Il sabato, “giorno nero” per gli ebrei di ieri ma anche per l'odierna democrazia integralista d’Israele
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Il sabato, “giorno nero” per gli ebrei di ieri ma anche per l'odierna democrazia integralista d’Israele

Ottanta anni fa di sabato il terribile rastrellamento nazista nel ghetto di Roma, cinquanta anni fa di sabato l’inizio della guerra del Kippur. Anche l’ultimo attacco di Hamas è iniziato sabato 7 ottobre. Le affermazioni di David Grossman e di Biden.

Il sabato, “giorno nero” per gli ebrei di ieri ma anche per l'odierna democrazia integralista d’Israele
Il territorio del rave party dopo l’attacco di Hamas.
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Marcello Cecconi Modifica articolo

16 Ottobre 2023 - 18.41 Culture


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Il sabato, Shabbàt in ebraico, è uno dei fondamenti più importanti della fede semita. I fedeli sono tenuti ad astenersi dal compiere ogni lavoro e alcune azioni. Non a caso i nemici degli ebrei prima e di Israele poi scelgono questo giorno per attaccare.

Era un sabato anche il 16 ottobre 1943. Oggi ricorrono ottanta anni da quella tragedia che oggi più che mai deve fare memoria.

Quel giorno di ottanta anni fa è ricordato come “sabato nero”; avvenne un rastrellamento nel Ghetto di Roma di 1.259 civili fra uomini, donne e bambini ebrei, voluto dai nazisti in collaborazione con i fascisti. Più di mille furono deportati in campi di concentramento, la maggior parte ad Auschwitz-Birkenau e solo 16 di loro si salvarono.

Era un sabato cinque anni dopo, il 15 maggio del 1948, il giorno successivo alla proclamazione d’indipendenza d’Israele da parte del futuro primo ministro David Ben-Gurion, quando gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano invasero il territorio dello Stato ebraico.

Era un sabato anche il 6 ottobre, in più era lo Yom Kippur, il giorno solenne dell’espiazione, quando egiziani e siriani dettero avvio alla guerra contro Israele nel 1973.

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E’ iniziato di sabato anche il recente attacco del 7 ottobre, che ha trovato in fallo l’intelligence israeliana, di solito la più attrezzata al mondo, provocando spietatamente più di mille morti civili e quasi duecento ostaggi ancora oggi in mano dei terroristi di Hamas.

Ecco che il confronto fra il 1973 e il 2023 avviene automaticamente ed è suggestivo, messo in risalto dal giorno, dal mese e da quel tre finale dell’anno che ricorda il mezzo secolo preciso dalla guerra dello Yom Kippur. Ma la suggestione è fenomeno di desiderio o convinzione imposta da valutazioni irrazionali e quindi è necessario ponderare gli eventi per farsene un’idea più aderente alla pur complicatissima realtà.

Di fronte a Israele non ci sono oggi eserciti regolari come quelli di Siria ed Egitto del 1973, ma un’organizzazione terroristica, così riconosciuta a livello internazionale. Dunque non è possibile fare paragoni. Nonostante le milizie di Hamas abbiano base e addestramento all’interno della striscia di Gaza e un potenziale d’urto aumentato in questo ultimi anni anche attraverso l’aiuto della teocrazia iraniana, non possono essere assimilati agli eserciti regolari di Siria ed Egitto del 1973.  

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Questo non significa che gli effetti dei razzi che dalla striscia di Gaza sono penetrati anche in profondità in Israele non siano stati tragici per uomini, donne e bambini dei kibbutz israeliani e per gli ostaggi. Per questo Israele si è dichiarata in “guerra” attaccando la striscia di Gaza, con morti e feriti che già superano di gran lunga i propri, tagliando rifornimenti al territorio e obbligando centinaia di migliaia di palestinesi a un esodo verso il sud della Striscia. 

Il quadro medio orientale è sempre più di difficile lettura e dopo l’illusoria apertura delle “primavere arabe”, che avevano abbattuto i dittatori e accennato un nuovo percorso più laico e democratico, è arrivato un colpo di spugna generale. Cancellato questo percorso e scomparsa la mediazione dei dittatori assolutisti lo spazio politico è stato occupato dall’islamismo teocratico più integralista, il quale prevede congiunzione fra attività religiose e quelle governative laiche.

L’Iran è il modello di riferimento e di rifornimento per Hamas e per altre organizzazioni come quella degli Hezbollah che agiscono in Libano e che anche adesso sono sotto tiro di Israele.

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«C’era un patto dietro l’idea della fondazione dello Stato di Israele, di garantire un posto sicuro per gli ebrei. Hanno tradito quel patto. E ora la nostra paura è quella di perdere il nostro Paese, e di pagare un prezzo troppo grande» ha detto a Fabio Fazio, ora sul Nove, lo scrittore israeliano David Grossman dopo l’esecrazione del brutale attacco terroristico.

E l’occidente, che dal 1948 avrebbe dovuto fare da garante per la costituzione di due stati indipendenti, cosa ha fatto? Molte risoluzioni che disegnavano questo percorso ma nessuna azione per metterlo in atto, lasciando alla sempre più integralista e prepotente democrazia israeliana di espandersi anche al di là dei confini del 1967. “È necessaria un’autorità palestinese. È necessario che ci sia un percorso verso uno Stato palestinese” ha detto il Presidente statunitense Joe Biden alla Cbs. Forse nessuno l’ha avvertito che quel percorso era già iniziato decenni fa.

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