Dopo 40 anni di carriera, il 28 ottobre è uscito LIVE, il primo album dal vivo di Gianni Togni, registrato all’Auditorium Parco della Musica di Roma durante il concerto dello scorso 14 maggio. A poche ore dall’uscita è il disco più venduto nella classifica alternativa iTunes e il quarto tra i Top Album, sempre su iTunes. LIVE contiene diciassette brani, disponibili in formato fisico in doppio LP, musicassetta e CD singolo, che raccontano le differenti scelte stilistiche intraprese dall’artista in questi anni.
Un cantautore pop indipendente, decisamente in controtendenza, mai ripetitivo, che non si è mai sottomesso alle leggi del mercato musicale, tanto da fondare una etichetta personale, grazie alla quale può privilegiare le sue scelte artistiche e, in particolare, la qualità del suono.
Alla fine, a guardare il mondo da un oblò, come canta Togni nella sua indimenticabile Luna, si riescono a cogliere le sfumature più intime della vita che solo un artista come Gianni riesce a descriverci.
Ciao Gianni, come è nata l’idea di LIVE, il tuo primo album dal vivo?
Questo album doveva uscire nel 2020 per festeggiare i 40 anni di Luna e di carriera, poi purtroppo con l’emergenza covid e con le chiusure dei teatri, i concerti si sono potuti fare solo a maggio del ‘22. Nel frattempo stavo già lavorando ad un nuovo disco, che sarebbe dovuto uscire adesso, ma ho deciso di dare la precedenza a quello dal vivo, altrimenti non l’avrei più fatto. LIVE raccoglie grandi successi ma anche canzoni meno famose. Da un’ampia produzione di 40 canzoni, abbiamo poi selezionato quelle per il tour. E’ il mio modo di lavorare, costa più fatica, spesso ci rimetto, ma voglio essere sicuro di aver fatto il massimo. Ci sono canzoni che hanno un nuovo arrangiamento, come Vivi, che compie quarant’anni perché è uscita nell’82, e altre che sono più fedeli alla versione originale.
Per te è fondamentale l’autenticità del suono e per questo hai scelto di registrare in analogico.
Si, in studio abbiamo portato tutte le registrazioni su un nastro analogico a 24 tracce, cercando di rimanere il più fedeli possibile a quello che era il suono dal vivo, niente di digitale! Abbiamo anche raccolto i video dai telefonini del pubblico tramite il mio Fan Club e li abbiamo montati in modo artigianale, perché mi piaceva così. Sono sincero, suona molto meglio di tanti dischi dal vivo che ho sentito negli ultimi anni, per questo non temo confronti con quasi nessuno. Mi inorgoglisce il fatto di essere riuscito in un’impresa difficilissima. Se mi fossi fermato alla registrazione digitale, probabilmente non avrei mai inciso quest’album. Passare tutto in analogico è stata un’autentica svolta e, alla fine, è uscito fuori un suono veramente straordinario.
E per la gioia di chi ama la tua musica hai fatto un mini tour tra Torino, Milano e Roma. Hai scelto uno spettacolo intimo, con luci ferme. Che esperienza è stata tornare in pubblico dopo 15 anni?
Ero emozionato è normale, soprattutto prima di cantare, poi quando sei sul palcoscenico passa tutto. E si, ho pensato ad un concerto molto semplice, anche perché non ho voluto fare “vorrei ma non posso”. Per realizzare qualcosa di unico da un punto di vista scenico, a parte i costi, è richiesto del tempo che noi non avevamo, così ho preferito con la mia band, formata da Aidan Zammit alle tastiere, Massimiliano Rosati e Giovanni Di Caprio alle chitarre elettriche. Luca Trolli alla batteria, Marco Siniscalco al basso, dare risalto alla musica.
Come hai scelto la scaletta?
Pensando a quello che volevo raccontare. Nella prima parte ho scelto canzoni un po’ lontane dai brani d’amore. Poi, dal momento che io sono famoso per scrivere le canzoni d’amore, anche se non è propriamente vero che molte di queste canzoni parlino d’amore, ho inserito anche queste. Dopo mi sono soffermato sui pezzi che raccontano la nascita delle canzoni, a volte l’ispirazione può venire dall’osservare un volo in cielo d’uccelli, oppure una nube tossica o dal sentire in strada i discorsi della gente. Quindi mi sono messo al pianoforte e ho fatto un potpourri dei brani che ho composto in quella casa dove ero andato ad abitare a soli 20 anni. Avevo preso a noleggio un pianoforte verticale e con Guido Morra lavoravamo alle canzoni. Lo stesso periodo in cui mi venivano a trovare tanti cari amici, tra cui Fabrizio Frizzi, con cui mi divertivo molto a giocare a pingpong. Erano anche i tempi in cui, da studente universitario, facevo da apri concerto ai Pooh per guadagnare un po’ di soldi. Tornando alla scaletta del live, ho scelto il finale, il bis e, per il super bis, la canzone Cose che forse a parole non racconterei, che spiega perché canto, perché con le canzoni puoi dire cose che forse in un altro modo non sarebbe possibile.
Ti definisci un artista pop indipendente. Che vuol dire per te fare musica pop?
Credo che la musica pop sia un cammino in esplorazione, sa essere inclusiva perché accoglie e mette insieme anche altri generi, permettendoti di raccontare la vita in modi diversi. Io non ho mai fatto una canzone uguale a un’altra e nessuno dei miei dischi è uguale all’altro. Questo perché con la musica pop cominci un viaggio e puoi unire tante cose. Basti pensare a Paul Simon, un cantautore folk pop, che ha incontrato la musica etnica africana e ha fatto dei capolavori assoluti. Se invece si fa jazz, musica classica o hard rock, raramente si esce fuori dai binari.
Sei un artista che non ama troppo le luci della ribalta.
Guarda, io ho avuto successo per caso, non so per quale motivo. Non è che ci credessero in tanti nell’album che contiene Luna, anzi! E ti dico anche che molte case discografiche mi hanno scartato e preferito altri artisti a me. Ho avuto fortuna nella vita perché poi di successi mondiali ne ho avuti tanti ma, uso una espressione che può sembrarti strana, preferisco stare nella serie B, lontano dalle luci, dal dover fare per forza le televisioni e dal dover rincorrere il successo a tutti i costi. Più di vent’anni fa ho fondato una mia etichetta personale, che è Acquarello, e grazie a quella scelta posso fare ciò che voglio, seleziono i miei collaboratori fondamentali e non faccio dischi per dover andare al primo posto in classifica, soprattutto oggi! Largo ai giovani, devono farlo loro.
Come scegli i tuoi collaboratori?
Intanto non devono essere degli yes men, ma delle persone che mi devono dare qualcosa in più, mi piace il dialogo, capire e a volte imparare dagli altri.
Nelle canzoni i testi sono importanti, ma la musica di più.
Prova a pensare alla pittura, ai girasoli di Van Gogh, in fondo sono dei semplici girasoli, ma l’artista li rende unici, quel tocco di pennello riesce a creare un capolavoro. Lo stesso vale per la letteratura. E’ scomparso da poco Javier Marias, uno dei miei scrittori preferiti, la sua scrittura è quasi perfetta e riesce a darti delle emozioni anche solo per come mette insieme le parole, al di là del contenuto. Non è soltanto quello che dici, ma è come lo dici. Nella musica devi lasciarti andare e sono sincero, io compro tanti LP durante l’anno, ma di quello che raccontano me ne importa abbastanza poco. Mi interessa il suono. Chi ascolta i Sigur Ròs, e acquista i loro album dove non ci sono i testi, pensi che si mette a tradurre l’islandese? E’ la musica che arriva per prima, poi c’è anche il testo.
Hai realizzato in Italia diversi musical di successo, ma non tutti sanno che sei stato l’unico artista italiano a scrivere un musical all’estero. Ce ne parli?
Uscivo da Hollywood-Ritratto di un divo con Massimo Ranieri, un musical ispirato alla figura leggendaria di Greta Garbo, con la regia di Giuseppe Patroni Griffi. Era un periodo della mia vita molto complicato, sia nel privato che da un punto di vista artistico. La mia etichetta discografica CGD non voleva più fare dischi con me perché, tra l’altro, non ero andato a Sanremo, e né mai ci andrò per gareggiare, quando dal teatro stabile Stadsteatern di Stoccolma arrivò la richiesta di fare un musical su Greta Garbo. Tra tanti autori scelsero me.
Inizialmente non volevi accettare la proposta di trasferirti, è vero?
Non avevo una gran voglia di stare due anni a Stoccolma. Poi, ammetto, grazie anche a delle sedute con la psicologa, mi convinsi ad andare. E’ stato impegnativo, solo le prove sono durate quattro mesi e mezzo. Lo raccontai a Patroni Griffi e ne rimase sconvolto. Lui avrebbe anche avuto piacere di curare la regia, ma gli spiegai: ”Sai Giuseppe, loro cominciano le prove la mattina alle 10.” E lui: “Ma l’arte non se fa’ di mattina!” Aveva ragione, però gli svedesi lavorano così, cominciano alle 10, poi smettono perché devono andare a prendere i figli a scuola, dopodiché un’altra pausa e alle 3 del pomeriggio è tutto finito. Ricordo che si lavorava quattro ore al giorno, invece in Italia iniziavamo a mezzogiorno e finivamo a mezzanotte. E’ stata comunque una bella esperienza, il musical ha avuto un grandissimo successo ed è stato l’unico spettacolo che alla prima ha ottenuto ben 15 minuti di standing ovation.
Come scegli la copertina dei tuoi dischi?
Per me la copertina ha una grandissima importanza. Con i miei bravissimi collaboratori vi prestiamo molta cura e la scegliamo quando il disco è pronto, perché la copertina deve raccontare quel disco. Per il live abbiamo pensato che quelle luci in particolare, quei colori, quei grigi, gialli, bianchi e rossi dessero la tridimensionalità a quella fotografia. E’ una copertina che in Italia è difficile realizzare e richiede molto tempo. Con il mio grafico, Federico Romanazzo, lavoriamo per diversi giorni tramite Skype, lui mi porta delle idee e da lì cominciamo a lavorare al progetto.
Le copertine dei tuoi primi album sono di tuo fratello Piero, noto fotografo, ti dà ancora dei consigli?
Piero è stato un grande fotografo, tra gli altri ha fotografato i Rolling Stones, David Bowie e i Genesis. Forse a breve uscirà un libro dei The Who, con delle sue foto scattate a Londra tanti anni fa. Per il resto non vuole più saperne, oggi gira il mondo e fa una vita in vacanza. Però apprezza moltissimo il lavoro di Federico e della fotografa Laura Camia.
Hai respirato l’arte in casa. Avevi una zia artista alla quale eri molto legato e una nonna cantante lirica.
Mia zia non si è mai sposata e per me è stata una seconda madre, con lei ho ascoltato i primi dischi dei Beatles e di Bob Dylan. Viveva in un mondo tutto suo, dipingeva le pareti di casa e faceva sculture. E’ stata anche una creatrice di gioielli unici. Nella casa di mia madre, a Lanciano, abitava uno zio avvocato che era anche un grandissimo jazzista, suonava il piano divinamente. Inoltre, c’era mia nonna che cantava lirica al pianoforte, quel pianoforte poi è arrivato a casa mia. Ma anche mia mamma ascoltava tantissima musica, comprava molti dischi. Mio padre invece era quello più dedito al lavoro tradizionale, era un dirigente delle Ferrovie dello Stato con grandi responsabilità e lo ricordo lavorare giorno e notte.
A lui hai dedicato un brano bellissimo, Un uomo tranquillo. Immagino che in qualche canzone c’è anche il ricordo di tua madre…
Beh si, Sorridi alla tristezza, è dedicata a mia madre, ma in fondo anche a mia zia. Purtroppo le ho perse tutte e due nello stesso anno. Entrambe amavano la radio e fare lunghe camminate in riva al mare. E’ anche un pezzo che invita a prendere la vita con più leggerezza. A volte ci incaponiamo su cose che non hanno senso, c’è gente che vuole diventare sempre più ricca e non arriva mai a dire basta. Cercare continuamente di superarsi può andar bene nell’arte, ma per quel che riguarda il potere e il denaro mi sembra ridicolo. Alla fine, essere i più ricchi del cimitero non porta a niente.
Questa visione della vita è vicina ai valori cristiani. Che rapporto hai con la religione?
Sono ateo e credo che il mondo sia nato da questo grande big bang che ha dato vita a tutto, così come penso che non possiamo essere gli unici abitanti nell’intero universo. Tuttavia, condivido molte cose che dice Papa Francesco, così come il pensiero di cattolici straordinari che hanno idee più liberali.
Sei un collezionista affezionato di vinili. Ce n’è uno solo che salveresti sopra ogni altro? Anche uno dei tuoi?
Il disco che salverei sopra ogni altro è Odessey and Oracle dei The Zombies, straordinario per le intuizioni che ci sono. Dei miei probabilmente scelgo Bersaglio mobile, che è anche l’album che trovo più spesso all’estero. Quando viaggio con la mia compagna, prima di partire mi preparo una mappa di tutti i negozi di dischi di usato, in modo che, oltre alle gallerie d’arte e alle altre particolarità, vivo la città che andiamo a visitare sotto un altro profilo. Se ne posso salvare due dei miei, scelgo anche Il bar del mondo, al quale sono molto affezionato per la sua particolarità.
L’ispirazione de’ Il bar del mondo è nata in strada…
Stavo ristrutturando casa e restavo quasi tutto il giorno in un bar davvero caratteristico, era di una signora che lavorava nel cinema, frequentato da personaggi piuttosto originali. E’ stato una fonte di ispirazione, prendevo appunti, leggevo libri… Quel bar non c’è più, è diventato un grande ristorante. Ormai il centro storico di Roma ha perso qualsiasi forma di realtà, si è trasformato in un parco giochi per turisti, e questo è veramente triste.
Non hai terminato gli studi universitari a cui tenevi tanto per dedicarti alla musica. Hai mai pensato di riprenderli?
Ci tenevo molto, è vero, ma ci teneva tanto anche mio padre che non ha vissuto nemmeno il mio successo, perché è morto 10 giorni prima che uscisse l’album che conteneva Luna. Ci proverò, ci proverò… Questa è una delle cose che mi sono ripromesso di fare, appena riesco a trovare un po’ di spazio libero dal lavoro.
Anticipazioni per i prossimi progetti?
Sto finendo i testi del nuovo album che avevo sospeso per dedicarmi a LIVE. Le musiche sono pronte, anche gli arrangiamenti, dopodiché si rientra in studio, si registra con la band in analogico e uscirà, spero, nel 2023. Inoltre, sto lavorando a un nuovo musical con Guido Morra. La difficoltà oggi in Italia è poter fare qualcosa di nuovo, di inedito. Se mi proponessero di fare un musical come Poveri ma belli non riuscirei, ho bisogno di stimolare la mia creatività. Infatti, questa sarà un’opera sui generis, gli attori in totale saranno tre, la scenografia sarà particolarmente scarna, perché la faranno i danzatori. L’idea è di realizzare un’opera particolare e diversa, che non si è mai fatta nella storia del musical. Non ti posso dire di più.