l 4 maggio 1944, l’area circostante il Monte Sant’Angelo, vicino ad Arcevia, fu teatro di un rastrellamento tedesco che rappresenta uno degli episodi più significativi della Resistenza nella provincia di Ancona.
Duemila soldati tedeschi, supportati da mezzi corazzati, avanzarono verso Arcevia circondando l’intera zona. Alle 4 del mattino, con mortai, carri armati e lanciafiamme, attaccarono il Monte Sant’Angelo, dove si trovava il distaccamento Maggini.
Quest’ultimo era giunto la sera precedente da Ostra, in attesa di muoversi verso San Donnino di Genga, che era stato scelto come punto di raccolta. Il rastrellamento fu condotto in modo brutale, poiché molti partigiani persero la vita nel combattimento. Solo pochi riuscirono a rompere l’accerchiamento e a mettersi in salvo. Tra le vittime si contano anche i prigionieri fascisti presenti nell’accampamento e i sette membri della famiglia Mazzarini, che ospitava il distaccamento nella propria casa colonica, compresa la piccola Palmina di soli sette anni.
I corpi furono dilaniati e bruciati senza pietà con il lanciafiamme. Il numero preciso delle vittime rimane tuttora incerto, a seconda delle fonti si parla di 37 a 63 morti. Questa incertezza è dovuta alla difficoltà di accertare chi si trovava effettivamente sul luogo dell’eccidio e alla vastità del teatro delle operazioni. La lapide posta a ricordo dei caduti indica 37 morti, di cui 4 senza nome, 3 conosciuti solo con il nome con cui erano noti e 7 della famiglia Mazzarini.
Tra i partigiani morti, la maggioranza apparteneva al distaccamento Maggini, con qualche componente del Sant’Angelo. Sorge la questione se ci sia stata effettivamente battaglia tra i partigiani e l’esercito nazifascista, oppure se il distaccamento Maggini sia stato colpito e sterminato nel sonno. Tale questione rimane controversa.
Dopo il massacro del Sant’Angelo, la violenza continuò anche nei giorni successivi nelle contrade di Arcevia. A Montefortino, una pattuglia tedesca catturò 11 partigiani, che furono spogliati, condotti fuori del villaggio e fucilati. I loro corpi furono poi gettati nel torrente. Altri cinque partigiani furono presi prigionieri e fucilati sotto le mura di Arcevia lo stesso 4 maggio, altri due fecero la stessa fine pochi giorni dopo.
Dopo l’eccidio, la zona di Arcevia continuò a vivere nel terrore, poiché tutto il territorio fu sottoposto ad un vero e proprio stato d’assedio, la popolazione costretta ad uscire dalle proprie case e ogni casa messa a soqquadro alla ricerca di partigiani e giovani renitenti alla leva.
Per tutto il sangue versato e le sofferenze patite, al comune di Arcevia fu data la medaglia di bronzo al valor militare. Dopo l’eccidio i gruppi partigiani si dispersero e la popolazione era terrorizzata. Il comando regionale inviò sul posto Alfredo Spadellini (Frillo), vice comandante della Brigata Ancona e Rodolfo Sarti (Ernesto), commissario politico della Divisione Marche.
Individuato un nuovo luogo di raccolta, sicuro nella macchia di Fugiani, tra Serra dei Conti e Castiglioni di Arcevia, avviarono la riorganizzazione dei distaccamenti, cercando di assicurare anche il cibo poiché la popolazione impaurita aveva rotto i rapporti con le bande.
Così vennero costituiti due nuovi distaccamenti, il Maggini e il Patrignani. L’assenza di armi fu colmata da un coraggioso partigiano, Wilfredo Caimmi (Rolando), il quale le andò a prendere alla caserma della Guardia Nazionale Repubblicana a Montecarotto.
I partigiani arceviesi e della Valle del Misa, induriti e provati da quanto avvenuto, con un atto di “sommaria giustizia”, nella notte tra il 13 e il 14 luglio, catturarono e uccisero a Madonna dei Monti di Arcevia, tredici persone accusate di essere spie dei tedeschi e dei fascisti.