verità è sempre un’Altra, rispetto a quello che il mainstream ci induce a credere.
Sembra che i filosofi da talk siano animati da uno spirito fortemente combattivo e facciano del loro meglio per non essere allineati. Tutto ciò in nome del pensiero critico. Ma siamo sicuri che il pensiero critico sia sempre e soltanto un pensiero che pensa contro i fatti? L’impressione è che questo pensiero critico tenda sempre di più a diventare un pensiero in continua esacerbazione polemica, inutilmente antagonista, gravato da un complottismo ideologico che litiga con la Realtà, e che venga meno il carattere critico della critica. Essere critici non significa criticare a priori, in virtù di un dissenso che molto spesso appare come semplice contrarietà di principio, e che si sta trasformando in un vero e proprio funerale dei Fatti. È stato sinceramente imbarazzante vedere come le posizioni della Di Cesare risultassero in netto conflitto con la realtà ed era purtroppo mortificante constatare come la filosofa parlasse di un mondo che non esiste, di una complessità astratta e vaga di cui non si intravedevano i contorni.
La Di Cesare sembra vivere in una realtà parallela, un mondo alla rovescia, non riesce ad ammettere che c’è un carnefice, i russi, che hanno infranto ogni legge del diritto internazionale e hanno invaso con le armi un paese libero e indipendente, portando la guerra con tutto il suo fardello di dolore e morte nelle case della popolazione ucraina, e c’è una vittima che ha l’unico torto di vivere e abitare una terra di cui Putin si vuole appropriare. Non vediamo nessuna complessità in questa vicenda. É uno schema piuttosto noto, la lotta per il territorio, qualcosa che rimanda ai primordi della civiltà umana, a cui si accompagna la violenza e la sopraffazione del più debole da parte del più forte. Ed è una trama talmente semplice che risulta incomprensibile la strategia di chi in televisione vuole rimescolare ogni cosa per dimostrare che alla fine non ci sono responsabili, perché tutti sono un po’ colpevoli, e da questo meraviglioso fuoco fatuo emerge quasi per miracolo la parola magica e salvifica, Pace, che in quel contesto non ha alcuna forza concettuale e morale, se non per dimostrare la purezza d’animo di spiriti, elevati al rango di missionari della non violenza, mentre è in corso una carneficina di vittime innocenti.
Qualche lezione sulla vacuità di un certo pacifismo ci arriva dalla storia recente. Al termine della seconda guerra mondiale Albert Camus ebbe una vivace polemica con Renè Gerin, direttore della rivista letteraria L’œuvre, che venne condannato a otto anni per pacifismo. Secondo Camus il pacifismo integrale di Gerin era “mal argomentato, e sappiamo che c’è un tempo in cui non è sostenibile”, perché, sempre secondo Camus, occorre un pacifismo ragionevole, intorno al quale si può creare il modello di una società democratica, aperta, che rifiuta la violenza e pratica la giustizia.
Nulla del senso alto del messaggio camusiano risuona negli appelli alla pace che risuonano negli studi televisivi. La filosofia che emerge dai talk sembra la caricatura dei filosofi, persi in un mondo puramente intellettuale, che cadono costantemente nel pozzo profondo delle loro teorie e non si accorgono di quello che accade sotto i loro occhi. Cartesio aveva detto che il buon senso è la cosa meglio distribuita nel mondo, e forse sarebbe il caso che i filosofi italiani, che amano esibirsi davanti alle telecamere, provassero a prendere sul serio quello che scriveva il fondatore del razionalismo europeo.
Perché una filosofia che prende su di sé le ferite del mondo e se ne fa carico seriamente deve accettare che la realtà impone delle scelte, e che la natura crudele della guerra è tale che ogni scelta è una violenza su se stessi e sugli altri. La guerra è malvagia per molti aspetti, ma uno dei tratti più terribili e che non lascia spazio all’indifferenza, perché ogni astensione è già una diserzione. Questo non significa arruolarsi e armarsi, ma riconoscere qual è la posta in gioco e schierarsi in favore dei propri valori, quando sono minacciati, prima che sia troppo tardi.