Il grido della pace: appello urgente per un mondo senza guerra
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Il grido della pace: appello urgente per un mondo senza guerra

Il grido della pace" di Andrea Riccardi invita a contrastare la riabilitazione della guerra e a promuovere la convivenza pacifica tra diverse identità nel mondo complesso odierno.

Il grido della pace: appello urgente per un mondo senza guerra
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5 Luglio 2023 - 09.22


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di Antonio Salvati

Sono innumerevoli i volumi di Andrea Riccardi dedicati al tema della pace. Testi che invitano a prendere di nuovo le misure del mondo in cui viviamo. La situazione internazionale è molto delicata. È ormai tanto lontano il tempo in cui esistevano due superpotenze, capaci di controllare – almeno in parte – le pulsioni conflittuali.

Il rischio della stagione in cui ci stiamo inoltrando – che Riccardi manifesta nel suo ultimo volume Il grido della pace (Milano, San Paolo, 2023, pp. 240, € 18,00). – è la riabilitazione dello strumento della guerra e l’acquiescenza della coscienza e della politica internazionale a questo fenomeno. La guerra a tanti preoccupa di meno Ci sono state conseguenze molto dolorose del conflitto ucraino, come in quello dimenticato della Siria: rifugiati, città, patrimoni storici e culturali distrutti, morti, traumi sulla popolazione e sui bambini, devastazione delle risorse del paese.  Fare la guerra non suona così scandaloso o innaturale, per buona parte dell’opinione pubblica, aveva già sostenuto Riccardi in un volume uscito qualche anno fa, La forza disarmata della pace (Milano, Jaca BooK, 2017, pp. 80, € 10,00). Si pensa che la guerra sia questione di altri, anche se poi gli altri non sono poi così lontani. L’accettazione di questo strumento è una novità lentamente – spiegava già Riccardi, in quel volumetto snello e denso – «insinuatasi durante gli ultimi decenni nella mentalità corrente, dopo che – al tempo della guerra fredda si era temuta invece una grave deflagrazione tra le due superpotenze, con conseguenze devastanti. In quell’epoca era ancora forte la generazione che aveva conosciuto la seconda guerra mondiale, non solo l’orrore dei combattimenti e delle distruzioni, ma la Shoah (possibile, come molti genocidi, nell’isolamento paradossale dei combattimenti), gli effetti perversi del conflitto, come quello finale consistito nell’abbandono di una parte consistente dell’Europa alla dittatura comunista». La generazione che ha vissuto tutto questo è ormai in larga parte scomparsa o poco influente. Governano e orientano l’opinione pubblica donne e uomini nati in un mondo di pace, che sentono meno la responsabilità di testimoniare l’orrore e ricordare il dramma del secondo conflitto mondiale. Forse oggi la guerra sembra meno pericolosa e i tanti discorsi sulla pace appaiono una retorica politicamente corretta.

Il pregio dei volumi di Riccardi sulla pace sta nell’esprimere la ferma convinzione che è possibile per ciascuno lavorare per la pace, perché – anche in situazioni molto difficili – «la pace è possibile e rappresenta la scelta più saggia, seppure non sempre comoda. Il lavoro e l’interesse per la pace possono essere motivati da posizioni e storie differenti». Non solo, una parte della riflessione di questi libri è dedicata al ruolo delle religioni. Specificando, in particolare, quanto nel cristianesimo, il legame tra esperienza religiosa e pace acquista una particolare chiarezza, nonostante la Chiesa e i cristiani nella loro lunga storia non sempre si siano mossi in una linea pacifica. Oggi vediamo – precisa Riccardi – «come una profezia di pace sia profondamente connaturale al cristianesimo stesso. Questo è emerso con evidenza nel Novecento, a confronto con le due guerre mondiali e con altri conflitti. Lo si vede anche con chiarezza nel messaggio che i vari Papi degli ultimi due secoli hanno lanciato di fronte alle situazioni di guerra. I cristiani insomma hanno una specifica forza (disarmata) per favorire e realizzare la pace, se vivono l’audacia di farla emergere dalle loro comunità; una vera energia nel resistere, anche in condizioni minoritarie e sotto pressione, alle passioni bellicose, agli odi e alle contrapposizioni che preparano o caratterizzano scenari conflittuali».

Si può vivere insieme? Come vivere insieme tra diversi in un tempo in cui le identità si rafforzano? Sono domande immancabili nei volumi di Riccardi. Domande che riguardano anche le città europee dell’immigrazione, come i conflitti nella banlieue di Parigi con la rivolta dei giovani, spesso figli d’immigrati: uno scontro con la Francia e i suoi simboli che si accompagna a un ribellismo di giovani senza lavoro e speranza, periferici. Giovani che non hanno nulla da perdere che vivono in periferie, un tempo caratterizzate da reti tradizionali che facevano della banlieue uno spazio dove, tra tante miserie, si viveva insieme. Questi ragazzi oggi si sono creati una coscienza: essere contro una società altra e matrigna. Con violenza, in bande anche interetniche, vivono un’identità collettiva.

Un mondo complesso ha bisogno di cultura, ma soprattutto di più politica sul territorio. La città è un grande laboratorio per la convivenza. Bisogna ritrovare – sottolinea Riccardi – la passione civile e umana, volontaria, per operare laddove la gente s’incontra, nei vuoti delle periferie. Vivere insieme è una continua negoziazione, come diceva Umberto Eco parlando di integrazione. Nel conoscere e nel negoziare, nel comporre alterità, nel creare connessioni, nel riconoscere meticciati, nel favorire il dialogo, si esercita l’arte del convivere, frutto di realismo e di speranza. È il realismo della ragione di fronte a una pluralità che impazzisce.

Un mondo complesso ha anche bisogno di più partecipazione alla politica internazionale. Riccardi spesso insiste sull’impotenza e la confusione europea di fronte alla guerra in Siria. La passione civile sul territorio si deve unire a una visione più globale di pace. Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato, ha più volte sostenuto Papa Francesco.

Il libro Il grido della pace è stato presentato il 4 luglio scorso a Roma. Erano presenti in tanti con l’autore, Donatella di Cesare, Marco Damilano, Giuseppe De Rita e il card. Matteo Zuppi. Moderava Marco Impagliazzo che ha sostenuto che Riccardi ha scritto questo volume come forma di resistenza al male e un’espressione di fiducia nell’umanità perché la voce del dolore fosse un giorno ascoltata da qualcuno. Damilano ha ricordato Paolo VI che, a vent’anni della conclusione del drammatico conflitto, era andato a gridare, dal podio del Palazzo di vetro dell’ONU: «Jamais plus la guerre!». Auschwitz si erge, nel cuore dell’Europa, come il monumento dell’orrore della guerra: è il punto più basso della storia, raggiunto proprio durante il secondo conflitto mondiale. Pe Damilano nel XIX secolo viviamo un tempo in cui il grido della pace è tornato a essere inascoltato. Le parole e i ragionamenti di pace sembrano spenti e inadeguati. Del resto, va osservato come le guerre siano sempre più complesse, a lungo perduranti, refrattarie a spiegazioni semplici e globali. Dove sono finiti i movimenti della pace? Movimenti che nel Novecento lottavano per la liberazione dalla guerra e dai nazionalismi che oggi sono tornati. Damilano si è chiesto – citando Papa Francesco – dove sono finiti i cantieri e gli artefici della pace?

Per De Rita il volume di Riccardi contiene tante voci di amici come Paolo Prodi, Ernesto Balducci. Di queste voci quella che più ha colpito il fondatore del Censis è di Paolo Prodi che sottolineava la capacità della storia di cambiare continuamente e dall’essere caratterizzata dall’insicurezza. La storia è una creazione continua ed è impastata di frammenti. Se è vero che la globalizzazione ha sviluppato un pulviscolo di frammenti è necessario sviluppare il noi, la comunità, lottando contro l’odio individuale.

Per la filosofa Di Cesare il volume di Riccardi ci ricorda gli ultimi mesi vissuti. Li ricorda con uno straordinario e ammirevole equilibrio – virtù rara in questi tempi – ed è un libro che non nasconde le difficoltà, pur accordando alla speranza un grande ruolo. Una speranza non aleatoria, ma concreta con l’indicazione di coordinate. Per la Di Cesare in maniera pregevole il volume associa lo studio della storia all’esercizio della politica. Siamo in un periodo di grandi inquietudini in cui mancano i pensieri lunghi della politica. Serve creare la comunità dei popoli, contro gli etnocentrismi, contro quelle che la Hannah Arendt definiva le gabbie etniche. Interrogarsi sulla comunità significa riflettere sulla guerra.

Il volume raccoglie tante testimoni – ha ricordato Zuppi – che ci aiutano a ritrovare la passione perché il grido della pace non vada perduto, deluso. Un libro da leggere in un tempo di bulimia digitale che ha impoverito la diplomazia e la politica. Politica e diplomazia che inseguono soluzioni facili, moraliste, massimaliste, manichee che non si misurano con la realtà. Il cercatore di pace è un inquieto ricercatore della storia, per sfuggire una certa impulsività. Per il cardinale il libro va letto in sintonia con la Fratelli tutti di Bergoglio per il quale la guerra non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante. Il mondo sta trovando sempre più difficoltà nel lento cammino della pace che aveva intrapreso e che cominciava a dare alcuni frutti.

Riccardi ha parlato del suo volume come ascolto doveroso delle grida di pace, corroborato dal senso della storia che insegna come la guerra sia sovente un'”inutile strage”.  Ma è anche un’evocazione – prosegue Riccardi – e una «rassegna delle risorse di pace, che esistono nel nostro mondo, almeno come io le ho viste e lo ho vissute. E non sono poche. Una vera opportunità per prendere sul serio le domande di pace. Alcune tracciano una strada per una visione più larga del futuro, libera dall’ombra pesante dei conflitti. Il dialogo come strumento per vivere insieme, l’umanesimo come cultura che sottende alla convivenza tra diversi, la cultura della pace, l’incontro tra culture e religioni, quello tra cristiani di Chiese differenti, i percorsi di solidarietà… non sono storie archiviate (anche se sono messe alla prova in questo tempo difficile), ma rappresentano un autentico patrimonio».

La soluzione non è mai improvvisa e meccanica. Mario Giro ha scritto che questo nostro tempo è abitato da “trame di guerra”, ma anche da “intrecci di pace”,  per cui «la guerra non è mai ineluttabile, ma è sempre una scelta politica dei leader, che può essere invertita»

Già ascoltare il grido di pace – sottolinea Riccardi – mette in movimento le persone e le coscienze, fa maturare idee, sentimenti e speranze. ««Non siamo consegnati a un destino ignoto, su cui non si può esercitare nessuna influenza. Si può ascoltare, comprendere, discutere: i processi messi in moto, talvolta, travolgono le resistenze e mettono in atto movimenti che vanno ben aldilà dei singoli. C’è anche una forza della ragionevolezza della pace, risposta all’anelito di tanti: molte volte è un’energia sottovalutata». La storia non è uno spartito già scritto. La storia è piena di sorprese. E la più grande sorpresa è la pace. Il XXI secolo non può e non deve essere destinato alla guerra.

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