Dissidi religiosi e lotte di potere in Russia
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Dissidi religiosi e lotte di potere in Russia

Giovanni Codevilla, per anni docente di Diritto dei paesi dell’Europa orientale e di Diritto ecclesiastico comparato ha scritto il saggio La nuova Russia che...

Dissidi religiosi e lotte di potere in Russia
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10 Agosto 2022 - 23.30


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di Rock Reynolds

E se l’origine di buona parte dei mali nella galassia ex-sovietica fosse l’annosa questione della separazione tra stato e religione e della contrapposizione tra la chiesa ortodossa e le altre confessioni, soprattutto cristiane, in qualche modo ghettizzate da una serie di provvedimenti legislativi che vanno contro la stessa costituzione?

È questa la tesi di base dell’interessante saggio La nuova Russia (Jaca Book, pagg 408, euro 38), 4° volume della Storia della Russia e dei paesi limitrofi. Chiesa e impero, di Giovanni Codevilla, per anni docente di Diritto dei paesi dell’Europa orientale e di Diritto ecclesiastico comparato. A compendio del libro appaiono pure un lungo e illuminante saggio intitolato “La Russia del terzo millennio” e un altro lungo articolo dello stesso autore, padre Stefano Caprio, dal titolo “La guerra preventiva della Russia contro l’Occidente”.

Codevilla accompagna il lettore nell’analisi della legge federale del 1997, di fatto, ribalta il senso stesso della Costituzione della nuova Russia che aveva posto fine agli anni di repressione antireligiosa dell’atea URSS, concedendo nell’interpretazione del suo Preambolo che ne fa l’attuale patriarca di Mosca, Kirill, un ruolo privilegiato alla Ortodossia e alle altre religioni tradizionali (ovvero Islam, Buddismo e Giudaismo), di fatto relegando Cattolicesimo e Protestantesimo a una posizione secondaria. La Costituzione, approvata nel 1993, aveva sancito il principio della Russia come stato laico in cui «le associazioni religiose sono separate dallo stato e sono uguali davanti alla legge». Di per sé, il concetto stesso di religione tradizionale resta vago. L’interpretazione del Preambolo della legge del 1997 riporta alla ribalta un «connubio tra potere temporale e spirituale, tra Chiesa e Impero, uniti nella realizzazione di un ideale che è al tempo stesso politico e religioso» e che «caratterizza la storia russa in generale, soprattutto nel periodo anteriore a Pietro il Grande».

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In questo libro si parla ripetutamente di termini poco consueti, come autocefalia (la tendenza di una Chiesa nazionale ad amministrarsi in maniera indipendente, mantenendosi al tempo stesso fedele alla propria confessione), archimandrita (superiore di un monastero ortodosso) e ruteno (appartenente al ramo degli ucraini residenti in Galizia e Transcarpazia e, dunque, sinonimo poco usato di ucraino).

Di dissidi politico-religiosi, o meglio di complicata convivenza tra vertici religiosi centralisti di Mosca e alti prelati a capo delle sedi territoriali nella ex-Unione Sovietica se ne sono registrati parecchi fin dal principio.

La Chiesa Ortodossa Autocefala Ucraina è nata ufficialmente nel 1921, ma, nel 1930, in piena epoca bolscevica, la sua autonomia subisce una pesante battuta d’arresto e un ritorno sotto il controllo di Mosca. La Chiesa Ortodossa Autocefala Ucraina sopravvive però in giro per il mondo. E, nel 1990, appena prima del crollo dell’URSS, l’autonomia torna e la Chiesa Ortodossa Autocefala Ucraina rinasce. Ma non con un vero imprimatur di Mosca, dove il patriarca è convinto della necessaria subordinazione al suo ruolo dominante di tutte le chiese dalle tendenze autocefale.

Da questa contrapposizione a uno scontro militare fra nuova Russia e Ucraina il passaggio, naturalmente, non è automatico. Le chiavi di lettura sono molteplici e difficilmente si può pervenire a un consenso sulle origini del conflitto, che ha spaccato l’opinione pubblica in molti paesi occidentali sulla vera motivazione che sta dietro l’invasione russa dell’Ucraina. Secondo Codevilla, però, «Alla radice del conflitto… vi è un’antica divergenza tra la civiltà rutena e la civiltà moscovita». In effetti, secondo la professoressa Oxana Pachlovska, citata da Codevilla, «“Al centro della civiltà rutena è l’individuo con la sua memoria personale, familiare… E questa memoria… crea un tessuto connettivo comune… Di contro, per la civiltà moscovita risulta centrale il potere statuale autocratico, con il suo imperativo categorico, di espansione, consacrato invariabilmente dalla volontà divina”».

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Tutto ciò non poteva che avere conseguenze tangibili, preoccupando fortemente il patriarca Kirill, «ben consapevole che senza i fedeli ucraini l’Ortodossia del mondo slavo orientale si frantumerebbe». Non a caso nella Russia di oggi il clima di confessionismo è sempre più forte. Ecco perché Putin si fa ritrarre frequentemente accanto a Kirill, come a suggello di un’unione che riporta l’orologio del tempo alla tradizione zarista, in tal modo finendo per sfumare sempre più i confini tra ordine spirituale e temporale. Ed è proprio in funzione della posizione “ancillare” a cui il sistema zarista ha costretto per secoli la Chiesa che quest’ultima per moltissimo tempo non ha affrontato «le tematiche sociali che vengono invece elaborate nel mondo cattolico». Di certo, non ha particolarmente aiutato nemmeno il nuovo ruolo pesantemente subalterno impostole dal regime sovietico. L’interessante riflessione di Codevilla è che, in base alla concezione imperante in Russia, «chiunque si opponga al potere non può che essere espressione del male e dell’ateismo: non è dunque casuale che, in relazione all’aggressione militare russa in atto nell’Ucraina orientale, il patriarca di Mosca abbia affermato che “l’ateismo sta diventando l’ideologia di stato dell’Ucraina”». Siamo, dunque, in presenza di un forte rischio di cesaropapismo, di una diarchia armonica, simbolicamente rappresentata dall’immagine dell’aquila bicipite, stemma nazionale russo. In fondo, a partire dall’ascesa al potere di Vladimir Putin, in Russia si è assistito a un passaggio repentino dall’ateismo sovietico di stato a «un’impetuosa e spontanea rinascita religiosa».

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Sappiamo bene che, anche in parecchi altri casi più o meno recenti di conflitti che lacerano un paese o diversi paesi sotto differenti vessilli confessionali, la religione c’entra poco. La religione è quasi sempre utilizzata come paravento, quando in realtà le finalità sono altre. Lo si può a pieno titolo dire del conflitto isrealo-palestinese e pure dei cosiddetti “Troubles”, la guerra civile nell’Irlanda del Nord. Basta chiedere a qualsiasi militante dell’IRA che abbia sufficiente sale in zucca. La religione non c’entra: è una semplice battaglia per l’equità e la giustizia.

Molti anni fa, ebbi occasione di fare da interprete a un dissidente russo, il cineasta Alexei Simonov, cooptato da Vladimir Putin e nominato direttore della fondazione per la difesa della glasnost. Io non parlo russo e Simonov, invece, parlava un ottimo inglese, seppur velato da un inconfondibile accento moscovita. Simonov disse che gli europei tendono a non comprendere come ragionano i russi. A suo dire, i russi sono un popolo fortemente emotivo, che tende a ragionare con la pancia prima che con la testa. Da questo punto di vista, sono molto più simili agli americani di quanto a entrambi faccia piacere esserli. In fondo, anche gli americani si mettono la mano sul cuore ogni volta che sentono l’inno nazionale e si lasciano sfuggire una lacrimuccia. Che proprio questo tratto condiviso rappresenti uno degli aspetti più inquietanti della crescente fame di guerra globale a cui stiamo assistendo?

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