E’ scomparsa all’età di 76 anni Jane Birkin, icona degli anni Settanta con suo marito Serge Gainsbourgh. Poiché Globalist – Giornale dello Spettacolo preferisce usare le parole dei protagonisti per ricordarli, ripubblichiamo un’intervista del 2000 all’attrice e cantante inglese.
Tutti la ricordano per il duetto “hard” (per l’epoca…sulle note di Je t’aime, moi non plus con il marito Serge Gainsbourgh. Oggi a quasi trenta anni di distanza dalla canzoncina tutta sospiri che fece gridare allo scandalo i benpensanti dell’epoca Jane Birkin è una madre con tanti ricordi. Morto Gainsbourgh, si dedica agli animali e al cinema dei giovani come ambasciatrice della GAN una fondazione privata francese che aiuta e favorisce gli interessi dei giovani cineasti. Presidente della giuria dell’ultimo festival di Cannes rimpiange di non avere potuto premiare il nostro Mimmo Calopresti che non era in concorso con il suo Preferisco il rumore del mare che tanto l’ha fatta piangere. Oggi, la ragazzina è cresciuta e invecchiata sul grande schermo in film come l’ultimo di James Ivory La figlia di un soldato non piange mai in cui interpreta praticamente se stessa.
Mrs. Birkin, cosa le è piaciuto di più del film diretto da Ivory?
Il fatto che la mia amata cagnetta Betty fosse lì con me. E’ morta un anno, ma quel film la renderà in qualche maniera eterna.
Un film molto strano nella filmografia di Ivory…
E’ vero, ma a me è piaciuto da morire. Non è un film consueto per Ivory. Non ci sono costumi e cose del genere, ma è un ottimo film. Era privo di ogni ricchezza visiva.
Sono rimasta molto legata al ‘figlio’ che mi ha dato con cui mi scrivo regolarmente. Lui sta a New York e io a Parigi. Sono stata bene, perché per la prima volta nella mia vita ho potuto essere come realmente sono.
Come è stata scelta?
Mi trovavo in un café a St. Germain a Parigi e cercavo un apriscatole per dare la pappa al mio cane. Mi ero appena trasferita lì e non avevo apriscatole con me. Così mentre prendo a coltellate la scatoletta mi si avvicina un distinto signore americano che mi fa: “Ciao Jane, come stai?”. Io lo guardo imbarazzata e mi dico: “Chi diavolo è questo tipo così elegante?.” Lui comprende quello che provo e mi dice: “Sono Jim…” Poiché la cosa non mi diceva ancora nulla, lui ripete: “Sono James Ivory, ti andrebbe di fare un film con me?.” Siamo state fortunate io e Betty, perché ci ha preso tutte e due per La figlia di un soldato non piange mai. Si era appena trasferito in un appartamento elegante sulla stessa strada dove stava il mio molto più umile. Mi è piaciuto così tanto potere fare un film senza preoccuparmi di non arrivare sul set stravolta. Mi voleva così come sono: con le mie rughe, con le mie unghie rotte e – soprattutto – con il mio cane. Qualsiasi cosa fai con lui non c’è problema: è paziente e ama lavorare.
A proposito di amore per il cinema e il lavoro. Alain Delon dice che il cinema è morto. Lei è d’accordo?
No, ma credo che lui si riferisse al cinema della sua epoca. Quello che piace a lui. Io ho due figlie che fanno film e che hanno una carriera notevole nonostante la loro giovane età. I giovani fanno film, persone come Ken Loach continuano a fare cinema. Come possiamo dire con tutto questo cinema che c’è che il cinema intorno. Io amo incontrare persone nuove che amano le pellicole che io amo e che propongono a me e ad altri di lavorare in produzioni nuove. Ho fatto un sacco di film importanti. Come quelli tratti da Agata Christie, ma quello è un esercito che si muove. Ci sono pellicole piccolissime che si girano in una stanza.
Quindi il cinema non è morto?
Per me decisamente no. Quando sei stato bello come lui, quando inizi a sfiorire tutto sembra appassire con te. Credo che il problema di Delon sia il fatto che non abbia più curiosità nei confronti delle persone che lo circondano. Forse è ricco, guida il suo elicottero privato e fa quello che vuole. Credo che abbia la sensazione di avere lavorato con i migliori registi e che non ha più nulla da conquistare.
E lei?
Io non ho lavorato con i più grandi registi come lui. Io non ho mai fatto film d’avanguardia in Italia, per esempio? Io amo ancora divertirmi sulla scena. Con l’accento inglese non posso fare film, perché la mia voce assomiglia straordinariamente a quella della regina. Vorrei fare un film con Ken Loach che adoro, ma questo limite me lo impedisce.
Cosa pensa di lui?
Amo Ken qualsiasi cosa faccia. E’ un grande. Con lui ho trascorso l’ultimo giorno di tranquillità della mia vita prima che Serge e mio padre morissero uno dopo l’altro a distanza di due giorni. Ken è meraviglioso qualsiasi cosa faccia. Sia se fa film sugli scioperi a Los Angeles, sia se gira pellicole sulla guerra di Spagna. E’ un maestro che spiega il mondo agli ignoranti come me.
Cosa pensa della sua esperienza come Presidente della giuria a Cannes?
Non sono un buon capitano, ma un ottimo gregario. Forse, questo è stato il mio problema. Io amavo Yomi di Samira Makmalbaf che volevo vincesse e ho adorato la pellicola di Mimmo Calopresti. Sui miei appunti c’è una lacrima, perché è l’unico che mi abbia fatto piangere.
Quale è il suo rammarico riguardo il cinema?
Ho fatto troppo teatro, ho cantato molte canzoni e ho visto troppo pochi film.
Un film italiano che le è piaciuto molto di recente?
Morte di un matematico napoletano di Mario Martone mi ricordava tremendamente Serge Gainsbourgh. Quest’inverno a Parigi ho seguito tutti e tre gli Shakespeare a teatro di Carlo Cecchi.
Cosa prova nei confronti del cinema di oggi?
Grande curiosità. Quella stessa che Delon non ha più. Ci sono attori come Michel Piccoli che non hanno nemmeno un agente che corrono se qualche giovane li chiama per lavorare con loro.
Come giudica la sua situazione di ambasciatrice del GAN e del cinema francese?
Una posizione fortunata che mi consente di viaggiare vedendo i film del mondo e rappresentare il cinema francese. Così come quando ho i biglietti gratis del teatro e invito i bambini delle periferie di Parigi a vedere gli spettacoli gratis con me.
Il GAN le ha fatto fare la madrina alla presentazione romana del vincitore della sezione un Certain regard Capitani d’Aprile. Cosa pensa del protagonista principale Stefano Accorsi?
E’ un attore meraviglioso e un uomo bellissimo. Il film è straordinario, perché racconta di una rivoluzione non violenta come il nostro ’68 a Parigi. La regista Maria De Medeiros è stata molto brava a scegliere come protagonista un interprete che ben rappresentasse le qualità umane e morali tipiche della gioventù.
Cosa le piace di più del cinema?
Il potere mantenere in vita il ricordo di persone scomparse e potere incontrare persone nuove che non hai mai conosciuto o che non sono mai esistite.