Caos in Ucraina, ossia la guerra e l'odio
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Caos in Ucraina, ossia la guerra e l'odio

La guerra e l’odio di Nicolai Lilin è una disanima storico-politica delle radici del conflitto tra Russia e Ucraina

Caos in Ucraina, ossia la guerra e l'odio
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6 Luglio 2023 - 20.49


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di Rock Reynolds

Comunque lo si guardi, è un pasticcio epico. In un mondo in cui, pur non essendo nemmeno lontanamente al riparo dal proverbiale peccato originale, alcuni prim’attori della sciarada internazionale si sentono in diritto di scagliare la prima pietra, i contorni di ciò che è giusto e sbagliato si sfumano leggermente.

Certo, quando un paese ne invade un altro, il torto è suo. Ed è esattamente ciò che Vladimir Putin ha scelto di fare con la sua “operazione militare speciale” in Ucraina, ponendosi dalla parte sbagliata della storia. Attenzione, però: lo zar della nuova Russia, pur con le sue innegabili spinte egemoniche, non si è svegliato una mattina completamente fuori di zucca, al punto da prendere una decisione improvvisa di quel tipo.

Ecco, dunque, che qualche lettura interessante potrebbe contribuire a chiarire meglio un quadro quanto mai intricato, malgrado la tendenza dei media internazionali a stabilire demarcazioni manichee tra buoni e cattivi. Per questo, i due libri che vi propongo sono quanto mai diversi, sia nella forma che nelle intenzioni.

La guerra e l’odio (PIEMME, pagg 191, euro 18,90) di Nicolai Lilin è una disanima storico-politica delle radici del conflitto tra Russia e Ucraina. Lilin aveva fama di essere una figura controversa ancor prima dello scoppio della guerra, ma la sua analisi è lucida e, a una lettura attenta, non scade quasi mai nella faziosità. Nato nella sovietica Transnistria, oggi Repubblica Moldava, sostiene con forza ciò che gli ucraini non vorrebbero mai sentire, ovvero che, di fatto, non esiste un’autentica distinzione tra il popolo di Mosca e quello di Kiev. Lilin sarà pure una figura discussa, ma possiede gli strumenti intellettuali e la competenza storico-politica per evitare di affrontare la questione con toni campanilistici. Peraltro, più volte in passato ha preso posizioni non esattamente filo-putiniane, attirandosi strali simili a quelli che, ora che ricorda al suo pubblico l’atteggiamento e la storia fascistoidi del peggior nazionalismo ucraino, gli vengono rivolti da chi lo taccia di essere una sorta di spia di Putin in Occidente.

Storia dell’Ucraina (il Mulino, traduzione di Lorenzo Pompeo, pagg 423, euro 30) di Yaroslav Hrytsak è, per converso, un vero è proprio trattato accademico di storia e analizza le vicende dell’attuale Ucraina dal Medioevo ai giorni nostri. La posizione dell’autore in favore del popolo ucraino è più che strisciante, ma, a sua volta, non scade nella chiacchiera da bar.

Eppure, la lettura di entrambi i testi non è bastata a sgombrare il campo dai dubbi che speravo di dissipare. Insomma, francamente, nemmeno due libri sull’argomento mi hanno particolarmente chiarito le idee. Ammetto: non ci ho capito quasi nulla. Il che, di per sé, dovrebbe essere un’indicazione lampante del fatto che assumere posizioni da tifo da stadio sul tema sia poco saggio. È pur vero che ogni popolo, ammesso che tale lo si possa considerare, ha il diritto di decidere la propria sorte in autonomia e che, se l’Ucraina ha deciso di aderire all’Europa e, soprattutto, alla NATO, tali aspirazioni sono una sua sacrosanta libertà, ma è altrettanto logico immaginarsi il fastidio di una grande potenza come la Russia, la cui sindrome da accerchiamento si fa via via più ossessiva. E basterebbe pensare a ciò che un’altra potenza oggi protagonista della scena bellica per interposta nazione, ovvero gli Stati Uniti d’America, fecero negli anni Settanta quando gli stati centroamericani e sudamericani appartenenti ai paesi non allineati e, comunque, simpatizzanti per il socialismo internazionale si videro tarpare le ali da governi apertamente fascisti la cui salita al potere di stampo golpista gli USA avevano finanziato, addestrato e sostenuto in ogni modo possibile. Erano altri tempi, d’accordo, ma altri tempi furono pure quelli, meno lontani, in cui gli USA decisero di invadere unilateralmente paesi come Iraq e Afghanistan. Senza quello che, nella storia successiva alla Seconda guerra mondiale, dovrebbe essere prerogativa di ogni conflitto accettabile: il mandato dell’ONU. In fondo, Stati Uniti e Russia siedono nel suo consiglio di sicurezza e, praticamente dal concepimento della società delle nazioni, bisticciano a colpi di veto, frustrando di fatto ogni tentativo di composizione negoziale di qualsiasi conflitto.

Ecco, dunque, perché solo chi è senza peccato dovrebbe avere l’ardire di scagliare la fatidica prima pietra. Qui di bombe, non di pietre, si parla. 

Una cosa, però, mi è chiara. Il mondo conteso tra Ucraina e Russia ha contorni che sfuggono facilmente a uno studio univoco. L’unica cosa certa è l’invasione russa. Ma non si può dire che le provocazioni nazionaliste contro la nutrita popolazione russofona del paese e quelle ancor più plateali dei vertici NATO contro Mosca siano meno evidenti. Come sostiene Yaroslav Hrytsak nell’introduzione del suo interessante libro, «L’Ucraina è un paese ricco di poveri». Insomma, le élite oligarchiche al potere hanno imparato bene la lezione da quelle russe che le hanno ispirate. E non si può non tenere conto delle molteplici e disparate influenze che su quel territorio hanno storicamente fatto valere i propri interessi. Per esempio, quella polacca, «più duratura e più forte di quella russa», che ha finito per essere considerata il seme di un pericoloso complotto in Russia, «come se l’Ucraina e gli ucraini li avessero creati i polacchi per indebolire o eliminare la potenza russa… Ed è un fatto che fino alla metà del XIX secolo il mito nazionale ucraino assegnava il ruolo di nemico principale non alla Russia, ma alla Polonia». Non a caso, i moderni nazionalisti ucraini sono russofobi tanto quanto polonofobi.

La storia dell’umanità è costellata di episodi sanguinosi, di manifestazioni di crudeltà collettiva che hanno dell’inverosimile. Eppure, quando si punta lo sguardo sulle vicende dell’Europa orientale, si ha la sensazione che l’orrore non abbia mai termine. E le violenze finiscono, naturalmente, per generare altre violenze e per piantare nella coscienza collettiva il seme di un odio che, invece che spegnersi, si rigenera con forza. Nicolai Lilin sostiene che i nazionalisti ucraini abbiano il chiaro obiettivo di dimezzare la popolazione del loro paese, eliminando e cacciando i russi per rafforzare lo stato nazionalistico. E sostiene pure che tale atteggiamento, unito alle ingerenze NATO nella zona, abbiano fatto precipitare la Russia di Putin in un dilemma: intervenire, alienandosi le residue simpatie internazionali, o lasciar fare ai nazi-ucraini, perdendo così credibilità e dimostrandosi incapace di dare sostegno ai suoi cittadini fuori confine. Non pare una teoria peregrina quella secondo cui gli USA stiano facendo il possibile per far impantanare i russi in Ucraina come gli era successo in Afghanistan. In fondo, il fatto che agli USA dell’Ucraina non importi nulla sta nella politica successiva alla crisi del 2008 e volta a far ricorso a risorse straniere su base egemone: se l’Ucraina fosse stata spazzata via o smembrata dalla Russia, pazienza, purché la Russia ne fosse rimasta indebolita.

Ovviamente, siamo nel campo delle congetture, ma di verità a prova di bomba ho la sensazione che ce ne siano pochissime. Il quadro confuso, per quanto espresso con maestria e lucidità, che scaturisce dalla lettura di questi due libri tanto diversi e ugualmente interessanti ne è testimone.

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