"Gli immorali": un noir per raccontare la fragilità umana del nostro tempo
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"Gli immorali": un noir per raccontare la fragilità umana del nostro tempo

. Al centro della trama del giallo/noir ci sono le indagini, condotte da un navigato ispettore, dopo il ritrovamento del cadavere dell'avvocato Marco Lo Presti, noto usuraio senza scrupoli ucciso a Testaccio

"Gli immorali": un noir per raccontare la fragilità umana del nostro tempo
Gli immorali di Fabio Nobile
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7 Aprile 2023 - 16.10


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di Marco Santopadre

“Gli immorali” (Efesto Edizioni, pp. 205, euro 15) è il romanzo d’esordio di Fabio Nobile. Al centro della trama del giallo/noir ci sono le indagini, condotte da un navigato ispettore, dopo il ritrovamento del cadavere dell’avvocato Marco Lo Presti, noto usuraio senza scrupoli ucciso a Testaccio. Ma soprattutto ci sono le vicissitudini del protagonista Cesare, che rimane invischiato in una serie di eventi che lo porteranno vicino all’abisso. Solo e deluso dopo gli anni dell’università trascorsi a cercare di cambiare il mondo, il quarantenne pittore sceglie di dedicarsi all’arte e si prende un anno sabbatico dal grigio lavoro in una grande azienda. Ma un vecchio amico dei tempi dell’università e della militanza politica nella sinistra, Roberto, ricompare improvvisamente e lo coinvolge in una oscura e pericolosa trama. Ad affiancare il punto di osservazione di Cesare c’è anche un altro io narrante, quello di un agente infiltrato in un’organizzazione criminale.


“Gli immorali” è un romanzo avvincente, che cattura il lettore e al tempo stesso lo costringe a riflettere sull’ambiguità dei personaggi e sul ruolo che il denaro, la ricchezza rivestono nella nostra società.


Fabio Nobile, romano, classe 1970, è laureato in Economia e commercio alla Sapienza ed ha partecipato ai movimenti studenteschi per poi dedicarsi alla militanza politica; tra il 2006 e il 2013 è stato consigliere comunale a Roma e poi consigliere regionale del Lazio. Attualmente lavora come amministratore di una società privata.

Com’è nato “Gli immorali”? Qual è stata la sua gestazione?

Il romanzo è nato in primo luogo dall’esigenza di esprimermi con leggerezza su temi che leggeri non sono e di farlo con un genere narrativo che amo da lettore. Questo aspetto si è unito all’urgenza di dare un volto, dei nomi che potessero incarnare la fragilità profondamente umana del nostro tempo, amplificata dalla debolezza di ideali collettivi condivisi.
Così ho pensato ad un gioco narrativo che confondesse le vittime con i carnefici e dove ogni personaggio giocasse, nella sua solitudine, per sé.
Poi Testaccio, le sue trame e trasformazioni, la riflessione malinconica sulla generazione degli anni novanta e duemila, insieme ad alcuni fatti specifici o piccoli episodi della mia quotidianità, mi hanno dato lo spunto per costruire la trama. Senza dimenticare l’incontro con il mio amico artista Juri Corti. Non finirò mai di ringraziarlo per la passione e la partecipazione con cui mi sta accompagnando in questa bella avventura.

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A quali autori di gialli e di noir ti senti più vicino?

Molti sono gli autori che mi piace leggere e che in qualche modo mi hanno ispirato. Da Joel Dicker, che con il suo “La verità sul caso Herry Queberc” mi ha dato quasi un “la” nel buttarmi in questa avventura, passando per Carofiglio, Camilleri, De Cataldo che hanno dato spessore al giallo italiano. In generale, poi, mi piace spaziare nella narrativa e tra i classici della letteratura, ognuno dei quali, quando lascia qualcosa, poi te lo porti dentro quale fonte di ispirazione o, perché no, di semplice riflessione.

Chi è Cesare, il protagonista del tuo primo romanzo?

Cesare è un artista solo, inquieto, insoddisfatto e dolente. L’ espressione di una generazione che ha vissuto gli anni novanta e i primi duemila con l’ambizione di essere protagonista di un cambiamento che non c’è stato. Cerca ancora in qualche modo la felicità, ormai sua e personale.
Lo fa in maniera scomposta, e agisce spesso inconsapevole degli effetti delle sue azioni. È un particolare uomo del nostro tempo con cui in molti, a mio avviso, si possono identificare.

I personaggi del romanzo non sono né completamente buoni né completamente cattivi. Si tratta solo di un escamotage narrativo oppure la scelta corrisponde ad una tua lettura della realtà che ci circonda? Chi sono gli immorali?
Nel romanzo non esistono personaggi completamente buoni o del tutto cattivi perché, a mio avviso, non esistono nella realtà. Ho provato a rappresentare gli individui che popolano la narrazione nella loro fragilità e sempre sospesi nel confine labile tra ciò che è bene e ciò che è male. Una fragilità amplificata nel nostro tempo dove l'”io” prevale assolutamente sul “noi”. La storia criminale nel romanzo parte dall’uccisione di un usuraio che con i suoi soldi condizionerà la vita della maggior parte dei personaggi. Anche questa non è una scelta casuale.

I protagonisti del romanzo, uomini o donne che siano, sembrano intrappolati in una sorta di copione già scritto e all’interno dei loro ambigui ruoli ai quali non possono sfuggire. Cosa resta degli ideali e degli obiettivi di una generazione – alla quale appartengono sia Cesare sia Roberto, un altro dei protagonisti de “Gli immorali” – che negli anni ’90 ha lottato per il cambiamento e che poi ha dovuto fare i conti con una pesante sconfitta?
Questo è uno degli aspetti più dolorosi per me. Peccato perché quel periodo aveva generato una grandissima quantità di quadri politici, anche se figli di una sconfitta storica nel novecento, e forse questo è un nodo, purtroppo mai elaborato in maniera condivisa. Tra la metà degli anni ottanta e il movimento studentesco della pantera, si era prodotto un salto dopo il grande riflusso segnato dalla “marcia dei quarantamila” del 1980 e il post ’89. Quella generazione si è incagliata in logiche che ne hanno stritolato le potenzialità ed è in gran parte tornata a casa come Cesare o, in misura molto più ridotta, si è adattata ed è stata assimilata dal sistema politico-istituzionale.
Gli ideali vivono se vengono coltivati, organizzati e trasmessi. Se vengono resi aderenti ad una realtà mutata, se si fa i conti con le sconfitte che invece di dividere dovrebbero essere comprese e condivise per guardare avanti. Potenzialmente gli ideali sono dentro la realtà e probabilmente verranno di nuovo fuori, perché lo richiede la sopravvivenza dell’umanità. Quanto sta avvenendo in Francia è un buon segnale in questo senso.

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Le vicende narrate nel libro si svolgono a Testaccio, meticolosamente descritta, ed in parte a San Lorenzo, due quartieri popolari aggrediti negli ultimi anni da una pesante gentrificazione. Perché hai scelto questi due quartieri?
A Testaccio vivo da vent’anni e lo conosco bene. Come S.Lorenzo, che nel periodo universitario era diventato “casa”. Certamente questi due aspetti hanno influito perché mi hanno dato sicurezza nel muovermi in un territorio conosciuto.
Poi la scelta nasce dalla possibilità, soprattutto attraverso Testaccio, di leggerne la gentrificazione e le trasformazioni spinte soprattutto dalla vendita delle case popolari e dal conseguente aumento dei valori immobiliari. L’originalità di Testaccio è che ancora convivono il “vecchio” e il “nuovo”. Non so ancora per quanto tempo sarà così e il romanzo può essere visto anche come un piccolo contributo a far vivere e ricordare questa fotografia. Infine la doppia trama del Rione (quella in superficie e quella più oscura) nel passato e nel presente, che allargando lo sguardo riguarda l’intera città, è uno sfondo ideale per questo romanzo. In questo senso l’usura insieme alle sue connessioni criminali è un tema molto più presente nella realtà di quanto le cronache ci ricordino periodicamente.

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Nel romanzo un ruolo centrale è assegnato all’arte, sia perché Cesare è un pittore, sia perché il libro è fisicamente arricchito dalle illustrazioni del pittore fiorentino Juri Corti. Come mai questa scelta?
Senza l’incontro con Juri, Cesare probabilmente non sarebbe stato un artista, sicuramente non un pittore. Il punto di contatto è sicuramente un gioco di specchi con lui che ha generato il personaggio. La sua insoddisfazione, generata dall’impossibilità di poter coltivare con intensità la sua arte di fronte alle esigenze materiali della sua vita, mi ha risuonato dentro. Certamente, poi, avevo bisogno allo stesso tempo di costruire una distanza dal personaggio. E, vista la mia assoluta incapacità nel disegno, mi è sembrato bello costruire un personaggio così. La serata in cui ci chiudemmo nello studio di Juri e lui disegnava mentre gli leggevo il romanzo, è stato un momento di scambio bellissimo che ha arricchito questo lavoro con le opere inserite nel libro nate proprio quella sera.

Nelle ultime settimane il tuo libro ha avuto un consistente successo in termini di vendite. Ti aspettavi che il frutto del tuo esordio letterario fosse accolto in maniera così calorosa da parte del pubblico?

Devo ringraziare Edizioni Efesto e il suo editore, Alfredo Catalfo, per l’opportunità della pubblicazione e per aver creduto nel romanzo. Sinceramente non mi aspettavo fosse accolto così bene e ovviamente mi fanno piacere i commenti positivi di chi lo ha letto. Per me era davvero un’incognita il giudizio sia di chi mi conosceva sotto altre vesti sia di coloro che mi hanno incontrato solo attraverso il romanzo. Per vendite in libreria, a Marzo e nei primi giorni di aprile, era nelle prime posizioni della classifica “Arianna” nella Regione Lazio. Il tutto è davvero una sorpresa.

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