L'Appalachia conservatrice e bianca (e violenta) nel romanzo di David Joy
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L'Appalachia conservatrice e bianca (e violenta) nel romanzo di David Joy

L’“Appalachia”, un’enorme fascia verticale che dallo stato di New York scende fino all’Alabama e alla Georgia. È pure la culla del pensiero conservatore più abbarbicato alle tradizioni ancestrali di quell’America bianca chiusa al mondo. Ed è lì che…

L'Appalachia conservatrice e bianca (e violenta) nel romanzo di David Joy
Appalachia
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25 Febbraio 2023 - 10.37


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di Rock Reynolds


La bellezza del territorio lascia il turista a bocca aperta. È una catena di monti bassi, antichi, tappezzati a perdita d’occhio da boschi quasi impenetrabili in cui – malgrado l’attività venatoria sia tuttora uno dei passatempi o, addirittura, delle professioni più comuni nella zona – prosperano quasi tutte le specie animali dell’America settentrionale. È una terra ricca di tradizioni e cultura. È quella che negli Stati Uniti è conosciuta come “Appalachia”, un’enorme fascia verticale che dallo stato di New York, al nord, scende fino all’Alabama e alla Georgia, al sud. È pure la culla del pensiero conservatore più abbarbicato alle tradizioni ancestrali di quell’America bianca che non ne vuole sapere di aprirsi al mondo, ritenendosi depositaria delle chiavi del paese, convinta che le cose vadano bene così come stanno da secoli, che non ci sia bisogno di adeguamenti all’incedere del tempo, quasi che il tempo sia scandito da clessidre che altrove non si trovano o, quantomeno, lo segnano in modo diverso.

In un mondo così chiuso, talvolta non per sua stretta volontà, ma, semplicemente, perché è difficile da raggiungere e ancor più arduo da penetrare, il folklore ha trovato un terreno quanto mai ubertoso: grandi romanzieri hanno provato un’attrazione fatale per quei monti e per la gente che li abita e grandi canzoni hanno preso spunto dalle sue storie.

Il country & western, soprattutto nella sua forma autoctona del bluegrass (chitarra acustica, banjo, mandolino, violino e, talvolta contrabbasso, a sostenere una voce acuta e il contrappunto di un coro polifonico), si porta appresso la tradizione della polka e dei valzer mitteleuropei e la propensione evangelica ai canti da chiesa: i primi “gospel” li hanno intonati i bianchi e, solo in un secondo momento, i figli degli schiavi li hanno fatti propri, meticciandoli con il loro sentire africano e con i ritmi sincopati delle terre da cui erano stati strappati. È dai crinali tra North Carolina, Virginia, Kentucky e Tennessee che hanno preso le mosse la Carter Family, Ola Belle Reed, Doc Watson e Bill Monroe.

Le storie, insomma, non sono mai mancate sugli Appalachi e hanno trovato posto in romanzi e canzoni, incrociando agevolmente sacro e profano: demonio e santità su quei monti vanno quasi sempre a braccetto. Forse, è proprio per questo che non manca mai un pastore di anime, qualcuno insomma che lotti per strappare al male endemico coloro che si lasciano lusingare dall’onnipotente dopo aver a lungo flirtato con il principe delle tenebre.

All’osservatore esterno parrebbe impossibile che un territorio dalla bellezza così idilliaca come quello che le agenzie turistiche lo invitano a visitare possa dare la stura a situazioni incresciose se non a veri e propri drammi umani. Non è un percorso turistico frequentatissimo, ma la Blue Ridge Highway, la strada statale costruita nel 1936 che collega lo Shenandoah National Park, in Virginia e il Great Smokey Mountains National Park, in North Carolina, toglie il respiro in gola al viandante. Ci sono diverse altre strade panoramiche analoghe e tutte solcano più o meno longitudinalmente la catena degli Appalachi e uno dei territori storicamente più interessanti del paese, dove si sono combattute alcune battaglie campali della guerra civile. C’è tanto da spigolare in quest’area per comprendere meglio, senza naturalmente giungere mai a una conclusione vera, le idiosincrasie che caratterizzano il paese tanto al suo interno quanto nell’atteggiamento mostrato quotidianamente in politica estera. Basta interrogare l’abitante medio di quelle zone per capire la sua distanza siderale dai fatti del mondo, la sua non conoscenza della geografia internazionale e il suo colpevole disinteresse per le cose che non ineriscono strettamente alla sua striminzita quotidianità.

L’Appalachia è anche questo.

Ed è in questo contesto che si colloca Dove tende la luce (Jimenez, traduzione di Gianluca Testani, pagg 240, euro 19) di David Joy, un romanzo che sta per essere portato sul grande schermo dal regista Ben Young, con la partecipazione di Billy Bob Thornton e Robin Wright. Il titolo americano del film è Where all light tends to go.

Dove tende la luce non è una storia per chi ha lo stomaco debole, come ormai da tempo gli autori di quelle zone o che scelgono quelle zone per le loro scorrerie letterarie ci hanno abituati.

Jacob McNeely non è intimamente cattivo, ma spesso si autoconvince di esserlo perché quella è l’idea che la società americana gli ha inculcato, un’idea fortemente calvinista e, dunque, imperniata su un liberismo che pretende dall’individuo una vita al servizio di Dio. Pazienza se quello stesso Dio ha già deciso la sua sorte finale: quell’individuo è comunque tenuto a dare il massimo. Perché non si sa mai e perché è giusto così. Jacob McNeely forse il massimo non lo ha mai dato, soffocato tra una madre tossicomane e un padre dedito ai traffici illeciti e certamente non avulso dal ricorso alla violenza se altri mezzi non funzionano. Jacob vorrebbe affrancarsi da quella vita senza senso e senza futuro e l’unica ancora di salvezza è la speranza di costruirsi un avvenire insieme a Maggie, il suo primo e unico vero amore da cui la vita lo ha allontanato troppo presto. Il miraggio del college in un posto lontano gli strizza flebilmente l’occhiolino, a sufficienza, però, per infondergli un minimo di ottimismo in più. Il commercio di metamfetamine – un vero flagello biblico tra le comunità montane degli Appalachi – e una serie di eventi non esattamente propizi rappresentano un ostacolo impegnativo alla realizzazione di un sogno che il riavvicinamento con Maggie fa sembrare a portata di mano.

Siccome, però, Dove tende la luce è un thriller, il resto dovrete scoprirlo voi.

C’è tanta narrativa classica americana in questo romanzo. Non si può fare a meno di pensare ai romanzi di Erskine Caldwell come pure a quelli di James Still, il cui Fiumi di Terra in particolare è una sorta di Western lontano dal West. Un gelido inverno di Daniel Woodrell, anche se tecnicamente non ambientato nel cuore degli Appalachi bensì tra i vicini Ozarks, è di atmosfera simile. In fondo, come detto, la disperata povertà di certe zone rurali e montane, dove le miniere e le poche aziende tendono a chiudere i battenti, il lavoro scarseggia e il consumo di droghe e alcol la fa da padrone, è il fosco comun denominatore. La figlia del predicatore di Amy Jo Burns ribadisce quanto sia cara agli autori di quelle parti la dicotomia demonio-santità e quanto fosca sia l’atmosfera del luogo, a dispetto di una natura ancora vergine e preponderante. E, dove la natura fa da scintillante schermo alle miserie umane, la violenza esplode incontrollata. Un piede in paradiso, lo splendido romanzo di Ron Rash ambientato in una piccola comunità degli Appalachi ne è la conferma. Il saggio non-accademico Elegia Americana di J.D. Vance può contribuire a formare un quadro socioeconomico più chiaro a chi sia interessato a saperne di più su quanto la cultura delle droghe sia pervasiva in quel territorio e pure sul suo passato in cui la produzione del whisky illegale, a partire dagli anni del protezionismo, ha rappresentato una forma di attività economica parallela e pure un atteggiamento biecamente anarcoide, in ostinata contrapposizione con il governo centrale del paese. Il romanzo La contea più fradicia del mondo di Matt Bondurant (da cui è stato tratto il film Lawless, con Shia LaBeouf) racconta una guerra senza esclusione di colpi per il controllo del traffico di moonshine. Bondurant avrà forse letto Omicidio al Roadhouse di James Ross, un bel thriller del 1940, ma ha messo del tutto da parte la vena comica. Proprio come ha fatto Brian Panowich con il suo Bull Mountain, in cui whisky, marijuana e amfetamine si intrecciano a una violenza che impedisce di scorgere il sole oltre le nubi.

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