di Marialaura Baldino
Un salto nel passato e tornano alla luce vecchie opere pubblicitarie, riviste, manifesti e cataloghi di grandi magazzini, in mostra in un percorso espositivo dedicato agli affascinanti mondi della moda e della pubblicità e del loro indissolubile legame.
Con più di 150 pezzi esposti, datati da fine Ottocento a metà Novecento, la Fondazione Magnani-Rocca presenterà: “Moda e Pubblicità in Italia. 1850- 1950”. Un’esposizione in programma dal 10 settembre all’11 dicembre, a cura di Dario Cimorelli, Eugenia Paulicelli e Stefano Roffi e che avrà luogo a Traversetolo, in provincia di Parma.
Gli usi e i costumi, la moda, la pubblicità, sono parte di un sentire comune, di un immaginario collettivo soprattutto nel nostro paese. È qui che subentra lo scopo della mostra, quello di valutare e far emergere l’importante legame che richiama a sé queste dimensioni culturali e tradizionali di una nazione.
Partendo dalle piccole e tradizionali botteghe, lo sguardo dell’osservatore sarà subito catapultato al tempo di quella società figlia della rivoluzione industriale, dove gli abiti e gli oggetti erano commissionati su misura, evidenziando la diversità in quegli abbellimenti, nei monili, testimoni di una vera e propria arte. Per poi passare al tempo dello sviluppo, della nascita dei nuovi centri che richiamavano il commercio e il consumo, alla nascita dei Grandi Magazzini che, come si potrà evincere dal percorso espositivo, rispondevano alla domanda della nuova società, pronta ad auto rappresentarsi ed espandersi.
E così le piccole botteghe lasciarono spazio agli sfavillanti edifici pieni di prodotti, di merci, dal prêt-à-porter al gessato su misura. Luoghi immensi, aperti a tutti, dove ogni cittadino può acquistare senza tante differenze di classe. Dove si pensava già a strategie di accoglienza in modo da fidelizzare i clienti. Un posto adatto a tutte le età e tutte le tasche.
Fu proprio la fedeltà alla clientela ad attirare l’attenzione della nuova classe imprenditoriale, rendendo la lotta alla concorrenza aspra e serrata. Intimidazioni, strategie comunicative ad effetto, con lo sviluppo dei reparti creativi e promozionali, che sfruttavano ogni strumento pubblicitario conosciuto; dai manifesti, ai cataloghi illustrati, alle cartoline, ai dépliant, alle inserzioni sui giornali locali. Tutti gli esercizi erano pronti a sfoderare la loro arma di propaganda rivolgendosi a illustratori e ideatoria di quelli che avrebbero potuto essere i linguaggi e i costumi della società. “Un periodo di creatività senza precedenti”.
Sarà quindi questo il fulcro dell’intera esposizione che, con le sue 150 opere dà lustro ad un lungo arco cronologico formato da manifesti, riviste, cataloghi dei grandi magazzini e grandi cartelli pubblicitari che dall’Ottocento fino a metà del novecento abbellivano le strade dei grandi centri urbani. Insieme alla geniale macchina del cinema, che proprio in quel periodo stava vivendo il suo momento di ascesa.
Nel comunicato della fondazione si legge: “La moda attraverso la pubblicità si fa sogno collettivo. Dalle misteriose dame fin de siècle proposte da Aleardo Villa, Leopoldo Metlicovitz, Marcello Dudovich nei manifesti dei Magazzini Mele, la cui sontuosa eleganza riflette le ambizioni di una nuova classe borghese in crescente ascesa, alle sottili, diafane ‘donne-crisi’ degli anni Venti, che vogliono vedersi finalmente liberate dalla schiavitù dei corsetti e delle stecche di balena, fino alla vigorosa, sportiva e dinamica donna moderna, quale tratteggiata dallo stesso Dudovich nelle pubblicità degli anni Trenta per La Rinascente”.
Continua: “Agli inizi del Novecento le lotte femminili per la conquista di maggiore indipendenza incidono sulla lunghezza delle gonne, sul taglio dei capelli, sui gesti, sul linguaggio del corpo, come incideranno le limitazioni dettate dalle sanzioni economiche all’Italia, a seguito della sua politica coloniale, alla fine degli anni Trenta, dando origine a nuove regole, nuovi vincoli di ‘decoro’ e all’uso di materiali autarchici. In questo arco di tempo, la moda, le mode, diventano, attraverso i manifesti, figurazione immediata di uno status e lo specchio nel quale si riflettono rapidissimi cambiamenti sociali ed economici, umori, tendenze, capricci, sogni”.
Dario Cimorelli, uno dei brillanti ideatori della mostra ha così commentato: “Tra il XIX e il XX secolo due fattori concorrono, poi, allo sviluppo del mercato dell’abbigliamento. Si fanno avanti con la seconda rivoluzione industriale, nuovi ‘rappresentanti’ sociali che ambiscono a partecipare e a rimarcare il proprio ruolo sul palcoscenico della società, e la conseguente nascita di una nuova forma di offerta al consumo, i grandi magazzini, nati in Francia e diffusi in breve tempo in Italia così come in tutta Europa e negli Stati Uniti”.
“La competizione tra i grandi magazzini è agguerrita e ogni mezzo, ogni idea, ogni novità è occasione per catturare e fidelizzare la clientela – ricorda Stefano Roffi – Il manifesto, in quanto più grande, più evidente, è lo strumento che dalla fine dell’Ottocento ai primi anni Cinquanta tappezzerà i muri delle città costruendo modelli e quindi mondi e modi di partecipazione e rappresentazione. Da Mele a Miccio a Napoli, dall’Unione Cooperativa a La Rinascente a Milano, a Zingone a Roma, ogni magazzino si propone attraverso la pubblicità, così come le aziende di accessori, dai cappelli ai guanti alle calzature”.
L’istallazione di questa raggiante mostra che ridà lustro a tempi andati, agli albori della comunicazione e dello strumento pubblicitario, come quello utilizzato dai famosi Magazzini Mele di Napoli, la più imponente, capillare, ricca attività di promozione mai realizzata. Oppure la Rinascente a Milano, che scelse Marcello Dudovich come direttore artistico dal 1921 al 1956.
Un invito a riflettere sulla nascita e l’ascesa del Made in Italy, un’idea tutta all’italiana, tassello pionieristico nel mondo dello stile internazionale e che ancora oggi, attraverso grandi classici e particolari capolavori di couture dona tutt’oggi lustro all’arte manifatturiera del nostro paese.