Turchia: nuova legge sulla disinformazione. Pamuk e la comunità intellettuale turca contro la censura di Erdogan
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Turchia: nuova legge sulla disinformazione. Pamuk e la comunità intellettuale turca contro la censura di Erdogan

Un testo legge composto da 40 articoli che definisce, limita e viola la disinformazione sulla stampa e sui social. Pamuk: "Come autori e scrittori ci schieriamo contro una legge che fa precipitare il nostro Paese nell'oscurità".

Turchia: nuova legge sulla disinformazione. Pamuk e la comunità intellettuale turca contro la censura di Erdogan
In foto il premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk
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23 Ottobre 2022 - 18.39 Culture


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di Marialaura Baldino

«Reclusione fino a tre anni per coloro che sono giudicati colpevoli di aver pubblicato contenuti falsi volti a istigare paura o panico, mettere in pericolo la sicurezza interna o esterna del paese, l’ordine e la salute pubblica»; «aumento del 50% della pena se la pubblicazione di tali informazioni risale a un profilo anonimo o rientra nelle attività di un’organizzazione»; «estensione della legge sulla stampa al mondo dell’informazione online». È quanto riportato dalla nuova legge sulla disinformazione, online e a mezzo stampa, varata, la scorsa settimana, dal governo turco.

La norma, votata dal partito Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan, in coalizione con il partito Mhp, è composta da 40 diversi articoli che definiscono – molto vagamente – limitano e violano la disinformazione sulla stampa e sui social.

In attesa di approvazione da giugno, a causa di divergenze politiche tra i partiti sostenitori, la legge andrà a cambiare le regolamentazioni vigenti su internet e stampa, modificando anche alcuni articoli del Codice penale turco.

La scelta, altamente politicizzata e strumentalizzata dal governo in carica, andrà a ripercuotersi soprattutto sui piccoli mezzi di informazione indipendenti, che già ora si trovano nel mirino del controllo presidenziale sull’informazione e sul mezzo stampa. Il rischio maggiore sarà per le firme delle varie testate; il testo normativo prevede, infatti, non solo la reclusione per ciò che verrà giudicato falsa informazione, ma anche una maggiorazione della pena in caso di articolo non firmato (un aumento della sanzione della metà).

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In aggiunta, questa legge stabilisce anche la nomina di cittadini turchi a capo delle sedi di rappresentanza di piattaforme sociale come Facebook, Twitter e altri, che già nel 2020 – sempre in base ad una normativa varata dal governo – sono stati obbligati ad aprire sedi su suolo turco. All’interno di queste filiali, verrà chiesto ai nuovi capi di raccogliere dati sugli utenti del paese, che potranno essere reclamati nel momento in cui scatteranno procedimenti giudiziari previsti dalle nuove regole.

Ad alte piattaforme – Whatsapp e Telegram – è stato inoltre imposto di aprire uffici in Turchia, pena “il blocco, la riduzione della larghezza di banda e multe fino a un milione e mezzo di euro”.

Ciò che preoccupa maggiormente organizzazioni non governative come Amnesty, ma anche le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa, è che queste nuove regole siano in realtà un pretesto per gettare le basi di legittimazione della censura on line, limitando, se non abolendo del tutto, il giornalismo libero, consentendo così al governo di avere maggiore controllo sul dibatto pubblico. Una mossa politica pianificata in vista delle elezioni generali che si terrano nel 2023.  

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La messa a tacere delle critiche contro il governo preoccupa anche la comunità intellettuale turca.

“Come autori e scrittori ci schieriamo contro una legge che fa precipitare il nostro Paese nell’oscurità. Possa la verità del popolo prevalere sulle menzogne dei tiranni. Non rimarremo in silenzio”. E’ quanto recita l’appello firmato, tra gli altri, dal premio Nobel Orhan Pamuk.

Insieme a lui artisti, poeti, musicisti hanno risposto all’appello, come anche la scrittrice Asli Erdogan, arrestata e reclusa nel 2016 e ora in esilio volontario in Germania, insieme con lo scrittore e musicista Zulfu Livaneli, incarcerato a seguito al golpe del 1971 e rientrato in Turchia solo nel 1984.

Preoccupazioni condivise da Marta Hurtado, portavoce dell’Ufficio Onu, che ha dichiarato: “la libertà di espressione non è limitata alle informazioni certe, ma si applica a informazioni e idee di ogni tipo. Restrizioni a questa libertà devono essere affrontate ed eliminate”.

I repubblicani del Chp, il maggior partito di opposizione in Turchia, hanno cercato – invano – di correggere e limitare il testo legge proposto, presentando presso la Corte costituzionale turca un ricorso, che, secondo loro, ha quasi nessuna speranza di essere accolto.

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Il presidente Erdogan ha però patrocinato la normativa, definendola “una necessità impellente, per garantire pace e sicurezza per i cittadini turchi anche nella sfera dei social media” e considerando le campagne diffamatorie contro il paese e contro il governo un attacco al pari di un atto di terrorismo.

Ma, dopo il golpe fallito nel 2016, dopo una lunga serie di acquisizioni e dozzine di chiusure di sedi giornalistiche e radiofoniche, il timore tra gli operatori dell’informazione è molto.

In un comunicato, l’Unione dei giornalisti turchi – che ha chiesto ai parlamentari il ritiro della legge – ha così dichiarato: “È uno dei regolamenti di censura più pesanti nella storia della Turchia. È un tentativo di distruggere la stampa”.

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