Mario Monicelli: il grande regista torna a parlare
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Mario Monicelli: il grande regista torna a parlare

Un libro raccoglie opinioni, giudizi e confessioni dell'indimenticato regista, coscienza critica degli italiani

Mario Monicelli: il grande regista torna a parlare
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

30 Ottobre 2023 - 14.49


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Personaggi come Mario Monicelli mancano come il pane all’Italia di oggi, alla cultura, all’arte, agli stitici rapporti umani di questi stracchi tempi. Manca il regista, la sua capacità di osservazione, la volontà di rendere la realtà senza compromessi né pregiudizi, per indurci alla riflessione sui nostri buchi neri, sociali e individuali: un’attività maieutica che ci ha aiutati a formarci una coscienza più critica e avvertita di noi stessi. Manca anche l’uomo Monicelli, le sue battute da toscanaccio, il suo spirito caustico, la tensione morale che lo contraddistingueva, la libertà che ha sempre affermato con le proprie scelte. Accogliamo dunque con particolare piacere la riedizione di un libro che ci restituisce la “viva voce” del grande regista, dal titolo suggestivo e ammiccante, Così parlò Monicelli, curato da Anna Antonelli e riproposto da una delle case editrici più attente alle arti del cinema e del teatro, nelle loro dimensioni teoriche e biografiche, Cue Press, che tra l’altro annovera nel suo catalogo il recente premio Nobel per la letteratura Jon Fosse.

Il volume è impreziosito da una prefazione di Goffredo Fofi, che traccia le coordinate dell’arte e della personalità di Monicelli, “uomo libero e chiaro nei principi”, il quale “rispondeva alla propria coscienza e ai doveri che gliene venivano”, portatore di convinzioni limpide e nette maturate nei duri anni della guerra e nell’esperienza resistenziale, sposate alla “vocazione di cineasta popolare in decenni in cui il cinema era il principale divertimento delle masse”. Insomma, un individuo “insofferente di estremismi ideologici, innamorato della libertà e della verità”, capisaldi della civiltà ormai superati nel mondo del neocapitalismo ipertecnologico e globalizzato in cui viviamo.

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Monicelli è stato preziosissimo narratore della sua epoca anche quando smise di girare film, continuando ad essere “testimone di una diversità, di una verità, di un’etica del giudizio sui ‘fatti del giorno’”, con interventi pubblici e dibattiti televisivi, interviste e presentazioni di vecchie pellicole. O anche, per rimanere nella più stringente contemporaneità, con documentari come quello girato oltre vent’anni fa, Lettere dalla Palestina, sulla vita nei territori soggetti al dominio israeliano.

Il suo “parlar chiaro e antico e per questo nuovo, nel chiacchiericcio mediatico del tempo”, la “franchezza delle sue idee, la salda misura dei suoi giudizi” si ritrovano con immutata freschezza nelle pagine di questo libro, una raccolta di opinioni, giudizi, confessioni messe insieme spulciando con intelligente sagacia le più svariate fonti da Anna Antonelli, che il regista ben conobbe. La prima parte del volume è divisa in capoversi organizzati per idee e argomenti, in cui si raccoglie il Monicelli-pensiero. Vi compaiono suggestivi ricordi d’infanzia, come la Versilia degli anni Venti, piena di colori e di sapori. con le rotonde di legno e gli splendidi chalet in stile liberty, la dominante presenza del mare (“me lo porto sempre dentro”), le tragiche esperienze della guerra, quando “l’orrore diventa normalità”, la Roma liberata dagli alleati, le riflessioni sulla storia e la politica nazionale, su passaggi fondamentali come il Sessantotto, su temi come l’amore, la sessualità, la famiglia, la paternità, la religione, la morte, lo spirito di rivolta, l’importanza dell’ironia e del riso (“Io credo che, dove si ride, li nasca il progresso, una nuova consapevolezza; dal pianto, invece, non nasce niente, anzi, piangere fa andare indietro”), il coraggio di dire la verità, la lotta contro l’ingiustizia sociale (“Un altro mondo è doveroso, non solo possibile”), il costante impegno civile e politico (“Io rivendico al nostro lavoro una vera e propria funzione civile”), gli amori letterari (“Mi piaceva Flaubert, avrei voluto scrivere come Dostoevskij”), l’esperienza totalizzante del suo lavoro (“Il cinema è stata la sola grande passione della mia vita”). Al lettore pare di ascoltare la voce piana, quasi monocorde, ma sempre sorprendente in quel che articolava del grande artista – che però non si definiva tale: “Nel cinema c’è una mistura che ha poco a vedere con l’arte”.

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Segue poi la sezione più spiccatamente cinematografica, “Una vita”, che ripercorre la straordinaria carriera, dagli inizi nel 1934 al legame con Pietro Germi, al sodalizio con Steno e tutti i passaggi fondamentali, i film realizzati e le schiere di attori con cui ha lavorato, sino al tragico epilogo, quando in una piovosa notte di novembre del 2010 decise di togliersi la vita lanciandosi dal quinto piano dell’Ospedale San Giovanni di Roma: “Non aspetterò la morte in un letto d’ospedale, con i parenti che mi portano la minestrina” aveva avvisato. Prima della filmografia, che chiude il volume, vi è poi una chicca: il soggetto di un film irrealizzato, “L’omo nero”, che il regista scrisse con Suso Cecchi D’Amico e Piero De Bernardi, sul tema ancor oggi attualissimo del rapporto con culture differenti dalle nostre, che ci troviamo ad incontrare e di cui ignoriamo tutto. “Vorrei fare una bella commedia” scriveva Monicelli. “Vorrei fare un buon film”. Che l’avrebbe fatto, ci sono pochi dubbi.

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Al rammarico per un’opera che non ha mai visto la luce segue però la consolazione che queste dense pagine recano a chi ama il cinema, la vita, la libertà e la giustizia sociale. Il libro è dunque di fondamentale importanza per chi desideri approfondire le preziose vicende della settima arte italiana, magari provare a capire qualcosa di più su noi stessi, sulle nostre tradizioni, sulla nostra storia recente e passata, illuminate dalle argute e lucide frasi di Mario Monicelli.

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