Eppure soffia ancora
Sono passati vent’anni dalla scomparsa di Pierangelo Bertoli, uno dei cantautori più veri e poetici della scena musicale italiana. Era il 7 ottobre 2002, esattamente 10 anni dopo Augusto Daolio, altro grande emiliano mitico fondatore dei Nomadi. Quel pomeriggio ero a un dibattito sulla giustizia all’Università di Bari e pensai di leggere i versi della canzone che aveva cantato a Sanremo nel 1992, con i politici della prima Repubblica seduti in prima fila: “…e torneranno a parlarci di lacrime/ dei risultati della povertà/ delle tangenti e dei boss tutti liberi/ di un’altra bomba scoppiata in città/ Spero soltanto di stare tra gli uomini/che l’ignoranza non la spunterà/ che smetteremo di essere complici/ che cambieremo chi deciderà…”
Ho amato le sue canzoni sin dall’inizio, posso dire di essere cresciuto con le sue frasi poetiche, a volte con rime baciate ma mai banali, condite quasi sempre da melodie ariose e originali.
Cantava la rabbia dell’emarginazione, della discriminazione e dell’oppressione, costretto com’era sulla sua carrozzella dalla maledetta poliomielite. Ma cantava pure la voglia di libertà e di emancipazione, di quel riscatto che parte dal basso, come nella storiella raccontata nel brano “L’autobus” una delle sue prime composizioni, in cui i passeggeri, dapprima “seduti ed assonnati…. chiusi in un silenzio ch’è frutto di oppressione” poco alla volta prendono coscienza dei loro problemi e cominciano a raccontare le loro storie personali, fatte di “abusi compiuti dal padrone”.
Aveva iniziato a scrivere canzoni nel 1966, a ventiquattro anni, ma il suo primo contratto discografico lo firmò con Caterina Caselli solo dieci anni dopo, con la pubblicazione del 33 giri “Eppure soffia”, con l’omonima canzone diventata subito un inno dei primi eco-pacifisti italiani, un raro esempio di come si possa scrivere un testo capace di sposare la rabbia per la guerra e l’inquinamento alla dolcezza di versi come “…eppure il vento soffia ancora, spruzza l’acqua alle navi sulla prora, e sussurra canzoni tra le foglie, bacia i fiori li bacia e non li coglie…”.
Nel 1977 scrive “la luna è sotto casa ma non la prenderò, non cerco la fortuna che un giorno mi lasciò, non mi appartiene il sogno, non cerco falsità, la vita è una battaglia fatta per la verità…..io ho una cosa grande, lotto per la libertà”.
Ma il successo arriva nel 1979 con “A muso duro”, forse la sua canzone più avvelenata per citare il suo conterraneo Guccini: “…ho sempre odiato i porci ed i ruffiani e quelli che rubavano un salario, i falsi che si fanno una carriera con certe prestazioni fuori orario….”
Da allora Bertoli ha sempre alternato dolci ballate romantiche ad arrabbiate canzoni politiche, come “Certi momenti” in cui canta “…credo che in certi momenti il cervello non sa più pensare e corre in rifugi da pazzi e non vuole tornare, poi cado coi piedi per terra e scoppia la folgore e il tuono, non credo alla vita pacifica, non credo al perdono…” solidale con Anna, che ha deciso di abortire.
Nel 1991 fu sullo “scomodo” palco di Piazza San Giovanni a cantare con Gino Paoli contro la prima guerra del Golfo, la guerra santa del petrolio.
Nel 1992 cercò di dare una salutare sveglia all’addormentata Italia di Sanremo, intonando appunto “Italia d’oro” e cantando di mafia e tangenti, solo dieci giorni prima un certo Mario Chiesa veniva colto in flagrante con una mazzetta e si scoperchiava la Tangentopoli.Pierangelo arrivò al quarto posto in quel festival, ad appena 800 voti dal vincitore!
Ho poi un ricordo personale molto forte e risale all’agosto del 1995, eravamo a Manduria, provincia di Taranto. Pierangelo era lì per cantare nel corso di una manifestazione contro le mafie e la violenza. Sale sul palco col suo tipico giubbotto di jeans mentre un giovane del posto, per intrattenere la gente che già affolla la piazza, suonicchia qualcosa sul piano elettrico, qualcosa che ricorda i Pooh. Anch’io salgo sul palco per scattare qualche foto, guardo Pierangelo, lo saluto facendo una smorfia a metà tra il dolore e la solidarietà, penso che non sia facile per lui accettare uno che imita i Pooh prima che canti lui mainvece mi guarda e dice “vabbè…non fa niente!”. Dopodichè gli chiedo il permesso di fotografare e di rimanere sul palco, permesso accordato.
Finisce che, dopo un’ora di scatti continui fra “A muso duro” e “Pescatore”, scendo dal palco visibilmente frastornato dai watt dell’amplificazione e con la voglia matta di tornare tra gli “umani” per godermi il concerto dal basso. Gli amici mi accolgono quasi da eroe, mi chiedono qual è la canzone che voglio ascoltare, è “Rosso colore” e loro attaccano in coro, in quaranta….e Pierangelo allora la canta: “Caro amico la mia lettera ti giunge da lontano, dal paese dove sono a lavorare, dove son stato cacciato
da un governo spaventoso che non mi forniva i mezzi per campare…”. Ricordo che quella calda sera d’agosto indossavo proprio una maglietta rossa, qualcuno me la tolse e iniziò a lanciarla per aria tra la gente. E il cielo sembrò colorarsi davvero di “Rosso, colore dell’amore…”.
Su Rai Play dal 7 ottobre è disponibile il breve ma davvero prezioso documentario prodotto da Rai Storia “Spunta la luna dal monte”, con interviste ai suoi storici musicisti, a Caterina Caselli, a Giancarlo Governi (che per primo lo portò in RAI, lui, cantante in carrozzella, probabilmente il primo disabile di successo in tv), ai figli Emiliano, Alberto e Petra, alla moglie Bruna Pattacini.
Il più bel necrologio Pierangelo se l’è scritto da solo proprio con gli ultimi versi della sua canzone “manifesto”, “A muso duro”: “….e non so se avrò gli amici a farmi il coro, o se avrò soltanto volti sconosciuti, canterò le mie canzoni a tutti loro e alla fine della strada, potrò dire che i miei giorni li ho vissuti”.