di Alessia de Antoniis
Sul palco del teatro Manini di Narni un altro rito si è compiuto: “Napoleone – La morte di Dio”. Quel rito antico che nasce nei luoghi di culto, esce sul sagrato e si fa teatro, si ripete non grazie a un dio che si è fatto uomo, ma a un uomo che si è proclamato dio.
Dopo “L’uomo più crudele del mondo”, Davide Sacco torna a scrivere un testo su misura per l’amico Lino Guanciale, stavolta in forma di monologo. Lascia lui padrone di un palco che, nella precedente esperienza, l’attore aveva condiviso in maniera paritetica con Francesco Montanari. Qui, nonostante si muovano altre figure, la loro presenza è ininfluente, salvo quando Guanciale si confronta con Simona Boo, che si trasforma in valida spalla per fare da controcanto a un monologo interiore che dilania la mente del protagonista: uno scontro con il suo sé al quale la cantante, che lo scorso anno, sempre a Narni, si era distinta in mezzo ai 99 Posse, presta corpo e voce.
“Non è lo spettacolo che volevamo portare in scena, ma di sicuro quello con più amore”. Accoglie così Davide Sacco il pubblico in attesa di vedere dal vivo Lino Guanciale.
Parigi, 15 dicembre 1840. Sono passati vent’anni dalla morte di Napoleone. L’uomo del popolo che si è fatto dio torna a Parigi per essere sepolto a Les Invalides. Come “feretro esiliato che torna in trionfo”, scrive Victor Hugo.
Ed è partendo dalla descrizione di Hugo delle esequie di Napoleone, che Davide Sacco costruisce un testo polifonico che parla del rapporto padre-figlio. Ma quale padre? Il padre di un figlio? Dio padre? Il padre della Patria? Il pater familias? È un padre nostro o solo il padre di un orfano disorientato?
Un testo che si muove tra i racconti storici senza essere storico: Napoleone Francesco Giuseppe, unico figlio legittimo di Napoleone, morirà prima del trasferimento della salma paterna nel mausoleo de Les Invalides e si ricongiungerà al padre, esattamente cento anni dopo, ad opera di Hitler che ivi lo spostò da Vienna.
In scena Guanciale recita: “seppelliamo un padre, un dio. Mio papà è morto”. Cristo usa il termine padre per chiamare dio. Questo è un papà.
Assistiamo al dramma di un figlio che ha perso il padre: forse il figlio di un dio umano, povero come un Cristo, nelle cui orecchie risuonano come una litania le parole di Pasolini per Domenico Modugno: “Che io possa esser dannato se non ti amo, e se così non fosse non capirei più niente. Tutto il mio folle amore lo soffia il cielo”.
Tutto accade in un giorno che, come scriverà Victor Hugo, “è veramente una festa: la festa di un feretro esiliato che torna in trionfo. La neve s’infittisce. Il cielo si fa nero. I fiocchi di neve lo seminano di lacrime bianche. Sembra che anche Dio voglia partecipare ai funerali”.
Ed è in una gelida giornata d’inverno, mentre la Francia si confronta per la prima volta con la memoria di un imperatore che l’aveva cresciuta come nazione, che un figlio fa i conti con un padre troppo grande per essere introiettato.
“La vita sale e scende come la neve. Sono le nostre paure a creare le mezze misure”, recita Guanciale nella prima scena. Le mezze misure, forse, sono quelle che mancano al Napoleone di Sacco in una rappresentazione che ha punti di forza e punti di debolezza non armonizzati tra loro.
Per buona parte della rappresentazione, Simona Boo e Amedeo Carlo Capitanelli si aggirano sul palco come due anime in pena (apparentemente due becchini). Simboleggiano anche due spiriti? Qual è la loro funzione? Se li elimino, cosa cambia nella resa del testo? Forse nulla. Di sicuro il rumore che producono agitando il grande telo di plastica non aiuta lo spettatore.
Guanciale gioca tutto sulla sua capacità di ipnotizzare il pubblico grazie a una sperimentata tecnica attoriale: è innegabile che, quando torna sulle tavole del palcoscenico, si riappropri del suo essere attore, liberandosi dalla camicia di forza delle fiction che lo vedono spesso prigioniero di ruoli sempre più stereotipati.
Per tutta la durata dello spettacolo incombe, legata alla graticcia, una bara sospesa. La morte che attende tutti? Il tempo che intercorre tra la morte dell’uom fatale di manzoniana memoria e la sua sepoltura a Les Invalides? Una bara che, all’improvviso, cade fragorosamente a terra sollevando polvere, quasi a dire “basta!”. A ri-velare tutto. Di nuovo. (La Restaurazione? Una pace sopraggiunta dopo tanta rabbia?)
Un testo che contiene pagine potenti, nello stile di Davide Sacco, ma in alcuni punti poco fluido. Una mise en place che gioca molto sull’attore principale (che per quanto bravo possa essere è sempre un attore da dirigere), con una scenografia a tratti superflua.
Ma la rappresentazione al festival Narni Città Teatro ha rischiato di essere annullata per motivi tecnici e, come anticipato dal regista e drammaturgo, non era lo spettacolo che volevano portare in scena.
Un lunghissimo e caloroso applauso ha accolto “Napoleone – La morte di Dio” e il suo amatissimo protagonista. Sicuramente uno degli spettacoli più attesi al festival di Narni.
“Napoleone – La morte di Dio” di Davide Sacco
da Victor Hugo
con Lino Guanciale, Simona Boo, Amedeo Carlo Capitanelli, Aurelio Gatti
regia Davide Sacco
produzione LVF – Teatro Manini di Narni