di Rock Reynolds
“Distillare whisky era un’ode al suo amore perduto, e la gente lo comprava, tre bottiglie piene alla volta.”
C’è un che di inquietante nella contrapposizione quasi insanabile tra un amore finito male e una bottiglia di liquore prodotto illegalmente. Eppure, queste parole sono una sorta di manifesto programmatico, una pennellata secca che ridipinge le affinità elettive di un territorio e della gente che lo abita da secoli.
In principio, quella che finì per essere chiamata America era un mondo libero in cui scorrazzavano specie animali e popolazioni native le quali, realmente, non avevano bisogno dell’esistenza di altri continenti per vivere. Il resto è storia e lo conosciamo bene. L’arrivo dei coloni cambiò tutto. Qualcuno li ha chiamati, forse con una visione più realistica della realtà, conquistatori, sebbene si considerassero timorosi di Dio e lo sbandierassero ai quattro venti, citando a memoria oscuri passi della Bibbia adeguati a ogni situazione possibile e immaginabile. L’America è enorme. Grande è pure il paese che, pur essendo stato battezzato Stati Uniti d’America, da sempre si concede il lusso di considerarsi la vera “America” e così si fa chiamare. Talmente grande da vantare zone climatiche e paesaggi diversissimi tra loro.
Gli Appalachi, l’antica catena montuosa che solca longitudinalmente il paese da nord a sud, parallelamente alla sua costa atlantica, rappresentano una sorta di mondo a sé persino per gli standard eccentrici degli USA. In più, una porzione consistente di questa catena è storicamente parte integrante del Dixie, ovvero di quel Sud che non ha mai del tutto digerito la sconfitta umiliante nella guerra civile. Ed è proprio nel cuore degli Appalachi più sudisti che si svolge la vicenda raccontata nell’intenso romanzo d’esordio di Amy Jo Burns, La figlia del predicatore (HarperCollins, traduzione di Silvia Rota Sperti, pagg 302, euro 19).
D’accordo, il Sud degli Stati Uniti è terreno fertile per la scrittura e ha dato alla luce uno stuolo di formidabili narratori che, forse più di chiunque altro, hanno plasmato l’universo letterario a stelle e strisce. Qualche nome? Mark Twain, Flannery O’Connor, Harper Lee, Eudora Welty, Erskine Caldwell, Carson McCullers, William Faulkner.
Amy Jo Burns la sua storia la ambienta nel West Virginia, su crinali inaccessibili, coperti da una vegetazione quasi impenetrabile. Siamo dalle parti della Blue Ridge Parkway, una delle strade panoramiche più belle degli Stati Uniti. Il contrasto tra lo splendore del paesaggio incontaminato (peraltro spesso impreziosito da riferimenti a battaglie campali della guerra civile) e la cupezza della storia raccontata da Amy Jo Burns non potrebbe essere più stridente. Ma anche in questo e nella violenza biblica che ha spesso insanguinato il percorso esistenziale degli abitanti di questi luoghi sta la forza della sua scrittura. Senza togliere al lettore il gusto della scoperta, ecco cosa racconta La figlia del predicatore.
Occhio Bianco è un “manipolatore di serpenti”, uno di quei predicatori evangelici che, per fare presa sui loro fedeli e irretirli in eterno, pronunciano sermoni infuocati, spesso parlando lingue incomprensibili – a loro dire suggerite dall’Altissimo in persona – in uno stato di trance sovrannaturale, maneggiando serpenti velenosi con nonchalance. I rettili – solitamente tre delle quattro specie velenose degli USA, ovvero serpenti a sonagli, teste di rame e mocassini d’acqua – non possono far loro alcun male: Dio ha immunizzato i predicatori contro il veleno potentissimo che gli aspidi sono in grado di inoculare oppure ha semplicemente istruito i serpenti a non mordere chi li sta maneggiando.
Non sempre, evidentemente, i rettili velenosi seguono le istruzioni dell’Altissimo alla lettera, a differenza delle comunità evangeliche che prendono per oro colato ogni parola della Bibbia. Nel 2014 fece alquanto scalpore il caso di Jamie Coots, pastore di una piccola comunità pentecostale del Kansas, morto per un morso di uno dei suoi serpenti a sonagli. Coots era già stato morso nove volte in precedenza e, in un caso, gli erano letteralmente cadute due falangi di un dito finito in cancrena per aver rifiutato qualsiasi cura medica. Naturalmente, le due falangi annerite le aveva tenute come souvenir. Già, avete capito perfettamente: anche nel caso del decimo morso, Coots si affidò alla Bibbia. Forse, non aveva interpretato bene le scritture oppure l’Altissimo si era scordato di lui.
Amy Jo Burns deve aver avuto ben presente la sua vicenda, considerato come si eprime nel suo romanzo. “Sulle nostre colline la gente beveva veleno in nome di Dio e maneggiava serpenti guidata dallo Spirito Santo. Per noi la malattia non era mai nel corpo. Era nell’anima.” Occhio Bianco, in realtà, si chiama Briar e ha preso quel nome dal giorno in cui un fulmine ha colpito la sua casa e lo ha lasciato privo di sensi, velandogli un occhio.
Da quel momento, tutti tra le montagne circostanti gli riconoscono poteri speciali, anche perché Briar, che è sempre stato abile nella cattura dei serpenti, inizia a predicare, avvalendosi della loro presenza spettacolare. È su quei monti, in fondo, che la gente da sempre nasce e muore e, come molti connazionali (a differenza di quanto si pensi qui in Europa), pochi di quei montanari mettono mai piede fuori dal loro stato e ancor meno vedono il mondo. Anche questo spiega quanto chiuse, diffidenti e persino aggressive siano certe comunità sorte sugli Appalachi.
Il turista che si trovi a passare da quelle parti e che abbia l’imprudenza di esprimere una seppur velata critica dello stile di vita locale si sentirà immancabilmente dire, senza troppe cerimonie, che così vanno le cose da due secoli e mezzo e che, dunque, se non gli piacciono, se ne può tranquillamente tornare a casa sua e nessuno sentirà la sua mancanza. Le leggende (in parte vere) di piccole comunità isolate e inaccessibili in cui gli incroci tra consanguinei sarebbero la norma (un po’ come succedeva nei masi chiusi dell’Alto Adige) sono state abbondantemente raccontate dalla cinematografia americana che, addirittura, ne ha trasformata una in una delle icone della paura per eccellenza, con il film Un tranquillo weekend di paura.
La figlia del predicatore, però, non sfiora nemmeno nelle intenzioni gli slanci horror di quella vicenda. Eppure, il senso di morte incombente e la tristezza di protagonisti condannati dalla nascita a una vita di auto-privazione, una sorta di cilicio esistenziale dal quale nessuno o quasi si sottrae, si insinuano nei pochi spazi di libertà della trama. Briar ha un segreto inconfessabile che solo l’ex-amicone Flynn conosce, ma che tutta la comunità sospetta. Flynn ha smesso di frequentarlo da quando Ruby, oggetto del suo desiderio, ha deciso di sposare il predicatore. Briar è il testimonial di Dio e ha un demone invincibile in sé. Flynn rappresenta il male, da produttore di whisky illegale qual è, ma ha slanci di amore puro. La prima parte della storia è raccontata attraverso gli occhi di Wren, la figlia di Briar e Ruby. Il resto va letto.
Come sia possibile che un ambiente dalla natura così ricca e generosa sia pure così saturo di insoddisfazione e condannato all’oblio forse resterà un mistero persino dopo aver voltato l’ultima pagina del romanzo. Gli Appalachi da sempre sono il fulcro di molte delle ambiguità dell’universo a stelle e strisce. Demonio e santità qui vanno a braccetto tra i boschi. La produzione di whisky illegale (il moonshine), nata soprattutto negli anni del Proibizionismo e diventata un fatto normale, con tassi di alcolismo endemici, è stata in parte soppiantata dalla diffusione delle droghe, soprattutto eroina e metamfetamine.
Elegia Americana (Garzanti) di J.D. Vance ce lo racconta impietosamente, legando la diffusione a macchia d’olio del consumo di stupefacenti al crescente spopolamento delle comunità di montagna, spesso in conseguenza della chiusura delle miniere che per decenni hanno rappresentato la spina dorsale della povera economia locale. E chi fosse interessato a entrare più in profondità nel clima fosco così ben rappresentato da La figlia del predicatore farebbe bene a leggere il romanzo storico La contea più fradicia del mondo (Dalai Editore) di Matt Bondurant, che il regista John Hillcoat ha trasformato nel film Lawless, con Shia LaBeouf. Oppure, Fiume di Terra (Mattioli 1885) di James Still, un vero classico degli Appalachi.