Ma tutti gli altri giorni no: un memoir tra padre e figlio di Giancarlo e Massimiliano Governi
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Ma tutti gli altri giorni no: un memoir tra padre e figlio di Giancarlo e Massimiliano Governi

In un commovente memoir Giancarlo e Massimiliano Governi mettono in scena l’immemorabile confronto tra padre e figlio, sullo sfondo della pandemia e della nostra storia.

Ma tutti gli altri giorni no: un memoir tra padre e figlio di Giancarlo e Massimiliano Governi
Ma tutti gli altri giorni no
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

20 Aprile 2022 - 15.27


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In un’epoca di endemico e disperante vuoto della memoria, il genere del memoir è tra le poche oasi sopravvissute all’indiscriminato oblio dell’esperienza umana, una forma letteraria in grado di dare del tu al lettore, di affascinarlo e coinvolgerlo emotivamente. È questo il caso del volume firmato da Giancarlo e Massimiliano Governi, Ma tutti gli altri giorni no, pubblicato da Nutrimenti (pp. 125, € 16).

Giancarlo è il noto giornalista e scrittore, punta di diamante della Rai nella sua più fulgida stagione, autore di indimenticabili programmi televisivi, di ritratti e libri che fanno appunto della memoria il centro focale (tra i tanti, le biografie di Anna Magnani, Totò, Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Fausto Coppi). Massimiliano, suo figlio, è anch’egli consolidato scrittore, con all’attivo diversi apprezzati romanzi. Ebbene, spinto dal desiderio di spezzare l’isolamento fisico ed emotivo nei mesi bui della pandemia di Covid-19, a quest’ultimo viene l’idea di aprire un confronto finalmente sincero con il padre, recuperare un vissuto familiare comune, un passato di luci ed ombre denso di significati, da brandire come un’arma contro il mal sottile del presente e con il quale prefigurare un futuro accettabile. L’esperimento dà luogo ad una “specie di romanzo a due voci”, “una conversazione intima”, un viaggio nel privato condiviso, ma non solo. Nel dialogo serrato, tra domande, risposte e contro-domande, giocato sulla differenza generazionale – forse l’architrave del libro –, intessuto della rievocazione di fatti e vicende note e sconosciute, si compone il vivido quadro di un intero Paese, con la levità di un racconto narrato davanti ad un focolare in una notte d’inverno, come si usava in un tempo non ancora inquinato dall’ossessiva presenza d’una tecnologia che ha invaso persino gli spazi dell’anima. Ai ricordi del padre ottantenne si affiancano e si intersecano quelli del figlio ormai prossimo alla sessantina, dunque anch’egli testimone della nostra storia culturale e di costume. Ne vien fuori un ritratto corale che dallo spazio personale s’apre al collettivo, nel tentativo quasi disperato di non soccombere all’oblio, ritrovare un’identità culturale sempre sull’orlo del suicidio.

Il lettore avverte e apprezza il bisogno espresso da Governi padre – uomo e intellettuale fattosi da sé, come si usava dire – di “dispensare il frutto del mio lavoro, dei miei studi e che andrà perduto quando io non ci sarò più”. Così, “in una sorta di seduta psicoanalitica“, ma anche di Bildungsroman, si rievocano con prosa dialogica impreziosita da colte citazioni le memorie di un ragazzino di via della Lungara, “nato in una casa con le catinelle sparse per le stanze per raccogliere l’acqua”, dai bombardamenti americani nell’ultimo conflitto mondiale (che oggi, con l’ennesima guerra di nuovo alle porte, assume risonanze ancor più sinistre) alle prime esperienze lavorative, al coronamento del sogno di diventare giornalista, all’assunzione in Rai e al lavoro culturale ivi svolto con la pervicace idea di una sua modernizzazione, all’incontro spesso condito dall’amicizia con importanti artisti, personaggi dello sport e dello spettacolo, politici.

In queste pagine scorre insomma la nostra storia, speziata da succosi e anche inediti aneddoti (come quello su Gramsci, di non lieve rilevanza documentaria), acute riflessioni sui media (televisione, cinema, forme espressive come il fumetto, che per la passione condivisa da padre e figlio assume grande centralità), su temi quali il suicidio, l’esclusione e l’alterità, (già pervasivamente esplorati nei romanzi di Massimiliano), l’amicizia, la sessualità, il pregiudizio ideologico, il rapporto con la fede, il senso di colpa, la responsabilità, le scelte morali. Si ripercorrono episodi memorabili come l’arrivo a Roma nel 1950 di Stanlio e Ollio (ai quali Giancarlo dedicò l’indimenticato programma Due teste senza cervello), eventi storici come la morte di Italo Balbo, l’assassinio di Leone Ginzburg, l’evasione di Sandro Pertini, epoche come quella effervescente del boom economico, quella drammatica degli anni Settanta, della Milano da bere degli anni Ottanta. Si recuperano dall’abisso della dimenticanza vicende d’arte di vita e di cronaca come quella del cantastorie pugliese Matteo Salvatore, che ammazzò la compagna con un doccino, l’ineguagliabile stagione del folk revival (con la leggendaria collana discografica della Fonit-Cetra, della quale Giancarlo fu direttore), la Modena di fine anni ’60 (sorta di “piccola Hollywood” generatrice di geniali creativi tra cui Paul Campani, maestro dell’animazione, creatore dell’Omino coi baffi, il celebre personaggio di Carosello), un’indimenticabile edizione del Salone dei comics al Palazzetto dello sport di Lucca, nell’autunno del 1975, con leggendari fumettisti (Hugo Pratt, Magnus, Iacovitti, Bonvi, Lee Falk, Quino), e dove Giancarlo si assicurò la collaborazione di alcuni di loro per una delle sue trasmissioni Rai più seguite di sempre, Supergulp, i percorsi letterari e le crisi esistenziali di Massimiliano, in un confronto-scontro anche intellettuale con il padre.

I Governi hanno insomma il dono della narrazione, e questo memoir – con la sua copertina acquerellata e la foto in bianco e nero d’un padre con due figli bambini a cavalcioni d’un poderoso albero – si legge con gran piacevolezza. È certo un modo per fare il punto sulle rispettive esistenze, in un momento per tutti drammatico, ove trova spazio anche qualche rimpianto, come quello di Giancarlo, così abile a scavare nelle vite dei tanti artisti che ci ha mirabilmente raccontato ma non in quella del proprio genitore, uomo di inaccessibile riserbo, che da guardia carceraria conobbe personaggi del calibro di Pertini, Saragat, Leone, Ginzburg ed altri illustri detenuti antifascisti. Ma il libro è anche e soprattutto un suggestivo viaggio nella storia culturale del nostro Paese, un’occasione per mettere in parallelo un passato ricco e fervido d’esperienze ed un presente complicato, non di rado astrusa e incomprensibile. E allora quella foto in bianco e nero, la carta riciclata delle pagine, il “finale aperto all’infinito”, i disegni iconici di Corto Maltese e di Supergulp della seconda e terza di copertina, stanno forse a dirci che in fondo la vita è tutta un fumetto, a saperla interpretare e vivere “nel suo duplice aspetto di bellezza e pericolo”.

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