di Antonio Salvati
Com’è assai noto, dal Concilio Vaticano II ad oggi, tutti gli ultimi pontefici sono stati oggetto di critiche. Talvolta spesso molto dure. Non sono stati risparmiati né Paolo VI, né Giovanni Paolo II, né Benedetto XVI. Critiche provenienti sia da settori cosiddetti progressisti, per i quali la riforma conciliare doveva assumere l’aspetto di una vera e propria rivoluzione; sia da ambienti tradizionalisti, per i quali ogni cambiamento nella Chiesa viene letto come eresia.
Di tutto ciò e di altro, da conto con il suo ultimo volume Massimo Borghesi, Il dissidio cattolico. La reazione a Papa Francesco (Jaca Book 2022 pp. 416, € 34,00). Per Borghesi – che si sofferma in particolare sulle critiche nei confronti di Papa Francesco – occorre partire dall’11 settembre per meglio comprendere l’attuale reazione conservatrice che ha tentato in questi anni di deformare e delegittimare il pontificato di Francesco.
L’odio e la paura, la «rabbia e l’orgoglio» come scriveva Oriana Fallaci, suscitati dalla follia dei piloti suicidi di Osama bin Laden, hanno provocato una metamorfosi della stessa testimonianza cristiana. Dopo la scomparsa dell’avversario comunista, grazie a un nuovo nemico rappresentato dall’islamismo radicale, una parte del mondo cattolico del secondo millennio – soprattutto quello statunitense – torna sulla scena con maggior vigore. Torna il quadro manicheo e il cristiano può riprendere la sua tenuta da combattimento dismessa negli anni ’90.
Così, in pochi anni, il cristiano – come ha spiegato Borghesi nel suo precedente volume incentrato sul cattolicesimo statunitense Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e “ospedale da campo” – «da missionario e aperto al dialogo diventa identitario e conflittuale, da sociale diventa individualista e burocratico, da pacifico si fa bellicoso, da cattolico e universalista diviene occidentalista». Nasce la figura del cristianista. Fenomeno nuovo, senza dubbio, almeno relativamente agli ultimi anni, spiega Lucio Brunelli: il cristianista dice «Basta chiacchiere ecumeniche, occorre un’identità forte».
Si sentono minoranza e in politica stanno di preferenza col centrodestra, in economia sono ultraliberisti, a livello internazionale, ferventi americanisti. «Ma la vera novità dei cristianisti non è la scelta dello schieramento. È il pathos che ci mettono. Lo spirito di militanza. E soprattutto la forte motivazione ideologico-religiosa. Dalla teologia dell’unicità di Cristo Salvatore discende senza dubbi un atteggiamento belligerante verso l’Islam». A ciò si aggiunge «l’accusa sprezzante a quei cristiani che si dedicano prevalentemente alle iniziative sociali in favore degli “ultimi”.
Dalla denuncia dell’irenismo teologico si arriva all’entusiasmo (non solo approvazione, ma entusiasmo) per le spedizioni militari alleate» (…) «minoritario ma non quanto si crede, perché si innesta (estremizzandole) in tendenze dottrinali e politiche che trovano spazio anche in alcuni settori della gerarchia ecclesiastica. Il vero punto di lontananza con i cristianisti non è una differenza di vedute politiche. È questo uso del cristianesimo come un vessillo ideologico».
Il “cristianista” è l’uomo dell’ortodossia le cui energie sono poste al servizio della Verità. I due poli della nota enciclica Evangelii nuntiandi di Paolo VI, evangelizzazione e promozione umana, «scompaiono dal vocabolario – sottolinea Borghesi – e rimane solo la verità dottrinale brandita come un vessillo, lo stendardo di un’identità forte in lotta contro un mondo alieno, abitato solo da nemici». Per il “cristianista”, Bergoglio rappresenta «il compendio del mondo “liquido”, quello dialogante, pacifico, misericordioso, generoso verso i poveri e gli immigrati, aperto al rapporto con l’islam».
In quanto fautore del Concilio Vaticano II, Papa Francesco è divenuto altresì l’obiettivo ideale per le correnti tradizionaliste e anticonciliari tornate in auge proprio grazie all’ondata populistica. La destra politica si allea con quella religiosa a partire da una visione manichea della storia. Si realizza così una vera e propria battaglia, «una sorta di Armagheddon finale tra giusti e corrotti, (che) ha assunto la forma della lotta per il primato della Verità contro quello della Misericordia».
Papa Francesco ha sempre personificato la visione di una Chiesa per tutti, senza eccezioni, non per alcuni. La Chiesa non è quindi un club selettivo e chiuso: né quello di un ambiente sociale cattolico per tradizione, e nemmeno quello di persone capaci di virtuoso eroismo. Una Chiesa dalle porte misericordiosamente aperte. Papa Francesco ha conquistato il cuore di tantissimi fedeli perché ben rappresenta il pastore che si prende cura delle sue pecore, di quelle smarrite e di quelle del recinto, che le tratta con misericordia.
Tuttavia, ciò non ha impedito – come documenta Borghesi – lo svilupparsi del “dissidio cattolico”, la dialettica drammatica che ha diviso la Chiesa negli ultimi anni. Il volume di Borghesi costituisce una raccolta di articoli e interviste che vanno dall’elezione di papa Francesco, nel 2013, ad oggi. I saggi e le interviste contenute nel libro consentono di comprendere dal “vivo” il quadro, fatto di eventi e di personaggi, di questo “dissidio”.
Dar rilievo a questo “dissidio” mostra anche quanto viviamo in un tempo segnato da una profonda inquietudine e da una crisi non solo di credenze, ma anche di fede. Molti si interrogano sul futuro del cristianesimo. Recentemente il cardinale Matteo Zuppi ha acutamente dichiarato: «La Chiesa rischia di essere irrilevante anche se le statistiche sui credenti non sono tutto.
Alcune scelte di papa Francesco sono importanti per i cattolici, e per tutti. La cristianità è finita, ripartiamo dall’essere evangelici, dal parlare con tutti, dal riprendere le relazioni con tutti. Essere una minoranza creativa che parla di futuro. Non difendiamo i bastioni, abbiamo tanto da lavorare per superare le difficoltà della Chiesa». per uscire dalla crisi confrontandosi con le sfide della post-modernità. Necessario avere come punto riferimento l’appello del Papa: «Nell’ovile abbiamo soltanto una pecora e voi dovete andare fuori a trovare le altre novantanove».
Secondo diversi analisti e protagonisti del mondo cattolico italiano occorre rifuggire dal fondamentalismo, ma non occorre neppure barricarsi sui valori non negoziabili, poiché si viene marginalizzati e si rinuncia così al dialogo costruttivo con il resto della società. Ineludibile praticare la via del dialogo, poiché – direbbe Papa Francesco – «la vita della Chiesa è nella relazione»; perciò «mettere un piede fuori dal suo recinto l’aiuterà a non cadere e permetterà alla società di riconoscerla». Insomma, dovrà resistere alle tentazioni politiche per assumere «un ruolo profetico nella società».
Giustamente Andrea Riccardi nel suo sagace volume La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo (Laterza, 2021) avverte che il cristianesimo è vivo solo se lotta, ovvero vive agonicamente, come aveva già sostenuto Miguel De Unamuno. Nonostante si abbia la percezione di un declino quasi inarrestabile osserva Riccardi – agonia, nel senso più profondo, è lotta, non rassegnazione. La lotta di oggi è essere a contatto con l’indifferenza, il discredito al massimo grado, il ridimensionamento nei fatti e nelle esistenze. Per i cristiani è facile non lottare: si è tollerati come nicchia. Non si tratta di una lotta contro qualcuno o qualcosa, che scomunica, scredita, aggredisce. Tante volte la Chiesa è tentata dagli scontri frontali, come sembrano desiderare alcuni ambienti cattolici conservatori. È un modo di far sentire che si è vivi. Non si tratta di conquistare, perché la sua esistenza è fondata sulla gratuità.
In tal senso, risultano di stretta attualità le riflessioni del filosofo cristiano francese Emanuel Mounier formulate nell’immediato secondo dopoguerra, in cui invitava i cristiani a farsi carico del compito di ricercare elementi comuni con i valori propugnati dalla modernità, considerando anche che «il mondo attuale non incontra più il cristianesimo». Per Mounier i cristiani comportandosi in maniera irreprensibile sul piano dottrinale, attraverso i loro comportamenti piccolo borghesi, operano il tradimento del Vangelo, rimanendo praticamente chiusi agli stessi ideali della modernità su cui si basa il pensiero laico.
«Si può rigettare, condannare, estirpare un errore o un’eresia. Non si rigetta un dramma, e la cristianità, nella sua pace di superficie, è di fronte oggi al più temibile dei drammi nei quali sia mai stata impegnata. Il cristianesimo non è minacciato di eresia: non si appassiona più per questo. È minacciato da una sorta di apostasia silenziosa costituita dall’indifferenza intorno ad essa e dalla propria distrazione. Questi segni non ingannano: la morte si avvicina. Non la morte del cristianesimo, ma la morte della cristianità occidentale, feudale e borghese. Una cristianità nuova nascerà domani, o dopodomani, da nuovi strati sociali e da nuovi innesti extraeuropei. Purché noi non lo soffochiamo con il cadavere dell’altra». Considerazioni, come dicevamo, di estrema attualità. E, soprattutto, preziose per ripensare il ruolo profetico nella società dei cristiani.
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