Roberto Andò racconta la 'stranezza' di Pirandello
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Roberto Andò racconta la 'stranezza' di Pirandello

Prodotto da Medusa e da Raicinema il film è ambientato nel 1920 e racconta la ‘strana’ storia della nascita dei Sei personaggi in cerca d’autore. Gli attori sono Toni Servillo, Ficarra e Picone e la regia è di Roberto Andò

Roberto Andò racconta la 'stranezza' di Pirandello
Toni Servillo, Roberto Andò, Ficarra e Picone e la troupe de La stranezza
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Marco Spagnoli Modifica articolo

30 Ottobre 2022 - 12.49


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Prodotto da Medusa e da Raicinema il film è ambientato nel 1920 e racconta la ‘strana’ storia della nascita dei Sei personaggi in cerca d’autore

“Una mattina di tanto tempo fa, avevo appena 21 anni, mi trovavo in compagnia di Leonardo Sciascia e, all’improvviso, lui mi chiese di fermare l’auto che stavo guidando avviandosi verso una piccola libreria. Trascorsero pochi minuti e lo vidi ritornare con un libro in mano che subito mi porse. Era una biografia di Luigi Pirandello curata da un grande studioso, Gaspare Giudice. “Questa è per te, l’avevo ordinata qualche giorno fa. È fondamentale, ed è la più bella che ci sia in circolazione”. Era vero: quel libro ha formato non solo la mia comprensione dell’opera di Pirandello, ma anche la mia visione del mondo. Quella biografia si rivelò una lettura cruciale e mi ha consegnato un’idea folgorante del labirintico intreccio di vita e arte di cui si compone il tortuoso universo di Pirandello, uno sguardo verso cui ancora oggi mi sento debitore.”

Roberto Andò a Napoli per le prove di Ferito a Morte tratto dall’omonimo romanzo di Raffaele La Capria spiega così cosa l’ha portato a dirigere Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone ne La Stranezza ispirato dalla vita del Premio Nobel siciliano. “Il film è una fantasia sull’atto creativo, sull’ispirazione.” Puntalizza Andò “sul rapporto tra Pirandello e i suoi personaggi.

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Cosa può portare questa storia al pubblico, oggi?

L’occasione per potere vedere al lavoro un artista talmente grande da diventare un aggettivo come Pirandello. Una vicenda quotidiana dove la morte della sua balia lo porta inavvertitamente a contatto, attraverso due becchini interpretati da Ficarra e Picone, con il mondo amatoriale del teatro. E’ una storia dove si ride e si sorride e dove emerge anche il dramma.

E’ verosimile pensare che Pirandello avrebbe apprezzato questa chiave più leggera…

La ricerca del punto di convergenza tra commedia e tragedia è stata la sua ossessione. Un fatto quasi antropologico perché in Sicilia ogni dramma diventa ridicolo e ogni risata lascia spazio ad una lacrima. Luigi Pirandello ha scritto un saggio sull’umorismo e per tutta la vita ha inseguito maschere siciliane che sono rimaste tra le cose più belle che ha scritto. Il tono anche grottesco in certi momenti caratterizza la voce di questo immenso scrittore la cui esistenza è stata affollata di personaggi che premevano sulla sua immaginazione. Del resto Leonardo Sciascia diceva che Pirandello non aveva inventato il teatro, ma lo trovava nella vita ordinaria dei paesi siciliani. Ecco perché la Sicilia sembra ancora oggi alla ricerca di un autore in grado di darle quell’identità che sente di non meritare in virtù della sua precarietà.

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Lei pensa che la Mafia – tra le tante colpe e tra i tanti delitti – abbia anche quello di avere dirottato l’attenzione culturale del pubblico dai temi dei grandi autori come Pirandello, De Roberto, Verga, Tomasi di Lampedusa verso le miserie e gli orrori delle sue nefandezze?

Penso proprio di sì. Un danno morale che resterà irreparabile in quanto, oltre tutto l’orrore e tutta la violenza, ha perfino distratto dai temi alti della Sicilia e della sua grande letteratura. Del resto Pirandello aveva dato un primissimo ritratto della Mafia ne I vecchi e i giovani. La Mafia ha divorato quell’immaginario e ha negato a tutti noi nati là, la possibilità di una dimensione di sogno e di fantasia.

Pirandello è un autore non del tutto esplorato…

C’è ancora moltissimo da fare e da scoprire. Nella sua opera, ma anche nella sua vita ci sono elementi ancora non messi in luce quanto avrebbero meritato. Per questo ne La stranezza parto dal racconto della morte della sua balia: la nutrice di tutte le sue leggende che gli venivano presentate in dialetto siciliano. Fu questa donna a raccontargli la storia del ‘figlio cambiato’ quella che, per un po’, lo convinse di non essere il figlio di quel padre che lui odiava con tutte le sue forze.

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Adesso lei dirige Ferito a Morte di Raffaele La Capria a teatro…

Ho conosciuto La Capria a casa di Francesco Rosi a Fregene. Venivamo invitati spesso insieme ed è nata un’amicizia forte. Mi ha proposto questo adattamento che aveva visto fallire già diversi tentativi, tra cui quello di Paolo Sorrentino, al suo primo film che sarebbe stato troppo costoso. Prima che lui morisse sono riuscito a confrontarmi su questo testo che è il segno del suo essere un autore a parte, capace di essere sfrontato e leggero come era lui stesso nella vita. C’è tutta la morbidezza di quella buona borghesia italiana che è in gran parte inesplorata cinematograficamente come lo è l’opera di Pirandello.

In cosa sente più vicino questo testo?

Nel tema comune alla maggior parte degli autori meridionali che devono avere una resa dei conti con il proprio luogo d’origine che è fatto d’amore e di odio. Un posto da cui devi partire e da cui, al tempo stesso, è difficile staccarsi.

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