di Alessia de Antoniis
Con “In treNo in tre no” Giuseppe Manfridi, uno dei massimi drammaturghi italiani, autore di commedie rappresentate in tutto il mondo, torna in teatro con una conferenza-spettacolo che, dal 13 al 15 ottobre, divertirà al Teatrosophia di via della Vetrina a Roma.
“In treNo in tre no” è un divertissement verbale acrobatico, futuribile, funambolico, interattivo. Spettacolo dai tratti decisamente comici, è un esperimento teatrale dove il pubblico si troverà a viaggiare nel sempre più sconosciuto mondo del linguaggio e della parola per sondarne le infinite possibili magie, sino a scivolare nelle misteriose doppiezze della parola, intesa sia come strumento di gioco che come straordinario scrigno di affascinanti enigmi e di codici criptati.
Con azzardati e pirotecnici funambolismi metrici e semantici, Giuseppe Manfridi elabora qui un viaggio tra le ambiguità sulfuree e i mille divertimenti che si possono cavare dallo studio anche di un singolo lemma.
“In primo piano – racconta Manfridi – l’idea di una lingua madre sempre a nostra disposizione come un gioco dalle mille risorse che nessuno ci potrà mai sottrarre. Si scivolerà nelle misteriose e suggestive doppiezze della parola capace di mascherare se stessa a difesa di un senso criptato e di affascinanti enigmi. Ma, su tutto, si imporrà un senso di spettacolo puro.
Sonetti monoconsonantici, strofe elaborate con due sole lettere, palindromi di estensione innaturale, chiacchierate al contrario, inversioni di senso e fulminanti atti unici saranno i veri personaggi di questa stralunata e ‘diabolica’ lezione che riconosce i suoi numi tutelari nei virtuosismi umoristico-stilistici di Queneau, Perec, Marcello Marchesi, Flaiano e Campanile.
A chi verrà, consiglio di presentarsi fornito di penna e blocchetto…”
Perché uno spettacolo dove si gioca con le parole di una lingua che per molti sta davvero morendo?
Ma perché la nostra lingua madre può rivelarsi un meraviglioso giocattolo che portiamo sempre con noi, anche in assenza di qualsiasi altra compagnia, come uno strumento all’occorrenza magico in grado farci essere autoironici, e di dare forma concreta a emozioni altrimenti irrazionali. Nominare la cosa significa in qualche modo possederla. Un esempio: Jean Paul Sartre, autore notoriamente impegnato nelle lotte politiche, durante l’occupazione nazista in Francia, il primo giugno del ’40 scriveva a Simone de Beauvoir: “Sapete che lavoro ho fatto oggi? Ho cercato parole di 10 lettere, tali che la stessa lettera non sia contenuta due volte in ogni parola”. Straordinario: con le croci uncinate in casa, Sartre trovava conforto giocando con le parole! Oltretutto: più parole, più pensieri.
Attore, scrittore di romanzi, autore teatrale. Lamentela diffusa è che mancano drammaturgie e sceneggiature: in pratica manca chi scrive. Ma davvero mancano figure come la tua? Vi cercano davvero?
Nelle arti in assoluto, ogni opera, prima che sia prodotta, è superflua. Nessuno la richiede. Per fare un esempio: la penicillina sì che era necessaria ancora prima che Fleming la scoprisse, la Divina Commedia no. Parimenti, un grande romanzo si afferma come inevitabile solo dopo la sua nascita. In questo senso, anche gli scrittori, presi a uno a uno, non sono indispensabili per nessuno. Sta dunque a loro far sì che quanto hanno da offrire si incontri coi bisogni ‘esistenziali’ della realtà in cui intervengono al punto da renderli inevitabili, a prescindere dal loro peso economico sul mercato. Ma questa, mi rendo conto, è un’illusione.
A scuola non si fanno più temi e riassunti e lo studio dell’analisi grammaticale, logica e del periodo è a livello superficiale; leggiamo poco. Ma proliferano scuole per scrittori o sceneggiatori. La scuola non serve più? Come affronto un corso di scrittura se non conosco la mia lingua madre? Riesci a immaginare un Dostoevskij o un Calvino che vanno a scuola di scrittura creativa?
No, impossibile, sarebbe come costruire un attico senza aver pensato nemmeno al piano terra. Il punto è che certe scuole, come pure quelle per attori, speculano soprattutto sulla vanità di chi vi si iscrive. Come dire: ‘se non mi pagano per recitare, pago io per farlo’. Le cosiddette scuole di scrittura dovrebbero ribattezzarsi ‘scuole di lettura’, allora sì. La prima cosa da apprendere dovrebbe essere di natura etica, avendo a che fare con la vera generosità di chi si dispone ad accogliere l’altro in sé, e non facendo l’opposto, volendo imporre il proprio a sé al mondo. È mia convinzione che qualsiasi pagina provvista di valore nasca da un precedente ascolto, restituito, poi, in maniera nuova. La letteratura, in fondo, è uno stupefacente processo di propalazione in cui ogni parola aggiunta vale molto più di chi ve l’ha apposta. Come in poesia: i grandi versi tendono sempre a farsi anonimi.