Vanessa Scalera: dai David di Donatello a "Ovvi destini"
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Vanessa Scalera: dai David di Donatello a "Ovvi destini"

Per tutti è Imma Tataranni. Fino al 15 maggio è alla Sala Umberto di Roma con "Ovvi destini". Intervista a Vanessa Scalera

Intervista a Vanessa Scalera
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13 Maggio 2022 - 10.28


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di Alessia De Antoniis

Dai David di Donatello per “L’Arminuta”, alla Sala Umberto con “Ovvi destini”. Lei è Vanessa Scalera. Per il grande pubblico è Imma Tataranni.

Candidata ai David di Donatello, amata dal grande pubblico come Imma Tataranni, Vanessa Scalera è una bravissima attrice che neanche la pandemia è riuscita a fermare. L’abbiamo vista in “Diabolik” dei fratelli Manetti e in “Corro da te” con Pier Francesco Favino. Alla Festa del Cinema di Roma, “L’Arminuta” è stata una una delle pellicole più acclamate.

Fino al 15 maggio, Vanessa Scalera è alla Sala Umberto di Roma con “Ovvi destini” di Filippo Gili. Sul palco anche Anna Ferzetti, Daniela Marra e Pier Giorgio Bellocchio.

Imma Tataranni ti ha dato la notorietà. Quando si incontrano ruoli simili nella propria carriera, si rischia di rimanerne intrappolati?

Se il pubblico mi associa solo a questo personaggio, vuol dire che non è incuriosito da tutto e da quello che ho fatto nel contempo. La madre ne “L’Arminuta”, la serie “Romulus”, “Corro da te”, con Favino. Non mi sento intrappolata, perché nel frattempo ho fatto tanti altri personaggi diversi.

Alla Festa del cinema di Roma, “L’Arminuta” è stato uno dei film più acclamati. Sei riuscita a impressionare in un ruolo drammatico, senza esprimere alcun sentimento…

Non è un melodramma. I sentimenti sono tutti repressi, nel libro come nel film. Non sono agiti, non sono vissuti. La madre è una donna repressa che non conosce il vocabolario amoroso. Siamo in un mondo contadino, in un mondo all’apparenza freddo, che non ha mai conosciuto la modernità, la psicanalisi. È un mondo solo all’apparenza freddo. Non è che non conosce i sentimenti, semplicemente non ha i mezzi per manifestare l’amore.

Ne “L’Arminuta” sei madre di sei figli. Mi è capitato di sentir dire che conoscere certe emozioni aiuta nella recitazione. Tu non hai figli. Quindi?

Mi chiamo attrice. Se mi dovessero proporre di interpretare una drogata che faccio? Dovrei drogarmi di eroina? Noi lavoriamo con l’immaginazione. Se devi interpretare una madre e non hai figli, non vai a partorire. Facciamo personaggi che sono altro da noi e che hanno un vissuto diverso. Ecco perché studiamo e ci esercitiamo tanto: per imparare a farlo.

È sopravvalutata anche la storia che recitare è una sorta di psicanalisi?

Di psicanalisi non direi, semmai di conoscenza profonda. La recitazione ti porta a un punto di connessione con la tua parte intima. Analisi è un parolone. È un lavoro difficile per questo, perché magari ti scontri con cose che non vorresti mai raccontare di te e le devi rappresentare.

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E quale Vanessa hai scoperto tuffandosi nel ruolo della madre ne L’Arminuta?

Ho ripercorso facce e comportamenti di gente che ho visto, perché vengo da un paese del Sud. Da un Sud che forse ora non c’è più, ma che fino a qualche anno fa, quando ero ragazzina, esisteva. Ricordo quelle espressioni, quel modo di pensare. Sono facce che ho visto, dinamiche che conosco, che ho vissuto. Per questo mi è stato facile raccontare quel mondo contadino, perché mi appartiene.

La tua formazione teatrale ti ha aiutata a calarti in quel ruolo?

Ho fatto molto più teatro, è indubbio. Al cinema poi, non abbiamo occasione di provare. Dobbiamo agire subito. Ho fatto quello che faccio sempre: mi sono messa a pensare a questa donna, a cercare di guardare il mondo coi suoi occhi. Il lavoro sul personaggio, poi, lo affini confrontandoti col regista.

Quello che mi piace del mio lavoro è la capacità di stupirmi che viene anche dall’incontro con l’altro. Anche l’incontro con le due ragazzine è stato formativo per me. Nel mio lavoro, l’altro è soprattutto uno stimolo.

Sei alla Sala Umberto di Roma con “Ovvi destini”, scritto e diretto da Filippo Gili…

Sono Laura, una delle tre sorelle. Una donna buttata in una situazione al limite, che soffre di ludopatia. Una donna schiacciata sul senso di colpa che anestetizza giocando. Se dovessimo immaginare la seconda serie dello spettacolo, avremmo una donna che negli ultimi anni della sua vita vivrebbe un inferno.

Ne “L’Arminuta” e “Imma Tataranni”, hai preferito non relazionatri con le autrici ma solo col regista. Con Gili come hai fatto? Lui ti ha diretto in “Prima di andar via” e in “Ovvi destini”, due testi che ha anche scritto…

È differente. Lavoriamo insieme da anni, è uno sceneggiatore, un regista, ma anche un attore. Con Filippo, avere sia il regista che l’autore è un’aggiunta.

“Prima di andar via” e “Ovvi destini” sono due spettacoli a cui io tengo tantissimo. Mi sono formata con gli spettacoli di Filippo. È il mio luogo di libertà, è il teatro che mi piace fare.

Partecipi alla scrittura?

No. Non potrei mai e lui non me lo farebbe fare. È poi diverso da una sceneggiatura cinematografica o di una serie, dove puoi rimaneggiare e proporre dei cambiamenti. I testi di Filippo sono delle macchine perfette. Mette i personaggi in una situazione al limite e il testo funziona se lo esegui esattamente come lui lo ha progettato.

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Il ruolo di Laura lo hai scelto dopo aver letto la sceneggiatura o te lo ha affidato Filippo?

No, i ruoli me li offre lui, non me li scelgo. Mi ha detto: “ho pensato a te per Laura” e io l’ho fatta.

Non riuscirei a vederti in un alto ruolo. Credo sia perfetto per te.

In realtà neanche io. Ogni tanto mi piacerebbe pensarmi negli altri tre ruoli. Mi piacerebbe anche pensarmi nel personaggio interpretato da Pier Giorgio Bellocchio, sparigliare le carte. Credo che avere la possibilità di fare un altro ruolo all’interno dello stesso spettacolo, sarebbe un esercizio fantastico per gli attori. Mettersi nelle scarpe dell’altro.

Adesso tutti gli attori e le attrici vogliono fare regia? Vuoi andare anche tu dietro la macchina da presa?

No. Voglio stare ancora davanti alla macchina da presa. A me piace recitare.

Come ti senti a girare per Roma e essere fermata e chiamata Imma? Non sembri una che smania per andare sul red carpet…

In me c’è una lotta continua tra ego e superego. A volte dico: ma perché non ci sto? E poi quando ci vado mi chiedo: perché quando ci vado ci sto male? È una lotta. C’è una parte di me che fugge dal clamore, ché fondamentalmente sono una persona molto schiva. Quando mi dicono “sei proprio brava”, sono contenta. Mi fa piacere che la gente apprezzi il lavoro che faccio e che questo personaggio sia stato amato.

Ma c’è tanta strada dietro al tuo successo, tanta gavetta e tante tavole di palcoscenico consumate…

È inutile negarlo. La mia età è sul mio viso e sulla mia carta identità. Il successo e la popolarità sono arrivati dopo i quarant’anni, ma dietro c’è quella che io non amo chiamare gavetta. In tutti questi anni ho fatto il mio lavoro. La gavetta è un altra cosa. C’è tanto teatro. Anche Imma è un personaggio teatrale.

Hai più di quarant’anni, non hai marito, non hai figli. Per Elisabetta Franchi non avresti diritto a un lavoro nella sua azienda…

Lasciamo perdere! Sono rimasta basita. Sono state parole sconcertanti, soprattutto dette da una donna che parla di altre donne.

Da Bellocchio a Moretti a Marco Tullio Giordana, da Frangipane a Gili. Ci sono molte figure maschili nella sua carriera. Una donna con la quale le piacerebbe recitare?

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Dimmi tu quante registe donne ci sono in Italia? Non mi interessa lavorare con un uomo o con una donna, voglio lavorare con registi bravi. Le registe brave stanno emergendo sempre più. Ho appena visto un bellissimo film, “Settembre”, con Barbara Ronchi diretto da Giulia Louise Steigerwalt. Sono una fan di Barbara, che è una carissima amica e un’attrice straordinaria. Era tanto che non vedevo una commedia così bella.

In “Ovvi destini” c’è una domanda: quante vite di persone che non conosci, saresti disposta a sacrificare per salvare la vita di chi ami. In questi due mesi, molti stanno chiedendo la resa di un popolo libero che si trova invaso, per salvare il resto dell’Europa. A distanza di tre anni dalla scrittura, la domanda che Gili pone in scena sembra profetica…

Non la vedo una domanda profetica. L’essere umano si abitua a tutto, anche alle guerre. Non credo che quella domanda sposti l’attenzione e che risuoni diversamente perché ora c’è una guerra che ci tocca da vicino. È una domanda che riguarda esclusivamente la propria interiorità, i propri egoismi. Costanza (Daniela Marra – nda) chiede a Lucia (Anna Ferzetti – nda) una ripsosta di pancia. Chi risponde di pancia non può pensare alla guerra. È un gioco al massacro, ma è un gioco. Costanza pretende sincerità. Pretende che la sorella contatti la sua pancia, l’istinto. Non credo che quella domanda, a tre anni dalla scrittura, sia diversa o faccia pensare ad altro.

Questo conflitto ci tocca molto perché è dietro l’angolo. Ma di conflitti nel mondo ce ne sono tanti e quasi tutti dimenticati. Sarò cinica, ma ci stiamo abituando. I primi giorni piangevamo tutti: io, te, il vicino di casa. Avremmo voluto adottare tutti i bambini ucraini e portarli a casa nostra. Purtroppo alla fine ci abituiamo al male. Ci abituiamo a tutto e il male diventa quotidiano.

Questo conflitto diventerà quotidiano. Se ne parla così tanto perché è molto vicino a casa nostra. Ma tutti gli altri continuiamo a dimenticarli. Quello che ha fatto Gino Strada con Emergency è la cosa più grande. Gino Strada parlava di tutte le guerre del mondo e diceva che la guerra è uno schifo. Quello che è orribile è che ti sconvolge tutto, ma alla fine ti abitui a tutto.

Progetti? Non voglio sapere se sposi Filippo. Solo progetti di lavoro…

Per ora non parlo.

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