L’estate del golpe: un libro ricostruisce l’attentato a Mariano Rumor
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L’estate del golpe: un libro ricostruisce l’attentato a Mariano Rumor

Stefania Limiti ricostruisce un caso di strategia della tensione poco ricordato, di cui ricorre in questi giorni il cinquantenario

L’estate del golpe: un libro ricostruisce l’attentato a Mariano Rumor
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

19 Maggio 2023 - 08.39


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Nel sanguinoso mazzo di stragi che frange estremistiche della destra eversiva seminò nell’Italia degli anni Settanta, ve n’è una poco ricordata: l’attentato a Mariano Rumor avvenuto il 17 maggio 1973 nella Questura di Milano. Eppure, non fu cosa da poco: era un clamoroso attacco allo Stato, e provocò quattro morti e quarantacinque feriti: vittime innocenti, poiché gli attentatori fascisti e i poteri reazionari che li muovevano colpivano strategicamente la popolazione inerme, con l’intento di spargere terrore per minare la sempre fragile democrazia di questo sventurato Paese. A illuminare l’evento restato in penombra malgrado la dirompente violenza, è ora apparso un libro a firma di Stefania Limiti, L’estate del golpe. 1973, l’attentato a Mariano Rumor, Gladio, i fascisti. Tra piazza Fontana e il compromesso storico, pubblicato da Chiarelettere (pp. 280, € 19), editore che da sempre si segnala per l’attenzione posta a vicende rimosse dal dibattito pubblico.

Giornalista di vaglia, la Limiti è impegnata da anni nella pertinace ricomposizione di pezzi ancora oscuri della nostra storia recente, nella convinzione – che dovrebbe essere di tutti i cittadini degni di questo nome – che un Paese realmente democratico e civile non può permettersi di conservare orridi scheletri nell’armadio, e che la giustizia non è solo un concetto arbitrario, ma un dovere da perseguire e un diritto da difendere e realizzare, con le unghie e con i denti.

Il volume, che si legge con la levità d’un romanzo (dell’orrore o d’una truce spy story), ricostruisce minuziosamente l’accaduto, collocandolo lucidamente nel quinquennio 1969-1974, dalla strage di piazza Fontana al ritorno di Aldo Moro al governo, anni in cui l’Italia repubblicana rischiò ripetutamente di scomparire, tra operazioni stragistiche e tentativi di golpe, architettati da poteri occulti e pezzi deviati dello Stato anche eterodiretti da servizi segreti di Paesi stranieri e realizzati da neofascisti che godettero di un’effettiva immunità per i loro crimini.

La responsabilità giudiziaria dell’attentato alla Questura di Milano – che aveva l’obiettivo di eliminare Mariano Rumor, all’epoca Ministro dell’Interno, già Presidente del Consiglio e potente uomo del partito che dominava il Paese, la Democrazia cristiana – è stata riconosciuta esclusivamente in capo a Gianfranco Bertoli, con la sentenza della Corte di Cassazione del 13 ottobre 2005. Ma il dispositivo è ben chiaro: “Deve ritenersi dato storico, oltre che processuale, ormai incontestabilmente accertato la ‘provenienza’ dell’attentato […] da esponenti di Ordine nuovo che avevano utilizzato proprio Gianfranco Bertoli, a loro legato da vincoli antichi di vario tipo, al fine di mimetizzare la vera matrice dell’attentato e di accreditare la tesi della matrice anarchica che era insita nella strategia della tensione sostenuta da Ordine nuovo”. Dunque, a tre anni e mezzo dalla strage di piazza Fontana la storia si ripeteva. Inoltre, la sentenza evidenziava “gli errori di giudizio e di valutazione delle emergenze processuali in cui è incorsa la Corte d’assise d’appello di Milano con la sentenza del 27 settembre 2002” che accreditava la tesi che Bertoli fosse stato ideatore ed esecutore solitario e improvvisato della strage, “che invece era stata ‘annunciata’ fin da un anno prima e che nasceva […] dal desiderio di rivendicazione di Ordine nuovo che era stato colpito dall’onorevole Rumor attraverso la legge Scelba, e che vedeva in costui il soggetto che aveva attento alla vita dell’organizzazione”. Storia vecchia, insomma, questa dell’impunità: la paternità ordinovista della strage è certa ma non è stato possibile stabilire responsabilità penali individuali, per la sottovalutazione di chiari dati investigativi o per errori giudiziari.

Questa verità storica e processuale la dobbiamo, come ricorda l’autrice nell’introduzione, a due magistrati intelligenti e coraggiosi, Tindari Baglione e Laura Bertolé Viale, che chiesero il rinvio degli atti della sentenza di assoluzione. È a partire da ciò che si svolge la complessa inchiesta condotta dalla Limiti, che si è trovata davanti un caso “maledettamente complicato, come tutti i fenomeni che lambiscono zone del potere italiano”. Perché Bertoli è “l’ultimo anello di una catena golpista”, la base operativa di “una cupola di mandanti che ruota attorno al secondo protagonista del racconto, Amos Spiazzi di Corte Regia, l’uomo che ha in mano la Gladio del Nord Italia”. Insomma, il libro indaga quel complesso e diversificato potere occulto, appoggiato e alimentato dalla politica estera statunitense, che sognava di abbattere la democrazia costituzionale, che odiava la Resistenza e il patto antifascista da cui era nata la Repubblica, e che fu pronto a spargere sangue innocente pur di attuare i suoi piani criminosi. Diviso in tre parti (“Bomba sulla folla”, “Golpisti”, “Il silenzio della Democrazia cristiana”), con l’ausilio di complicate e osteggiate indagini processuali, la raccolta di testimonianze dirette, la storiografia disponibile, inchieste private e pubbliche, l’incrocio pervicace di dati, il volume dipana nelle sue fitte pagine una storia che pare la smagliante sceneggiatura di un brillante scrittore, e che invece è la criminosa vicenda sommersa di un Paese dalla sovranità limitata, che non ha mai fatto i conti con il suo passato, che si porta dietro neri fantasmi mai esorcizzati. Una storia di stragi di stato e morti sospette, di insabbiamenti e depistaggi, di organizzazioni segrete e pezzi dello Stato fatti carnefici, di reiterate e smaccate violazioni dei più elementari diritti. La storia di noi italiani, corpo sociale incurante di un passato che continua a manifestarsi in forme mutate ma non meno pericolose, mai in grado di pretendere e realizzare una giustizia sempre violata, derisa e dileggiata.

Appare remota l’estate del golpe di quel lontano 1973, come un incubo sfilacciato. Eppure, un libro come questo ci pone davanti ai nostri fallimenti di cittadini, alle nostre ipocrite autoassoluzioni. Ci ricorda che la rimozione e l’oblio sono colpe incancellabili, un attestato di correità con coloro che quegli eventi nefasti determinarono, senza scontare mai il fio per i loro crimini.

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