Giada Prandi è Anna Cappelli di Ruccello al Cometa Off di Roma
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Giada Prandi è Anna Cappelli di Ruccello al Cometa Off di Roma

Giada Prandi è Anna Cappelli, l’impiegata della Latina degli Anni ‘60 che racconta un universo femminile ancora attuale

Giada Prandi è Anna Cappelli di Ruccello al Cometa Off di Roma
Giada Prandi è Anna Cappelli di Annibale Ruccello - ph Umbertina Meschini
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1 Marzo 2023 - 21.34


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di Alessia de Antoniis

Fino a domenica 5 marzo 2023, al teatro Cometa OFF di Roma replica “Anna Cappelli”, il famoso testo firmato dalla grande penna di Annibale Ruccello. Torna interpretato dall’attrice Giada Prandi, con la regia di Renato Chiocca, le scene di Massimo Palumbo, i costumi di Anna Coluccia, le luci di Gianluca Cappelletti e le musiche originali Stefano Switala.

Anna Cappelli debutta nel 1986. Già allora, raccontava una storia che avrebbe dovuto essere vecchia: di una donna degli anni Sessanta in una piccola città di provincia, Latina. Sentimenti, paure, fragilità, controllo, possesso, emancipazione e condizionamenti della società erano gli ingredienti primari della pièce.

In bilico tra le asfissianti convenzioni borghesi dell’Italia del boom del dopoguerra e la ricerca ossessiva di una casa e di un amore tutto suo, Anna affida ad un uomo le sue aspettative. La Anna di Ruccello è quindi ben lontana dalla donna in carriera raccontata nei film degli anni Ottanta. Ma quanto era vicina alle donne reali? E, soprattutto, cosa dice delle, e alle, donne del 2023?

Sul piccolo palco, intimo, del Cometa Off, Giada Prandi è Anna Cappelli. Resa famosa da attrici come Anna Marchesini e Maria Paiato, Anna Cappelli è un po’ come La tempesta di Shakespeare diretta da Strehler: tutti quelli venuti dopo subiscono il paragone.

Le attrici che la hanno resa famosa sono il passato. Come hai letto il testo di Ruccello? Quali note fai maggiormente risuonare?

Un po’ è così, infatti questo è stato motivo di una certa mia esitazione quando il regista Renato Chiocca mi ha proposto di fare insieme questo meraviglioso testo. Non vi nascondo che la paura di misurarsi con delle icone come Anna Marchesini e Maria Paiato, in un primo istante aveva preso il sopravvento.

Poi, leggendo il testo e parlando con Renato, ho capito che, come per tutti i capolavori, anche per questo testo potevano esistere infiniti modi per raccontarlo ed interpretarlo senza per forza dover seguire una rotta tracciata.

Con Renato abbiamo quindi provato a raccontare Anna da un’angolazione un po’ diversa, cercando di scavare nel profondo delle sue fragilità e delle sue contraddizioni, cercando di entrare nella sua testa.

Volevamo dare a noi stessi e allo spettatore la possibilità di fare un viaggio metafisico nella sua mente, di ascoltarne i pensieri e condividerne i tormenti. Per fare ciò, abbiamo dovuto metterci in profondo ascolto delle parole di Ruccello per cercare di capire che cosa la muovesse e da dove venisse questa sua ossessione per il possesso.

Da qui la scelta registica di Renato di una messa in scena astratta e priva di qualunque artificio scenico che potesse allontanarci dal sentire di Anna.

Abbiamo cercato di tracciare un percorso che portasse lo spettatore a vivere sulla propria pelle, quelle emozioni e quelle pulsioni che condurranno Anna a quel gesto finale, che lei definisce in modo quasi grottesco e paradossale “un atto d’amore”.

Anna è una donna che si racconta emancipata, mentre accetta compromessi mascherati da conquiste sociali. Che scappa da una famiglia che la opprime, per andare a vivere da sola in un ambiente claustrofobico. Che si sentirà schiacciata anche nella grande villa di Tonino. A distanza di quasi quarant’anni dalla stesura, Anna del 1960 è una donna così lontana da una del 2023?

Tutt’altro. Anna è un personaggio senza tempo e come tale sempre attuale. È una donna che fatica ad aderire al proprio tempo: un tempo di forti e repentini mutamenti sociali. Un tempo al quale era assai difficile reagire senza avere gli “strumenti” adeguati per poterlo fare, soprattutto se si era una giovane donna di provincia con un’educazione di stampo cattolico-borghese.

Ecco, con Renato crediamo che il corto circuito di questo personaggio nasca proprio da questo: dall’incapacità di elaborare questi profondi mutamenti sociali in quanto priva degli strumenti emotivi e culturali necessari.

Anna vorrebbe emanciparsi, essere una donna libera, indipendente ma nel suo profondo qualcosa non torna, perché una parte di sé è profondamente ancorata ad un retaggio culturale che va nella direzione opposta. Lo scontro fra questi due movimenti interni genera in lei un’implosione. Personalmente riscontro le stesse difficoltà di adattamento in tantissime giovani donne di oggi. In una società sempre più liquida, sempre più veloce, virtuale e inafferrabile, è molto difficile capire chi siamo e qual è il nostro posto e questo può essere molto destabilizzante.

Quando Anna lascia la stanza in subaffitto a casa della signora Tavernini, urla “Finalmente avrò una casa mia, tutta mia! Io ci entro da moglie, non ci entro da estranea, ci entro da moglie a tutti gli effetti”. Con Anna Cappelli, Ruccello racconta le incoerenze di quella parte del mondo femminile portatrice di valori maschili e maschilisti. Quanto continuiamo a seminare una cultura patriarcale che ci vede italiane, donne e madri, possibilmente “accasate” con un “brav’uomo”?

Non penso che si stia ancora seminando. Anzi, se vogliamo rimanere nella metafora agricola, forse stiamo estirpando e sradicando certi modelli culturali. Soprattutto le nuove generazioni che  in questo senso sono molto più avanti di quanto pensiamo! Sono piuttosto ottimista. È però evidente che la strada è ancora lunga e tortuosa! È un processo storico-culturale che impiegherà moltissimo tempo.

Del resto non possiamo non accettare il fatto che, nel bene o nel male, chi più e chi meno, veniamo tutte da lì. Fa parte della nostra storia, della nostra cultura: è inutile negarlo. La cultura italiana affonda le sue radici in quel tipo di retaggio che è nelle nostre fibre, nel nostro DNA e  ci vorrà molto tempo e molto lavoro prima che certi meccanismi e certi automatismi culturali vengano scardinati del tutto. Possiamo dire che, forse, Anna Cappelli si è un po’ trovata nel “big bang”, nella genesi di questo processo di mutamento verso una nuova società in Italia, ma il processo è assolutamente ancora in divenire e ci vorranno ancora diversi decenni prima che nuovi valori e nuovi modi di pensare, svincolati da certe logiche, diventino la norma.

Se dovessimo tracciare un filo conduttore in Anna Cappelli, forse sarebbe l’avidità: economica, affettiva, di autostima. Tutti abbiamo fame di qualcosa, anche senza essere bulimici. E Giada di cosa ha fame? Quali corde Anna fa risuonare in te?

Io non vedo avidità in Anna. Forse questo si può riscontrare in una prima lettura se si prende il testo alla lettera, ma credo che sia solo il sintomo di qualcosa di molto più profondo.

Io piuttosto vedo in lei il forte bisogno di trovare un luogo, uno spazio – non solamente fisico – in cui sentirsi al sicuro.

Al sicuro dalla paura di amare ed essere amata senza secondi fini, al sicuro dall’essere giudicata o etichettata per le sue scelte, per i suoi sentimenti e i suoi desideri. Al sicuro da un tempo che, come dicevamo prima, non riesce a comprendere ed accettare fino in fondo e che la divide a metà. La nostra Anna ha un disperato bisogno di sentirsi intera e forse è per questo che cerca appigli nelle cose e nelle persone. Io credo che, in realtà, lei cerchi solo l’amore nel senso più alto del termine.

Giada di cosa ha fame? Giada ha avuto fame di tutto questo per molti anni e oggi forse ha trovato nella sua vita quel luogo sicuro in cui poter amare e sentirsi amata. Quello spazio emotivo in cui sentirsi libera di essere ciò che la fa sentire “intera” e quindi viva.

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