di Alessia de Antoniis
Narni Città Teatro, il festival appena concluso che ha animato il paese umbro, non ha offerto solo performance e rappresentazioni: è stato anche occasione di confronto tra artisti. Tra i vari incontri, prezioso quello tra Claudio Longhi, regista, drammaturgo, direttore del Piccolo di Milano e l’attore Lino Guanciale. Gli onori di casa li ha fatti Davide Sacco, co-direttore del festival insieme a Francesco Montanari.
Si è parlato di teatro e del suo rapporto con la città, di che cos’è il teatro e cos’è il sentimento del teatro.
Per Lino Guanciale “ognuno e ognuna dà una risposta strettamente personale a questa la domanda. Ho avuto tanti incontri importanti e sono gli incontri che ti fanno scoprire cosa il teatro è per te. Quale sia la dimensione sociale del teatro lo capisci facendolo. Per me è stato determinante incontrare Claudio, un maestro, un amico e un compagno di strada teatrale. Per me – ha concluso Guanciale – il teatro è fatto di persone ed è l’ultimo posto rimasto dove si comunica in presenza.
Per Claudio Longhi il teatro rappresenta il vivere l’attimo. “Credo che la caratteristica del teatro sia quella di vivere dell’attimo o dell’istante. Nella pagina conclusiva de Le città invisibili di Calvino – continua Longhi – si trova l’ultimo dialogo tra Kublai Khan e Marco Polo sul senso del viaggio. Khan e Marco si interrogano sull’ultima delle città, la città infernale, e sulla sua esistenza. Marco dice una cosa importante: se un inferno esiste è quello che ci troviamo a vivere quotidianamente. Quello che è importante nella vita, è cercare di riconoscere chi e cosa, nell’inferno, non è inferno e dargli spazio.
Credo che questa sia una lezione straordinaria che ha fortemente a che vedere con l’attimo: tutti noi, in ogni istante, abbiamo davanti infinite possibilità. Tutto si gioca sulla capacità di capire che la persona che hai davanti in quel momento, non è inferno. La vita si consuma in queste fessure che si aprono. Il teatro ci aiuta a capire come comportarci in quell’attimo che racchiude infinite possibilità”.
Si è poi disquisito su cosa sia una città oggi.
Per il direttore Longhi “veniamo da un periodo che ci ha fatto molto riflettere sul significato della città. Il covid ha portato ad interrogarci sul rapporto tra spazio privato e pubblico. Vivere situazioni in cui improvvisamente lo spazio privato diventava pubblico, con le video conferenze da casa, con la nostra quotidianità che veniva pubblicamente condivisa, ci ha fatto ripensare il confine tra privato e pubblico”.
“Credo che la città – ha continuato Longhi – sia uno spazio dinamico di incontri. E che, in quanto tale, sia lo spazio di elezione di quello strano animale che chiamiamo uomo. L’essere umano ama stare insieme per varie ragioni: per una sua debolezza, ma anche per la necessità di avere qualcuno accanto che lo aiuti a far fronte a qualcosa che è più grande di se stesso, per la necessità di trovare negli altri la forza per costruire qualcosa.
Credo che la città sia essenzialmente uno spazio di comunità. E, come spesso accade, nelle comunità la benedizione e la maledizione è lo stare insieme agli altri, il cercare di gestire la relazione, il conflitto; e fare in modo che questo non si trasformi in una lacerazione, ma in qualcosa che ti fa crescere. Mai come ora, credo che la città sia un posto importante per riappropriarsi dello spazio pubblico, in cui prendere la parola ed esercitare il nostro stare insieme”.
Claudio Longhi è direttore del Piccolo, considerato un teatro d’Europa. Ma cos’è un teatro d’Europa?
“La città – ha risposto il direttore a Davide Sacco – è anche il luogo della storia e del tempo; soprattutto la città europea.
L’Europa è quella dei caffè, ad esempio. Steiner dice che l’Europa è quell’angolo di mondo in cui le città hanno dei nomi di persone, a differenza degli Stati Uniti, dove spesso sono indicate con dei numeri. Il fatto che ci siano dei nomi propri, ci dice che c’è una storia che è inscritta nelle pietre. La città è quel luogo dove tanti tempi coesistono e tante storie si intrecciano raccontate contemporaneamente”.
“È difficile – continua Longhi – dire che cos’è un teatro d’Europa. Il teatro fa parte del nostro essere europei.
Per me il teatro è fortemente legato all’identità europea. L’Europa è un continente che si è costruito su bagni di sangue, su mattanze tra le più orribili che si siano prodotte a livello mondiale. Da quelle tragedie ha imparato che la pace è importante e che ci sono dei valori fondamentali: i diritti dell’uomo. Dalla sua storia, l’Europa ha appreso lezioni che sono costate tanto. Credo che sia dissennato metterle a repentaglio e che tutti quanti, mai come ora, dovremmo riflettere su questo”.
“Che compiti ha il direttore artistico di un teatro, pubblico o privato che sia, ma che dirige un luogo di riferimento di una città?”, ha chiesto Lino Guanciale.
“Luigi Squarzina – ha risposto Longhi – regista teatrale troppo in fretta dimenticato, in un’intervista tardiva disse: in fondo, il direttore artistico si occupa dell’educazione teatrale di una città. Credo ci sia molto di vero in questa riflessione. Non è solo insegnare storia del teatro a una città, ma prendersi cura della città e consentirle di essere tale. Perché la città è essenzialmente teatro e il teatro è città.
Un teatro all’italiana, ad esempio, racconta in pietra un’idea di città: è un modo di pensare come si sta insieme, un modo di organizzare i rapporti. Se vedete un teatro greco, capite immediatamente come fosse fatta una città greca. Ci sarebbe da chiedersi come è fatto il teatro oggi, perché è molto suggestivo lo spazio dei teatri antichi, ma forse non corrisponde alla nostra idea di città. Farsi carico dell’educazione teatrale di una città vuol dire, in qualche modo, fare politica.