Paolo Nori, quando un 'dostoevskiano' racconta Fëdor M. Dostojevski
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Paolo Nori, quando un 'dostoevskiano' racconta Fëdor M. Dostojevski

Il romanzo 'Sanguina ancora. L'incredibile vita di Fëdor M. Dostojevski'. Ma, avverte l'autore, per leggerlo non serve conoscere Dostoevskij

Paolo Nori, quando un 'dostoevskiano' racconta Fëdor M. Dostojevski
Paolo Nori
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4 Agosto 2022 - 23.20


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di Antonio Salvati

Da anni faccio parte di un club, neanche tanto esclusivo: quello degli ammiratori – che rasentano il fanatismo – di Dostoevskij. È un popolo vasto quello dei dostoevskiani, letteralmente travolti dal fascino sovraumano che il grande scrittore russo esercita da oltre centocinquant’anni sui suoi lettori. Nessuno metterebbe in discussione l’evidente genialità di Dostoevskij che – come direbbe il filologo Pavel Fokin – si rivolge a ogni lettore: ognuno trova il proprio posto nel suo mondo, qualcosa ti si rivela interiormente. Leggendo i classici Delitto e Castigo o L’idiota semplicemente si entra in contatto con Dostoevskij, si è d’accordo con lui, ci si discute, si espongono le proprie ragioni. In altri termini, leggendo Dostoevskij, entriamo nel territorio della conoscenza di sé stessi.

Pertanto, un dostoevskiano doc non può non leggere il romanzo di Paolo Nori, Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostojevski (Mondadori 2021, pp. 288, € 18,50). Nori sostiene di non essere uno studioso, ma un appassionato: «gli studiosi scrivono cose per studenti, il mio romanzo non è da studiare, è da leggere, e per leggerlo non c’è bisogno di essere cultori della letteratura russa, né di aver letto una pagina di Dostoevskij».  Nori è consapevole che su Dostoevskij non si può dire niente di nuovo, direbbe Herman Hesse. Ciò che si può dire, sul suo conto, di giusto e accattivante, probabilmente è già stato detto. Esiste su Dostoevskij e sulla letteratura russa ottocentesca in generale una bibliografia vastissima.  Ma Nori è spinto da una consapevolezza forte e chiara: «credo, davvero, che Dostoevskij abbia fatto una vita incredibile e che valga la pena di raccontarla indipendentemente dal fatto che lui sia uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. Il personaggio che mi piace di più è la seconda moglie di Fëdor Michajlovic, Anna Grigor’evna. Quello più simile a me è l’uomo del sottosuolo».

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La passione di Nori inizia con Delitto e castigo, un romanzo che legge da ragazzo: «è una iniziazione e, al contempo, un’avventura». «La scoperta è a suo modo violenta: quel romanzo (…) apre una ferita che non smette di sanguinare». Il suo romanzo racconta di un uomo che non ha mai smesso di trovarsi tanto spaesato quanto spietatamente esposto al suo tempo. In Delitto e castigo abbiamo la presenza di due opposti atteggiamenti, di due voci discordanti che si ritrovano simultaneamente nel medesimo personaggio, lacerato allora da un dissidio morboso tra il bene e il male, il razionale e l’irrazionale, l’amore e l’odio, la certezza e l’incertezza. Di qui l’angoscia e la profondità di certi tipi umani nei quali Dostoevskij sottolinea, esasperandole, la contraddittorietà, l’ambiguità, la crisi di un compatto sistema unitario di valori, e, quasi sottoponendoli a una specie di tormento morale, cerca di strappare loro a forza le parole dell’autocoscienza Ha osservato, in tal senso, il grande scrittore austriaco del novecento Stefan Zweig: «Cercatemi, mostratemi un solo individuo nell’opera di Dostoevskij che respiri tranquillamente, che si riposi, che abbia raggiunto la sua meta! Nessuno, assolutamente nessuno! Tutti corrono la corsa pazza verso le vette e verso gli abissi – perché, secondo la formula di Alëša, chi ha fatto il primo gradino deve cercare di raggiungere l’ultimo – da tutte le parti, nel gelo e nell’arsura, si manifesta l’ardente bramosia di questi insaziabili, questi sfrenati, che cercano e trovano la loro misura solo nell’infinito. Come frecce partono in continua tensione dalla corda della loro forza verso il cielo, sempre in direzione dell’inarrivabile, sempre mirando alle stelle, ognuno è una fiamma, un fuoco, d’irrequietudine». Le frecce, la fiamma, l’irrequietudine ci riportano al paragone della ferita e del sangue, rendendo perfettamente – a parere di Nori – il concetto di sofferenza e rinascita, poiché sanguinando possiamo rimarginare cicatrici. Un rosso d’amore e di fuoco verso la bellezza della lettura. Verso quel momento, descritto brillantemente da Italo Calvino o da Umberto Eco, in cui il lettore e l’autore diventano un tutt’uno non nella semplice comprensione di un testo, ma nella comprensione di un animo.

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Ad onore del vero, il libro di Nori è anche tante altre cose. Traspare chiaramente la sua passione per la letteratura russa, nonché per la sua anima. Riflettendo sull’anima russa, Virginia Woolf ha a ragione sostenuto che i romanzi russi e. in particolar modo quelli di Dostoevskij «sono vortici ribollenti, mulinelli di sabbia in una tempesta, trombe d’acqua che sibilano e gorgogliano e ci risucchiano. Sono composti puramente e completamente della materia dell’anima. Veniamo inghiottiti contro la nostra volontà, presi nel vortice, accecati, soffocati, e allo stesso tempo riempiti di un’estasi che ci stordisce». Dalla letteratura russa apprendiamo anche tanti elementi che ci consentono di comprendere l’attuale conflitto russo – ucraino. Comprendiamo perché i nazionalisti russi considerano l’Ucraina parte integrante della Russia e non temono l’odio: non si fanno illusioni sui sentimenti degli altri popoli nei loro confronti. Comprendiamo anche la loro solitudine culturale è fatta di terra e popolo: terra come spazio da preservare, da utilizzare contro il nemico (come la terra bruciata lasciata davanti a Napoleone). Popolo non come nazione nel senso occidentale ma come mescolanza di genti diverse sotto un unico regno, un unico potere verticale. Per questo Mosca – al contrario di come si immagina in Europa – da sempre pensa in termini di sfere di influenza territoriali, prima che culturali o religiose. L’estero vicino interessa la Russia perché da esso dipende la sicurezza di un Paese così vasto da poter essere penetrato da più parti. L’intento attuale è di allontanare l’Occidente (la Nato) dalla propria frontiera: una questione di spazio. Contemporaneamente – – sostiene il politologo Mario Giro – per Putin e il suo cerchio magico si tratta anche del tentativo di disintossicarsi dall’influenza occidentale che – secondo loro – tanto male ha fatto alla Russia negli anni Novanta, dopo la rovinosa caduta dell’Unione Sovietica. Rendere l’Europa dipendente dal gas russo è stato un modo di saldare un vecchio conto, rovesciando il rapporto di subordinazione. Il fenomeno degli oligarchi, che in Europa si interpreta come creazione del potere assoluto russo, da Mosca è percepito come un’anomalia importata dall’Occidente.

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Insomma, sono tanti i motivi per leggere il volume di Nori che non ha l’obiettivo di offrire un ulteriore ritratto inedito e appassionato del grande scrittore russo, ma propone ai suoi lettori un vero e proprio dialogo tra due vite, la sua e quella dell’autore, che, seppure apparentemente così distanti, s’intrecciano tra loro in un legame indissolubile. Un dialogo che – credetemi – ci riguarda per una ragione molto semplice: perché è vita vera. Tante volte abbiamo sentito dire – io personalmente l’ho argomentato in un recente volume, La compagnia dei libri – quanto la letteratura sia importante. Una vita fatta di esperienza, di condivisione, per cui quelle vite che scopriamo leggendo diventano vite nostre. La letteratura di Dostoevskij – direbbe Nori – fa un passo in più. «cosa provo, quanto mi sento fragile e quanto profondamente, di fatto, lo sono. Lo stile realistico degli ambienti e delle descrizioni non è la più spiccata e straordinaria capacità di verità di Dostoevskij, per quanto eccezionale, bensì ciò che rappresenta la verità della sua parola è descrivere l’animo umano in un mondo terribilmente reale».

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