'Storia mondiale degli ebrei': il libro di Pierre Savy arriva in Italia
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'Storia mondiale degli ebrei': il libro di Pierre Savy arriva in Italia

Il volume è stato pubblicato lo scorso anno in Francia. Viene proposto al pubblico italiano in un'edizione rivista e adattata da Anna Foa.

'Storia mondiale degli ebrei': il libro di Pierre Savy arriva in Italia
Storia mondiale degli ebrei
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28 Marzo 2022 - 14.36


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di Antonio Salvati

Talvolta, di alcuni libri si sostiene che sono belli ma non necessari. Di altri si afferma che non sono particolarmente attrattivi, ma utili. Poi ci sono i volumi che oltre ad essere ben fatti coprono decisamente e in maniera efficace uno spazio della conoscenza. È il caso del libro curato dal francese Pierre Savy, Storia mondiale degli Ebrei (Laterza 2021, pp. 496, € 28). Il volume è stato pubblicato lo scorso anno in Francia. Viene proposto al pubblico italiano in un’edizione rivista e adattata da Anna Foa. Trattandosi di un volume che attraversa tremila anni di storia, il criterio adottato per un’impresa di questa portata è l’individuazione di una serie di date significative – in tutto sono novanta – attraverso le quali illustrare le numerose e significative vicissitudini degli ebrei nel corso della storia. La storia del popolo ebraico è scandita da alcune tappe fondamentali. Si va dalla stele del faraone Merenptah, (risalente al 1207 a.C., e in cui compare, per la prima volta, la menzione del popolo d’Israele) alla distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 dopo Cristo, dall’espulsione degli ebrei dalla Spagna, nel 1492, alla nascita dello Stato di Israele, nel 1948. Fino al 2006, con la proclamazione della Giornata europea della Memoria.

Evidentemente una storia caratterizzata di guerre, di lotte, di sofferenze. E di terribili violenze, prime fra tutte i pogrom e l’Olocausto. Ma anche – sottolinea Savy – «di successi, alcuni eclatanti, altri meno noti. Una Storia degli Ebrei non può non essere innervata di informazioni che hanno a che fare con la storia delle religioni, dei popoli e degli Stati, ma ne supera di gran lunga i confini. Fra gli Ebrei troviamo rivoluzionari, artisti, intellettuali, inventori, viaggiatori, scienziati, che vanno da Rashi a Hannah Arendt, da Albert Einstein a Franz Kafka».

Un popolo – spiega Savy nell’introduzione del volume – che, con tutta la sua diversità, «dà prova di un’energia sorprendente nel continuare ad esistere e a portare la sua testimonianza e il suo contributo. Un popolo che dimostra una straordinaria – per non dire unica – capacità di resistenza sul piano spirituale e intellettuale. Nonostante le loro riserve nei confronti del sapere storico, gli Ebrei si rivelano appassionati di storia, della loro storia in particolare. Non leggiamo forse nel Deuteronomio: «Ricorda i giorni del tempo antico, medita gli anni lontani»? L’ingiunzione sembra «richiamarsi soprattutto alla necessità della memoria più che a quella della elaborazione storica, almeno nella sua prima parte. Ma alcuni hanno tratto da questo versetto la conclusione che lo studio della storia fosse un precetto biblico». Pregio del volume è quello di aver realizzato l’equilibrio fra le date che marcano «la storia dell’antigiudaismo e le date che segnano relazioni più complesse, a volte addirittura felici, con la società maggioritaria, in modo da non sprofondare in quella storia “lacrimosa” giustamente denunciata dalla storiografia contemporanea da quasi un secolo». La storia degli Ebrei, infatti, non è né vittimista né gioiosa; «ma con buona pace di una volgata che insiste in maniera eccessiva sulla buona intesa fra Ebrei e Gentili, rimane il fatto che tale storia fu anche, spesso, drammatica».

Legittimo chiedersi qual è l’oggetto del volume, partendo dal suo titolo: del popolo ebraico, degli Ebrei (con iniziale maiuscola, per la semplice ragione che in molte lingue i nomi dei popoli – al pari di quelli di nazionalità – si scrivono correntemente con l’iniziale maiuscola) o degli ebrei (cioè le persone di religione ebraica)? Chiaramente se esiste una religione ebraica, gli Ebrei costituiscono anche un popolo. Un popolo dai contorni – spiega giustamente Savy. «piuttosto complicati, certo (si può appartenere a pieno titolo al popolo francese e insieme al popolo ebraico, poiché il termine «popolo» designa qui due realtà differenti), che non è facile situare nel panorama delle nazioni o della politica, dal momento che l’idea di popolo è soggetta alla storia e alla concorrenza di altre più recenti, come quella di nazionalità. In poche parole, il fatto ebraico è anche una religione, ma non è solo questo, e basta la semplice esistenza di Ebrei atei per convincersene».

Lo stesso uso del termine «Ebrei» è peraltro discutibile. Che cosa c’è di comune fra individui che sappiamo separati da ogni tipo di differenze, soprattutto temporali e geografiche? A che cosa di preciso e di continuo rinvia – si domanda Savy – questa appartenenza? Non è forse evidente che l’esperienza ebraica è profondamente diversa fra l’epoca del re Davide e il XXI secolo? Interrogativo non evitabile,«soprattutto se lasciamo da parte l’unità teologica (per la quale sarebbe ebreo chiunque accolga la Legge consegnata sul Sinai). Quella della continuità dell’oggetto è una questione classica nella storia: vale per qualunque oggetto considerato nella diacronia – una famiglia o una nazione, un’idea inglobante come la religione o una particolare pratica sociale come, poniamo, il matrimonio».

Tra le tante tappe fondamentali riportate nel volume assai significativa è quella curata da Andrea Riccardi, relativa alla storica visita del 21 marzo 2000 papa Wojtyła in Israele. Questa visita storica, preceduta nel 1993 dal riconoscimento della Stato d’Israele da parte vaticana, segnò una svolta nei rapporti con l’ebraismo con il riconoscimento del «ricco patrimonio comune» delle due religioni. Giovanni Paolo II – spiega bene Riccardi – ha segnato una svolta nel rapporto tra Chiesa cattolica ed Ebrei: «si può dire che è stato il primo papa che ha avuto un rapporto “intrinseco” con l’ebraismo per la sua esperienza, fin dall’infanzia, di amico degli Ebrei in Polonia, di testimone della Shoah a Cracovia, di padre conciliare del Vaticano II, che ha profondamente innovato il rapporto tra cattolici e popolo d’Israele». «Intrinseco» è un’espressione tratta dal discorso di papa Wojtyła durante la visita al Tempio Maggiore di Roma nel 1986, la prima di un papa a una sinagoga. Accolto dal rabbino capo, Elio Toaff, il papa disse parole scolpite nella memoria di tanti: «La religione ebraica non ci è «estrinseca», ma in un certo qual modo, è «intrinseca» alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori».

Com’è noto durante la visita, Toaff chiese il riconoscimento dello Stato d’Israele da parte vaticana, mai avvenuto nonostante il viaggio di Paolo VI in Israele e Giordania, durante il quale papa Montini si mostrò riservato nei confronti delle istituzioni israeliane. L’accordo tra Santa Sede e Israele fu firmato solo nel 1993: per Roma c’erano molte questioni concrete, mentre gli israeliani tenevano molto al riconoscimento diplomatico. Tale riconoscimento avvenne – come disse a Riccardi mons. Cordero Lanza di Montezemolo, allora delegato apostolico a Gerusalemme – per l’insistenza personale del papa, nonostante non fossero risolti tutti i problemi sul tappeto. Molti ricordano la forte fu la delusione del mondo arabo e dei cristiani arabi di fronte alla decisione della Santa Sede. Ma, per Wojtyła, era necessario. In questa visita, Wojtyła ebbe la coscienza di aprire una pagina nuova di rapporti con l’ebraismo: «là [alludeva al viaggio in Israele] è successo qualcosa!». Nel corso della visita Wojtyła si recò pure al muro del pianto e, in un clima di preghiera, accarezzò con la mano le pietre, tra cui pose un cartiglio, come usano fare gli Ebrei. In questo testo era scritta una preghiera e una domanda di perdono. Giovanni Paolo II dichiarò: «L’antisemitismo è un grande peccato contro l’umanità». Non mancarono polemiche nella viva opinione pubblica israeliana sui «silenzi» di Pio XII e altro. Nel 2001 seguì un documento vaticano, con la prefazione del card. Ratzinger, dal titolo Il problema ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, che si schierava contro la separazione della fede cristiana dalla Bibbia ebraica. Una base profonda e complessa è riconosciuta al fondamento dei rapporti ebraico-cristiani, il «ricco patrimonio comune che li unisce», e viene affermato che «un atteggiamento di rispetto, di stima e di amore per il popolo ebraico è il solo atteggiamento veramente cristiano».

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