di Alessia de Antoniis
Una Nessuna Centomila. Tutte insieme alla Casa Internazionale delle Donne per andare oltre l’indignazione. Per lottare insieme, uomini e donne: insieme e non contro.
Con questo spirito lunedì 3 luglio la Casa Internazionale delle Donne ha ospitato la presentazione della Fondazione “Una Nessuna Centomila”.
“UNA. Come «Ni una Màs», il grido di dolore e ribellione delle donne messicane che denunciarono per la prima volta nel mondo il reato di femminicidio. NESSUNA. Come «nessuna donna merita di essere violentata», non importa com’è vestita, non importa se ha bevuto, non importa se ha detto sì e poi ha cambiato idea. CENTOMILA. Come «infiniti, moltissimi, innumerevoli» sono le donne e gli uomini che contrastano la violenza sulle donne”. Così nel comunicato firmato dalle fondatrici Fiorella Mannoia, Giulia Minoli, Celeste Costantino e Lella Palladino.
A un anno di distanza dall’omonimo concerto all’Arena di Campovolo (RE) Una Nessuna Centomila diventa fondazione, con l’obiettivo di promuovere la prevenzione e il contrasto della violenza maschile sulle donne, sostenendo l’educazione all’affettività nella scuole e il superamento di stereotipi e pregiudizi culturali che legittimano la violenza, supportare centri antiviolenza e case rifugio, contribuire al riconoscimento della professionalità altamente specialistica delle operatrici che accompagnano ogni anno migliaia di donne fuori dalla violenza.
“Il concerto di Campovolo – afferma la cantante Fiorella Mannoia, Presidente Onoraria di Una Nessuna Centomila – è stato un primo risultato straordinario. Uscire dal silenzio non è un invito da fare solo alle donne vittime di violenza, ma è soprattutto un incoraggiamento rivolto a tutta la cultura italiana. Perché la violenza è un problema culturale ed è fondamentale che chi fa cultura in Italia si faccia portatrice e portatore di un percorso per eliminare la violenza contro le donne. Per questo abbiamo deciso di dare vita alla Fondazione Una Nessuna Centomila. Vogliamo allargare il coinvolgimento di chi può contribuire al cambiamento, con l’ambizione di moltiplicare i momenti di solidarietà e diffusione del racconto del fenomeno. Partiremo subito con nuove iniziative di carattere nazionale e territoriale. Perché tutto questo deve finire. Perché siamo già in ritardo. Perché non possiamo più aspettare”.
“Ogni volta che c’è un femminicidio, e in Italia succede in media ogni 3 giorni, si levano voci indignate e si annunciano inasprimenti delle pene. La Fondazione Una Nessuna Centomila nasce per essere concretamente al loro fianco – afferma Lella Palladino, sociologa e vice presidente – e l’indipendenza economica è fondamentale per sottrarsi a relazioni violente. Siamo un Paese in cui metà delle donne non ha un lavoro stabile e adeguatamente retribuito, eppure si continua a non vedere quanto questa condizione esponga le donne alla violenza maschile nelle relazioni di intimità».
Sul palco Fiorella Mannoia, Anna Foglietta, Noemi, Vanessa Scalera, Vittoria Puccini, Caterina Caselli. Tra il pubblico colleghe e colleghi del mondo dello spettacolo, all’indomani della sprezzante uscita, stavolta da parte dell’ex pubblicitario Gianpietro Vigorelli, che, parlando dell’ennesimo scandalo destinato ad afflosciarsi, ha dichiarato alla collega de La Stampa «Siamo sempre stati allegri e disinibiti, ma non è un problema solo del nostro mondo» (quello delle agenzie di pubblicità – nda), consigliando poi di denunciare.
Colpevoli di non denunciare: è questa l’ultima frontiera della difesa di un sistema con profonde radici culturali, dove le donne non denunciano e i testimoni, uomini o donne che siano, si voltano dall’altra parte diventando di fatto dei complici?
“Non è facile denunciare – risponde Serena Dandini – perché c’è sempre il solito discorso della disparità di potere. Soprattutto se hai un lavoro precario. Non denunciamo le donne che non denunciano, per favore! C’è una grande difficoltà, c’è chi se lo può permettere e chi fa fatica, ma io le comprendo. Poi piano piano l’unione fa la forza. È vero che ci sono uomini e donne che si voltano dall’altra parte, ma è anche vero che ci sono uomini che iniziano a stare con noi. Cerchiamo di essere ottimiste”.
“Anche non denunciare adesso sembra colpa nostra – esclama Anarkikka, l’illustratrice che con le sue tavole denuncia violenze su donne e bambini – Ci si domanda: perché le donne non denunciano? Perché restano in quelle situazioni? E non si comprende invece che non è abbastanza alto lo stigma rispetto a chi agisce violenza. Ancora oggi si ricerca la responsabilità della donna. Se l’è cercata. Che cosa ha fatto lei? È un problema culturale sempre più emergente perché, come abbiamo visto anche nell’ultimo caso di femminicidio, si sta abbassando l’età della violenza all’interno delle coppie. Ci sono sempre più giovani che vivono in situazioni di coppia dove c’è una dinamica di violenza. Ancora oggi si parla di possesso e di gelosia come sinonimi di amore. C’è un lavoro enorme da fare che si sta sottovalutando, perché si continua a mettere la violenza in un ambito privato. La violenza è un problema culturale e riguarda tutti noi. Per me l’unica soluzione è educare i bambini piccoli al rispetto verso ognuno di noi. Urge cambiare una società che da troppi anni va avanti chiusa in un maschilismo che cura solo i suoi privilegi.
Noi donne – prosegue Anarkikka – dobbiamo imparare a fare rete, ed è una cosa difficile perché anche noi donne siamo immerse in quella cultura. Dobbiamo scrollarci di dosso i pregiudizi, anche su noi donne. La rete è l’unico sostegno, quella che amo chiamare sorellanza. Ed è una sorellanza che va estesa agli uomini: c’è sempre più bisogno di uomini che comprendano che è un percorso da fare insieme, perché la società si cambia insieme.
All’evento anche Maria Pia Calzone, attrice e membro dell’osservatorio per la parità di genere del Mic. “La violenza è il frutto della violenza di genere – risponde l’attrice – quella che arriva prima della violenza fisica. Esistono dati pubblici che descrivono la rappresentazione della donna nelle programmazioni Rai. Sono ricerche pubbliche e rientrano nei doveri di servizio della Rai. Basta guardare le tabelle per capire come viene rappresentata la donna. Nel 2021, come negli anni precedenti, la rappresentazione della figura femminile raggiungeva il 60% solo nel caso della psicologa e della sexy worker, il che significa che siamo allo stereotipo di genere, antico come il cucco, della santa o della puttana.
L’altra sera, durante un evento, un signore si è sentito in dovere di dire per ben tre volte a una mia collega che era molto dimagrita rispetto a come appariva sullo schermo. La terza volta ho detto alla moglie che forse avrebbe dovuto spiegare a suo marito che i chili non sono affari suoi.
La rappresentazione dello stereotipo femminile – continua Maria Pia Calzone – è il preludio alla violenza. È da lì che nasce la discriminazione. Personalmente non sono più disposta a tollerare neanche gli attacchi sui social, neanche come forma di battuta, perché sentirsi in diritto di etichettarci in quanto donne per il peso, per l’età, come fossimo oggetti, è il preludio a tutto il resto. Noi come donne, in attesa degli strumenti giuridici adatti, tutti i giorni possiamo fare rete con le nostre amiche più giovani, parlare, e iniziare a ribellarci a tutto questo. Anche alle chat dove si scherza sul corpo delle donne.
Non tollerare più viene sicuramente dall’età, ma è una consapevolezza che va trasferita alle donne più giovani. A volte non reagiamo per non sembrare scortesi nei confronti di chi sta solo scherzando, ma lo stanno facendo su qualcosa che ci fa male. Questo atteggiamento passivo aggressivo in cui tutti sono legittimati a dire tutto del corpo delle donne, dobbiamo imparare a fermarlo sul nascere”.