29 settembre 1944. La guerra giungeva al termine e i nazifascisti battevano in ritirata lungo la linea gotica, inseguiti dagli Alleati e braccati dai partigiani. Come le bestie quando sono messe al muro, è lì che i nazisti e i repubblichini di Salò diventarono più pericolosi: la loro violenza divenne folle, il loro odio cieco. E pur di portare con loro nell’oltretomba quanti più partigiani possibili, non mostrarono pietà davanti a nessuno.
Siamo a Marzabotto, alle pendici del Monte Sole, in provincia di Bologna.
La divisione SS del feledmaresciallo Albert Kesserling, nella mattina del 29, supportati dai fascisti repubblichini, circondarono l’area dei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno e cominciarono ad avanzare, usando anche mezzi pesanti.
Distrussero ogni cosa: abitazioni, cascine, fienili, scuole piene di bambini. La popolazione, nel panico, si rifugiava nelle chiese, ma nemmeno i luoghi sacri fermarono la strage: i nazisti entrarono, rastrellarono gli uomini, le donne e i bambini raccolti in preghiera, portarono i sopravvissuti nei cimiteri e li fucilarono. Le testimonianze di chi scampò a quell’eccidio descrivono uno scenario da inferno dantesco: bambini strappati dalle braccia delle madri e gettati vivi nel fuoco delle loro abitazioni, anziani decapitati, donne violentate e uccise.
I nazisti non risparmiarono niente e nessuno: a Caprara morirono 107 persone, 24 dei quali bambini. I casolari nelle campagne furono distrutti e ci furono 282 vittime. 49 morti nell’area di Cerpiano, 103 lungo la strada per Creva, dove altre 81 persone morirono quando i tedeschi entrarono in paese.
Furono 1830 i morti totali, anche se è una stima assolutamente al ribasso.
A perpetuo ricordo di uno dei più gravi crimini contro l’umanità commesso sulla pelle degli italiani, il poeta Salvatore Quasimodo scrisse un’epigrafe, ad oggi conservata sulle vette del Monte Sole:
Questa è memoria di sangue
di fuoco, di martirio,
del più vile sterminio di popolo
voluto dai nazisti di von Kesselring
e dai loro soldati di ventura
dell’ultima servitù di Salò
per ritorcere azioni di guerra partigiana.
I milleottocentotrenta dell’altipiano
fucilati ed arsi
da oscura cronaca contadina e operaia
entrano nella storia del mondo
col nome di Marzabotto.
Terribile e giusta la loro gloria:
indica ai potenti le leggi del diritto,
il civile consenso
per governare anche il cuore dell’uomo,
non chiede compianto o ira,
onore invece di libere armi
davanti alle montagne e alle selve
dove il Lupo e la sua Brigata
piegarono più volte
i nemici della libertà.
La loro morte copre uno spazio immenso,
in esso uomini di ogni terra
non dimenticano Marzabotto,
il suo feroce evo
di barbarie contemporanea.