L'immigrazione agita l'Unione Europea
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L'immigrazione agita l'Unione Europea

Crescono le polemiche e i disagi per l'annosa questione mai risolta dalla politica comunitaria. In una dettagliata intervista il professor Fabio Berti ne rintraccia le cause e indica le possibili soluzioni

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30 Novembre 2022 - 09.22 Culture


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di Azzurra Arlotto

Recentemente i dati legati ai flussi migratori stanno raggiungendo cifre simili a quelle del periodo pre-pandemico. Durante gli scorsi due anni, per via della pandemia e della guerra in Ucraina, il numero di migranti giunti nel nostro Paese e nel resto dell’Europa ha subito un forte calo.  Nel 2022 infatti sono stati registrati 90.297 migranti arrivati via mare in Italia, contro i 57.812 sbarcati nel 2021 e i 30.981 del 2020 – dati che fanno riferimento all’11 novembre 2022.

I recenti casi delle navi umanitarie come la Ong Humanity, la Geo Barents e l’Ocean Viking, lasciate per giorni nelle acque del Mediterraneo cariche di migranti e senza la possibilità di poter sbarcare in un porto sicuro, hanno riacceso vecchie tensioni tra gli stati europei e il nostro Paese connesse alla distribuzione e all’accoglienza di queste persone. Sembra che la strategia dello sbarco selettivo adottata dal governo Meloni abbia creato forti tensioni in particolar modo con la Francia che ora, insieme all’Unione Europea, cerca una via alternativa per soccorrere, accogliere e ricollocare i migranti all’interno dei paesi membri.

Dopo aver affrontato lunghi e faticosi viaggi in condizioni spiacevoli, in che modo vengono accolte queste persone? Gli viene garantita la giusta assistenza? Come mai i migranti vengono percepiti come una minaccia nonostante siano indifesi? Che ruolo giocano i media? Abbiamo presentato questi interrogativi a Fabio Berti, esperto di processi migratori e dinamiche di integrazione nonché professore di Sociologia presso il Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive (DISPOC) dell’Università di Siena dove insegna Sociologia nei corsi di laurea triennali e Sostenibilità sociale e disuguaglianze nei corsi di laurea magistrali.

In che modo si può garantire accoglienza e protezione a migranti e rifugiati?

La ricetta non c’è. Nel senso che non ci sono modelli o politiche di accoglienza precise e definite. Esistono tentativi ed esperienze diverse di fare accoglienza che dovrebbero andare in direzione contraria rispetto a quella attuale. Bisognerebbe partire dal presupposto che il fenomeno dell’immigrazione e quello dei richiedenti asilo non sono fenomeni da combattere e contrastare. Deve cambiare decisamente l’approccio. Bisogna avere un approccio di apertura nei confronti di chi arriva e avere la consapevolezza che in primo luogo si tratta di persone che arrivano da situazioni “brutte” politicamente ed economicamente, sono persone che fuggono da situazioni di pericolo e di povertà e sono alla ricerca di condizioni di vita migliori per garantire la loro sopravvivenza e quella delle loro famiglie. In secondo luogo queste persone all’Italia servono. Da ormai dieci anni a questa parte non si entra più in Italia in modo legale per motivi di lavoro, si entra solo con questi meccanismi di richiesta di asilo che, così come sono organizzati, non fanno altro che alimentare il lavoro nero e lo sfruttamento. La consapevolezza di queste due dimensioni dovrebbe spingerci a cambiare il modo di fare accoglienza e di predisporre politiche migratorie.

Come singoli cittadini si può essere d’aiuto o è una questione che tocca esclusivamente le istituzioni e le associazioni?

Le istituzioni e le associazioni devono svolgere la parte strutturale, i cittadini singoli d’altra parte possono fare molto. Intanto avrebbero potuto cambiare, anche attraverso il voto l’input politico. L’ultimo risultato elettorale, di fatto, legittima le politiche anti-immigrazione. La maggioranza degli elettori ha ancora una volta risposto con un approccio di chiusura nei confronti dei migranti. Sul tema degli sbarchi e della presenza dei richiedenti asilo è ancora troppo diffusa la convinzione che l’Italia sia non solo la porta d’ingresso per l’Europa ma anche il paese più impegnato nell’accoglienza; si tratta però di una falsa rappresentazione della realtà. Basta vedere alcuni dati e alcune statistiche per capire che non siamo gli unici ad accogliere e che ci sono paesi europei che accolgono molto più di noi. Nel 2021 le domande di asilo sono state quasi 150mila in Germania, oltre 100mila in Francia, 62 mila in Spagna e 45mila in Italia. Analizzando i dati relativi agli ultimi 10 anni la situazione è ancora più distante rispetto alla rappresentazione sociale più diffusa: tra il 2012 e il 2021 in Germania hanno presentato domanda di asilo oltre 2,3 milioni di persone, a fronte di poco più di 860mila in Francia e 590mila in Italia.  Tra l’altro oggi non siamo nemmeno più l’unica porta di ingresso per l’Europa dal momento che si sono aperte nuove rotte migratorie che stanno soppiantando la rotta mediterranea, ne è un esempio la rotta dei Balcani che ha dei numeri sempre crescenti.

Che ruolo giocano i media? Riescono a sensibilizzare chi guarda oppure fomentano i comportamenti di intolleranza?

I media hanno una responsabilità enorme dal momento che si prestano facilmente a strumentalizzazioni e false rappresentazioni del reale. Ormai non fanno più informazione e si limitano a dare notizie frammentate, senza contestualizzare, argomentare o spiegare. I media contribuiscono, più o meno consapevolmente, ad alimentare le più deleterie campagne d’odio. I servizi televisivi, i telegiornali e i social media sembrano fatti ad arte per alimentare il conflitto, l’odio nei confronti del diverso, la chiusura nei confronti di chi arriva, anche se poi ne abbiamo bisogno per mandare avanti l’economia, per dare sostegno alle famiglie, per contenere l’invecchiamento demografico, senza contare le implicazioni di carattere etico e di giustizia sociale. La comunicazione che troviamo sui media è spesso fatta e organizzata con grande superficialità e scarsa professionalità da parte di professionisti che invece dovrebbe sentire il senso della responsabilità dei messaggi che veicolano.

Come mai, nonostante sia noto il lungo e travagliato viaggio che affrontano, i migranti vengono comunque percepiti come una minaccia?

I migranti sono una minaccia essenzialmente perché sono poveri e la povertà ha sempre fatto paura. I richiedenti asilo, poi, sono i più poveri tra i poveri proprio perché arrivano senza niente e hanno bisogno di tutto. Entrano così nei meccanismi di accesso alle risorse di welfare che sono sempre più scarse per cui sono i soggetti perfetti per alimentare la “guerra tra poveri”. Anche da questo punto di vista dovremmo provare a rifocalizzare il problema: in una società con disuguaglianze sempre crescenti invece di alimentare lo scontro tra gli ultimi e i più vulnerabili dovremmo preoccuparci della ricchezza, soprattutto quando estrema e ingiustificata.

Il Laboratorio sulle disuguaglianze che dirigo ha appena terminato una ricerca sullo sfruttamento del lavoro degli immigrati nell’agricoltura in Toscana. Nelle vigne del Chianti, nei vivai a Pistoia o nell’ortofrutta della Maremma i richiedenti asilo lavorano per 4, 5 o quando va bene 6 euro all’ora con orari e modalità di lavoro massacranti. Figuriamoci se possono essere considerati concorrenti, sono indispensabili alla nostra economia. Sono persone che fanno mestieri che nessun italiano è disposto a fare. Se conoscessimo meglio queste esperienze probabilmente anche l’approccio nei loro confronti sarebbe diverso.

Ovviamente fa più comodo il conflitto e lo scontro, chiudere le porte, piuttosto che accogliere. Per di più la politica delle “porte chiuse” è impraticabile perché la pressione migratoria, dovuta alle condizioni di svantaggio dei Paesi di origine di migranti e richiedenti asilo, è talmente forte che né Salvini né Meloni riusciranno a frenare i nuovi flussi: al limite riusciranno a far aumentare le morti in mare. Sta alla politica decidere come gestire l’immigrazione: può marginalizzare i migranti e renderli dei nuovi paria oppure può avviare nuovi processi di integrazione basati sul rispetto dell’altro e sulla consapevolezza dell’indispensabilità della presenza immigrata.

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