di Manuela Ballo
Dell’Utri è insaziabile: sappiamo cosa sia capace di fare quando vede un libro, o una raccolta, cui tiene. L’ultima impresa è stata quella di vincere all’asta indetta, a Torino, dalla Bolaffi, per la Biblioteca milanese di Via del Senato, le circa 450 fotografie, scattate da Giovanni Verga che le aveva lasciato in eredità insieme ai suoi scritti. L’autore de “I Malavoglia” era anche un grande appassionato di fotografie e tra i preziosi oggetti posseduti c’erano, appunto, ben 327 lastre alla gelatina a base di bromuro d’argento e 121 pellicole al nitrato di cellulosa. I soldi, si sa bene, per Dell’Utri non sono un problema e quindi si è potuto aggiudicare la collezione per 235 mila euro, diritti inclusi.
La Fondazione Verga che era la naturale destinazione di questo materiale ha lanciato un allarme e ha chiesto l’intervento delle autorità e dell’opinione pubblica perché si rispetti l’etica e la storia. Si chiede alle istituzioni che “esercitino il previsto diritto di prelazione”. Il fatto è che il tempo stringe e le istituzioni siciliane, con il voto regionale alle porte, e quelle nazionali in altrettante vicende elettorali affaccendate si dimentichino che il diritto di prelazione scade il 22 di agosto, come ricordano alla Fondazione Verga.
In un articolo sul Corriere della sera, il presidente del consiglio scientifico della Fondazione Verga, Gabriella Alfieri, ha motivato, con queste parole, la presa di posizione: “Siamo veramente indignati. Un simile patrimonio non può andare a una fondazione privata. L’unica soluzione è che un ente pubblico, la Regione Siciliana o il ministero della Cultura, faccia tornare proprio questo patrimonio inestimabile per riunirlo ai manoscritti di Verga, la cui maggior parte si trova nel fondo alla Biblioteca regionale universitaria di Catania“.
Quando Verga si appassiona alla fotografia quest’arte ha già fatto passi da gigante, testimoniando guerre e costruzioni di ferrovie e città, facendo la fortuna di riviste illustrate come Life o ancora appassionando le avanguardie artistiche del primo Novecento. Il ritratto fotografico assume un particolare valore. Ed ecco, allora, che in mezzo alle tante foto di Verga, compaiono i ritratti di Eleonora Duse, di Giuseppe Giacosa e di Luigi Capuana. Ma è soprattutto il mondo che racconta nei suoi mirabili testi che viene documentato, e conseguentemente fotografato, nei suoi scatti in giro per la sua Sicilia e per il mondo. Guardava, fotografava, scriveva. I suoi personaggi, che sono ben rimasti impressi nella nostra memoria, lui li immortalava anche in scatti che probabilmente poi rimirava. Emerge quel rapporto tra autobiografia e invenzione romanzesca di cui parla Romano Luperini nel suo “Verga moderno” nel quale emerge un originale profilo dello scrittore: “Verga non è né il’primitivo’ caro alla prima critica idealistica, né un romantico che si smemora alla ricerca delle origini e narra antiche saghe popolari. È uno scrittore che si confronta con la modernità, con il progresso, con la civiltà metropolitana, e da questa soglia si volta a considerare con distacco e malinconia un mondo provinciale già in decomposizione”.
Le fotografie che lo scrittore amava e custodiva con cura e gelosia sono rimaste ai suoi eredi fino agli anni Settanta, quando l’ultimo Verga, Pietro, le aveva passate a un insegnate catanese appassionato verghiano, Giovanni Garra Agosta, che con magnanimità le concedeva per mostre o per cataloghi e pubblicazioni. Finché uno degli ultimo eredi non decise di metterle in vendita.
Le foto ora contese tra Dell’Utri e la Fondazione e gli stessi manoscritti (dal 2013 è sotto sequestro una parte, tra cui gli abbozzi de I Malavoglia, le novelle inedite e il primo romanzo Amore e Patria) sono due rilevanti questioni che sono decisive perché l’omaggio a Giovanni Verga, nell’anno del centenario, possa esser celebrato in modo degno. E dignitoso.